Sono 50 anni da quando l’uomo ha messo piede sulla Luna

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‘Alba della Terra’, 50 anni fa la storica foto scattata dalla luna. L’immagine fu fermata sulla pellicola da William Anders, uno degli astronauti dell’Apollo 8, alle 17 del pomeriggio ‘italiano’ del 24 dicembre 1968. Fu la prima a mostrare il nostro pianeta all’orizzonte di un pianeta  e divenne un simbolo per l’Ambientalismo.

Davanti agli occhi di Jim, Bill e Frank c’era un nuovo orizzonte, una linea sopra la quale traguardare le stelle che nessun essere umano aveva mai visto. E da quelle lande secche, grigie, ammaccate dai crateri, sorgeva un’alba che nessun occhio aveva mai ammirato. Mentre il modulo di comando dell’Apollo 8 compiva il suo giro di boa, la Terra si sollevò dalla linea curva della Luna. Gli astronauti a bordo afferrarono le macchine fotografiche e scattarono. Sulla pellicola di William Anders, cinquant’anni fa, rimase così impressa prima foto icona della conquista spaziale americana: “Earthrise”, l’alba della Terra da un altro pianeta.

Foto La Luna e la Terra viste da Marte

In Italia erano le cinque del pomeriggio del 24 dicembre 1968. Solo poche ore prima l’America aveva doppiato il “Capo di Buona speranza”, portando gli uomini a circumnavigare la Luna. Aveva compiuto il sorpasso sull’Unione sovietica. E da quel momento non ci fu più partita.
Nella tabella di marcia della Nasa, l’Apollo 8 doveva essere una missione di test. Portare astronauti in orbita attorno alla Terra e poi farli rientrare. Ma i piani cambiarono. A settembre i russi avevano lanciato la sonda Zond 5, che aveva orbitato attorno al nostro satellite e sembrava fossero pronti a inviare astronauti. Dunque bisognava accelerare.

Fu così che dall’Agenzia spaziale arrivò l’invito a Frank Borman, Jim Lovell e William Anders a cancellare programmi di cene e riunioni coi parenti. Niente vacanze di Natale per loro: dovevano partire per la Luna. Il primo equipaggio seduto in cima al Saturno V, il razzo più potente mai costruito dall’uomo. Un mostro con il quale nessun essere umano aveva ancora volato e sulla cui affidabilità ancora non c’erano certezze. Decollarono il 21 dicembre da Cape Canaveral.
Dopo meno di tre giorni e circa 326.000 chilometri divennero pionieri, attraversando quel confine invisibile dove l’abbraccio della Terra lascia il posto all’azione gravitazionale della Luna. Divennero i primi uomini a entrare in orbita attorno a un altro corpo celeste. E quelli a essersi allontanati di più: 377.349 chilometri da casa. I primi a vedere con i propri occhi il lato nascosto della Luna, e ad ammirare la Terra sorgere da un orizzonte alieno.

La celebre foto dell'alba della Terra ripresa dalla missione Apollo 8. La prima con equipaggio a bordo a raggiungere l'orbita lunare
La celebre foto dell’alba della Terra ripresa dalla missione Apollo 8. La prima con equipaggio a bordo a raggiungere l’orbita lunare

Un simbolo di una fragilità
L’alba della Terra, “Earthrise” è stata in tutti questi decenni il simbolo di una fragilità. Intima e allo stesso tempo globale: “Quella foto della Terra, vista da così lontano, mi ispira un senso di tristezza – racconta a Repubblica l’astronauta italiano di Asi ed Esa, Roberto Vittori, tre volte nello spazio sulla Stazione spaziale internazionale – perché io ho visto la Terra dalla Iss, e da lì domina il colore azzurro, che trasmette energia positiva. Se mi immedesimo in chi ha scattato quella foto, percepisco un doppio sentimento, solitudine per essere arrivati così lontano dal posto più bello del Sistema solare, il nostro Pianeta azzurro, e consapevolezza che stiamo aggredendo tutte le risorse di quell’ecosistema”.

Non a caso, quella stessa immagine è diventata col tempo una delle icone della sensibilità ambientalista, la presa di coscienza che tutto questo è appena un puntino blu nell’immensità del cosmo, e l’atmosfera è solo una sottile presenza: “Anche vista dalla Stazione spaziale internazionale, è una nebbiolina insignificante – continua Vittori – totalmente diversa dall’esperienza quotidiana. Quando guardiamo verso l’alto il cielo sembra infinito ma sono solo 100 chilometri. Il raggio della Terra è 6.000. A maggior ragione il nostro progresso tecnologico, che non si ferma, dovrà trovare il modo di far uscire dal nostro ecosistema le attività inquinanti, trasferendole per esempio proprio sulla Luna”. Ed è per questo che proprio Bill Anders ebbe a dire, di quella missione: “Siamo andati fino alla Luna per scoprire la Terra”.

L’avamposto dell’umanità
La mattina del 25 dicembre 1968 (negli Usa era la sera della vigilia), gli astronauti dall’Apollo 8 lessero in diretta tv il primo libro della Genesi: “All’inizio Dio creò il cielo e la Terra”. Un passo a testa, che si concluse con “buonanotte, buona fortuna, buon Natale e Dio benedica tutti voi, tutti voi sulla buona Terra”. Fecero ritorno dopo sei giorni e dieci orbite attorno alla Luna, sfiorandone la superficie a una distanza di un centinaio di chilometri. Avevano aperto la strada, dimostrando l’affidabilità della tecnologia delle missioni Apollo e del suo razzo.

Sulla Luna mise piede per primo Neil Armstrong. L’Aquila (“Eagle” era il nome del modulo di allunaggio) si posò al suolo il 20 luglio 1969, appena sette mesi dopo il primo sorvolo di Borman e del suo equipaggio, di cui faceva parte Jim Lovell, forse uno dei più famosi (dopo Armstrong) e “sfortunati” astronauti nella storia americana. Era lui al comando dell’Apollo 13, nell’aprile del 1970, sua la voce che pronunciò la celebre frase “Houston, abbiamo avuto un problema” (l’audio originale, che si può ascoltare sul Soundcloud della Nasa, dice proprio così, nel film di Ron Howard gli autori si sono concessi una piccola licenza nello scrivere la battuta pronunciata da Tom Hanks). L’Apollo 13 fu costretto a rientrare senza allunare. Lovell fece un altro giro attorno alla Luna senza poterla mai toccare.

Il Lunar Orbital Platform
Cinquant’anni dopo la prima esplorazione, ci stiamo preparando per tornare. Le più importanti agenzie spaziali (Nasa, Esa, la giapponese Jaxa, il Roscosmos russo e quella canadese) stanno progettando la nuova base orbitale attorno alla Luna. Una nuova Stazione spaziale internazionale che un giorno servirà magari da testa di ponte per lo sfruttamento delle risorse del nostro satellite e da piattaforma di lancio per Marte: “Lo spazio deve diventare a tutti gli effetti un normale ambiente di lavoro non solo per iniziativa delle agenzie ma anche per i privati – continua Vittori, che attualmente è addetto agli affari spaziali all’Ambasciata italiana negli Stati Uniti e responsabile dell’Asi Office a Washington e tiene i contatti per l’Italia proprio con le agenzie e le aziende private che lavorano nel settore, come SpaceX e Virgin Galactic – e la Luna ha immense risorse da sfruttare. A cominciare dalla sua polvere che, con stampanti 3D può essere utilizzata per costruire un insediamento. Inoltre c’è ghiaccio d’acqua, cioè idrogeno e ossigeno, combustibile e ossidante per i razzi che un giorno potrebbero portare i primi uomini su Marte. La Luna non ha atmosfera e la sua gravità è un sesto rispetto alla Terra. Potrebbe diventare un immenso spazioporto”.

Il Lunar Orbital Platform è un traguardo già all’orizzonte. Il primo astronauta potrebbe metterci piede già nel 2024. Ma Vittori, 54 anni compiuti a ottobre, non sogna la Luna: “È molto improbabile anche se non impossibile, perché verosimilmente non accadrà prima di quattro o cinque anni. Io sono molto legato alla Iss, missione per la quale sono stato selezionato nel 1998. È il più grande avamposto tecnologico mai costruito dall’umanità, la mia piccola speranza, un sogno che vorrei realizzare, è tornare sulla Stazione spaziale internazionale prima di chiudere la mia carriera, come ha fatto Paolo Nespoli. Sicuramente ho ancora una possibilità, ma quanto probabile e soprattutto quando potrebbe succedere, non lo so”.

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