Politica monetaria Europea rallentata a causa della guerra

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Guerra e inflazione: così l’Europa è sull’orlo della crisi. Dopo la frenata della Germania, anche la rigorista Olanda finisce in crisi. Soffrono Ungheria e anche gli altri Paesi dell’Est Europa.

La guerra in Ucraina continua a sferrare orrori e ad alimentare incertezza e sfiducia. I prezzi dell’energia, come petrolio e gas, hanno risollevato la testa di recente e rallentano il calo dell’inflazione complessiva, mentre l’inflazione core sta scendendo sì ma molto lentamente.

L’inasprimento della politica monetaria della Bce (nove rialzi in un anno per un totale di 425 punti base) segnala tassi pronti a salire ancora e che comunque resteranno alti più a lungo, frenando domanda, consumi, investimenti, esacerbando la volatilità degli assets finanziari e immobiliari, premendo sulla stabilità finanziaria.

L’economia cinese delude sempre più mentre salgono le tensioni geopolitiche asiatiche. Il Covid-19 non è debellato del tutto, si teme un’escalation dei contagi in autunno anche se con sintomi minori. Il cambiamento climatico e la riforma del Patto di stabilità e crescita lanciano sfide epocali per l’Europa.

La locomotiva tedesca intanto si è fermata, si spera solo per lavori di manutenzione. L’Olanda invece è appena entrata in recessione tecnica.

Sono queste le nuvole nere che si addensano all’orizzonte dell’area dell’euro e che minacciano l’arrivo di una tempesta perfetta, che ha come sfondo la recessione nonostante la buona tenuta del mercato del lavoro.

Nella seconda metà dell’anno, il Pil dell’eurozona potrebbe contrarsi secondo gli economisti più pessimisti: e il 2023 rischia di chiudere con una crescita inferiore alle attese, sotto l’1% (0,9% per l’Ocse, 0,8% per il Fondo monetario internazionale). Fanalino di coda rispetto a Usa e Giappone e la media del G20.

Andamento economico in Europa

andamento economico in europafallimenti in europainflazione in europaNon va meglio nell’Unione europea, che per il Fmi crescerà quest’anno allo 0,7%. Nella Ue, Eurostat ha registrato il record di fallimenti delle imprese nel secondo trimestre dell’anno, con un aumento dell’8,4% e ai massimi da quando è iniziata la raccolta dei dati nel 2015 da parte dell’ufficio europeo di statistica.

Nella zona euro i fallimenti aziendali sono aumentati del 9%: tra le cause, il nuovo mondo post pandemico, Tutti i settori segnano un aumento dei fallimenti: l’ alberghiero, contrassegnato anche dal consolidamento, ha registrato per esempio un incremento più forte nel secondo trimestre rispetto al primo trimestre, (+24%).

Restano elevati i tassi di fallimento nei trasporti, con un’ulteriore spinta in istruzione e sanità. Dal 2022 è emerso un continuo aumento dei fallimenti nel settore dell’industria, delle costruzioni e dei servizi di mercato e finanziari.Rispetto all’ultimo trimestre prima della pandemia nel 2019, i dati appaiono drammatici nel settore dell’ospitalità, con un enorme 82%. In calo i fallimenti nell’edilizia.

Il panorama economico dell’area dell’euro è disomogeneo, mette assieme Paesi come Spagna e Irlanda in solida crescita con Paesi come l’Olanda in recessione tecnica nei primi due trimestri di quest’anno e la Germania in stagnazione, dopo la recessione tecnica con l’ultimo trimestre 2022 e il primo 2023 in segno negativo.

I problemi dell’economia tedesca, che sono più strutturali e meno ciclici, inevitabilmente adombrano le prospettive di crescita dell’intera eurozona. Intanto il rialzo dei tassi sta colpendo tutti gli Stati membri allo stesso modo e gli effetti sull’economia del restringimento della politica monetaria della Bce, che mira a frenare la domanda, devono ancora manifestarsi completamente: l’aumento del costo del denaro inoltre diminuisce la capacità e la volontà di investire sul futuro, in un momento in cui l’Europa deve fare di più per la doppia transizione verde e digitale.

E intanto i costi del rifinanziamento degli alti debiti pubblici lievitano, rendendo la coperta sempre più corta per le politiche fiscali e sempre più incandescente il dibattito sulla riforma del Patto di stabilità e crescita che riprenderà in settembre.

L’incertezza è tanta e tale che i dati macroeconomici sono particolarmente di peso in questo momento. La prossima settimana terrà banco la Germania: l’indice dei prezzi alla produzione Ppi di luglio lunedì, le stime del Pmi di agosto mercoledì (attese sotto la soglia 50 dopo 48,5 in luglio), i dettagli sul Pil del secondo trimestre (0,00%) e l’indagine Ifo sul business climate venerdì (si veda intervista a fianco).

Sul fronte della politica monetaria, molto atteso verso la fine della prossima settimana è il Jackson Hole symposium: i mercati cercheranno qualsiasi spunto nuovo per capire cosa farà la Federal Reserve in settembre.

Mentre è prevedibile che la presidente della Bce Christine Lagarde si limiti a ricordare che le decisioni di politica monetaria ora più che mai vengono prese di riunione in riunione, sulla base dei dati (alla riunione del 14 settembre il Consiglio direttivo esaminerà le nuove proiezioni macroeconomiche degli esperti dell’Eurosistema). Resta da vedere se a settembre basterà alla Bce mantenere i tassi invariati indicando una stretta più lunga nel tempo.

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