A febbraio 2017 la scoperta di sette pianeti rocciosi, di taglia terrestre, attorno a una stella ad appena 40 anni luce da noi, destò grandissimo entusiasmo. Tre di loro, infatti, si trovano nella cosiddetta “fascia abitabile” e sono proprio questi quelli tenuti con più grande attenzione da astronomi e astrobiologi.
Vincent Bourrier, dell’osservatorio di Ginevra, ha utilizzato l’occhio del telescopio spaziale di Nasa ed Esa per misurare la quantità di raggi ultravioletti che colpisce ciascun pianeta di questo sistema.
Trappist-1, così la stella turbolenta spazza via l’atmosfera dei pianeti
Non è scontato, infatti, che la temperatura su questi pianeti sia l’unico aspetto da tener presente. Una intensa pioggia di radiazioni potrebbe aver strappato l’atmosfera (e con essa anche l’acqua) ancor prima che si fossero create le condizioni per la nascita della via. È quello che si pensa possa essere successo ai tre pianeti più interni, Trappist-1b, c, e d, che potrebbero aver perso in otto miliardi di anni una quantità d’acqua pari a circa 20 volte tutti gli oceani della Terra. “Tuttavia – si legge nel comunicato che illustra i risultati dell’indagine – i pianeti più esterni, compresi e, f e g che risiedono nella fascia abitabile, dovrebbero aver perso molta meno acqua e quindi potrebbero averne conservata un po’ sulla superficie”.
La scoperta di numerosi pianeti extrasolari, alcuni dei quali nella cosiddetta fascia abitabile (o Goldilocks zone) ha destato grande interesse intorno alla ricerca di forme di vita su altri mondi. La maggioranza delle stelle dell’universo è formata da nane rosse, più piccole e fredde del Sole e con una ‘aspettativa’ di vita molto più lunga, fino all’intera durata dell’universo stesso. La statistica suggerisce quindi che sia attorno a una di queste che bisogna cercare. Stelle di questo tipo però producono una quantità di radiazioni molto più intensa rispetto alla nostra, che è più calda ma più tranquilla.
È una specie di paradosso: per essere considerato nella fascia abitabile attorno a una nana rossa come Trappist-1 un pianeta deve essere molto vicino per raccogliere abbastanza calore (un’orbita oltre sei volte più stretta rispetto a Mercurio, per esempio, che è il pianeta più vicino al Sole) ma rimane molto più esposto alla doccia ultravioletta che scinde le molecole della sua atmosfera e la rende volatile.
Lo scenario è quello paventato anche per Proxima b, il pianeta roccioso che ruota nella fascia abitabile attorno alla stella più vicina al Sistema solare. Anche per questa scoperta l’emozione fu grandissima ma presto ci si è resi conto che potrebbe non essere proprio un luogo ideale per la formazione di vita così come la conosciamo.
Le osservazioni di Hubble però non hanno ancora risolto definitivamente questo interrogativo. Per avere nuove conferme servirà l’occhio ben più potente del suo erede, il James Webb space telescope, che dovrebbe decollare nell’ottobre 2018.