In attesa dei dati il costo del denaro resta invariato

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Bce, quando ci sarà il taglio dei tassi? Ecco cosa ci insegna il passato. L’inflazione core sembra l’indicatore più rilevante, ma i cicli di riduzione del costo del credito sono accompagnati da moderazione salariale o una recessione in arrivo.

Cosa manca, per il primo taglio? La banca centrale europea ha preso tempo in quella riunione di marzo che – secondo gli analisti più ottimisti, forse troppo ottimisti – avrebbe dovuto segnare la prima riduzione del costo ufficiale del credito. La presidente Christine Lagarde ha chiaramente detto che la Bce ha bisogno, per decidere, di nuovi dati che non arriveranno però in tempo per il prossimo appuntamento dell’11 aprile. Gli analisti puntano quindi alla riunione del 6 giugno.

L’attesa dei dati

I dati sono la chiave. La Bce ha a disposizione più indicatori degli osservatori esterni e, soprattutto, modelli sofisticati ed economisti di elevate competenze in grado di valutarli. Un osservatore esterno deve limitare la sua analisi, ma può essere in ogni modo interessante capire a che livello fossero alcuni indicatori economici e che quale fosse la loro tendenza. Giovedì 7 marzo, nell’immediatezza della decisione di non tagliare i tassi – per esempio – Standard & Poor’s ha pubblicato una propria laconica nota, nella quale Sylvain Broyer, capo economista per l’area Emea ricordava che «da quando la BCE si occupa di definire i tassi d’interesse per l’Eurozona, li ha abbassati 21 volte, e mai quando l’inflazione core era al di sopra del 2,2%. Oggi l’inflazione core è al 3,1% e non scenderà sotto il 2,2% prima dell’estate. A meno che non si verifichi un imprevisto che influisca sulla crescita o sulla stabilità finanziaria, un taglio dei tassi della Bce a giugno è quindi lo scenario più probabile».

I cicli dei tagli dei tassi

Più che le singole occasioni di tagli dei tassi è forse più interessante valutare i cicli di riduzione del costo del credito. Se si esclude il primo taglio di aprile ’99, presto corretto, ce ne sono stati tre, nella storia della Bce: il primo è iniziato a maggio 2001, quando il tasso di riferimento è stato portato dal 4,75% al 2%, livello raggiunto nel giugno 2003; il secondo a ottobre 2008, quando è calato dal 4,25% all1% di maggio 2009, e il terzo a novembre 2011, quando è sceso dall’1,5% fino a quota zero, nel marzo 2016. Ci si può chiedere, allora, quale fosse la situazione di Eurolandia in occasione di ognuno di questi punti di svolta (di cui il terzo fu, in realtà, la correzione di un rialzo “sbagliato”).

Cambiamenti strutturali

Una premessa è necessaria. È chiaro che la situazione di Eurolandia si è profondamente, strutturalmente modificata, da allora. Soprattutto dopo il 2008, quando i grafici mostrano un vero e proprio smottamento, mai recuperato davvero. Nel senso che la velocità del trend di crescita è irrimediabilmente diminuita: anche il successivo recupero è stato soltanto parziale. Una circostanza, questa, rilevante anche per l’andamento dell’inflazione.

La frenata strutturale della crescita, però, rende qualsiasi punto di riferimento del passato troppo generoso, e non troppo rigido, per la situazione attuale. Situazione che prevede un’inflazione di febbraio al 2,6%, un’inflazione core al 3,3%, prezzi dei servizi in rialzo del 3,9%, un deflatore del pil in crescita del 5,3% annuo e salari negoziati in crescita del 4,5% nel quarto trimestre 2023 e una disoccupazione al 6,4% a gennaio.

Il primo ciclo di tagli

Il primo ciclo di tagli, da maggio 2001 a giugno 2003, fu reso necessario dalla stagnazione iniziata nel secondo trimestre del 2001. L’inflazione, in quel periodo, non era bassa. Era balzata fino al 2,7% ad aprile – l’ultimo dato conosciuto al momento della decisione di ridurre i tassi – piuttosto rapidamente in seguito all’introduzione dell’euro fisico. Si portò poi al massimo del 3,1% proprio nel mese di maggio, e dopo essere calata al 2% a novembre, risalì nuovamente fino al 2,6% di gennaio 2002. Anche il deflatore del pil, la misura più ampia di inflazione “domestica” (non pesata, però, in base alla frequenza degli acquisti), era in rialzo e raggiunse il +2,8% annuo a fine 2001 per poi calare e risalire dal secondo trimestre 2003 (quando il ciclo si concluse).

La Bce ignorò però l’andamento altalenante dell’inflazione e continuò a tagliare il costo ufficiale del credito. I dati “core” furono disponibili solo da gennaio 2002 e oscillarono per qualche mese attorno alla media del 2,5% per poi scendere fino al 2% e rimanerci a lungo. I prezzi dei servizi, disponibili da dicembre 2001, oscillarono invece intorno alla media del 3% durante tutto il ciclo di tagli. I salari negoziati risultavano però in crescita stabile al 2,7% – compatibile con l’inflazione e un moderato aumento strutturale della produttività – per tutto il periodo. Fu questo, probabilmente, il fattore che tranquillizzò la Bce; insieme alla disoccupazione che salì molto lentamente dall’8,5% all’8,7 per cento.

Il secondo ciclo di tagli

Il secondo ciclo di tagli, da ottobre 2008 a maggio 2009, coincise con la Grande recessione. La Banca centrale europea ci arrivò con un evidente errore: a luglio 2008, in seguito all’aumento del petrolio al record di 146 dollari al barile, decise di alzare i tassi convinta, anche dalle rivendicazioni salariali in Germania, che i rischi sui prezzi fossero diventati maggiori su quelli della crescita. A dominare, a ottobre, furono soprattutto considerazioni di stabilità finanziaria.

L’inflazione complessiva era a settembre 2008 – l’ultimo dato disponibile al momento della decisione – al 3,6%, ma scese poi in modo rapido, e soprattutto prevedibile, in conseguenza della riduzione dell’attività economica: a dicembre era all’1,6%, a maggio 2009 a quota zero. Successivamente passò in territorio negativo, fino al -0,6% di luglio. L’inflazione core passò dal 2,6% all’1,5% al termine del ciclo di tagli ma continuò poi a calare fino a portarsi allo 0,7% a febbraio 2010. Non molto lontano l’andamento dei servizi: dal 2,6% al 2,1%, per poi calare fino all’1,2% di aprile 2010. Il deflatore del pil sembrava meno surriscaldato: era al +2,3% a giugno, prima di iniziare un rapido calo.

I salari negoziati spiegano l’errore di luglio della Bce: dalla crescita del 2,9% del secondo trimestre 2008 si portarono al +3,4% nel terzo trimestre e al +3,6% nel quarto per poi scivolare al +1,4% del terzo trimestre del 2010. La disoccupazione salì costantemente dal 7,9% di ottobre 2008 (era al 7,3% a marzo), si portò fino al 9,6% di maggio 2009, alla fine del ciclo, e al 10,4% di aprile 2010.

Il terzo ciclo

Il terzo ciclo, iniziato nel novembre 2011 e terminato a marzo 2016, può anche essere considerato una continuazione del secondo, interrotto da un altro “errore” della Bce che, fuorviata da un rialzo del petrolio, aveva iniziato ad aprile 2011 ad alzare i tassi portandoli dall’1% fino all’1,50% di luglio per poi farli scendere di nuovo all’1% a dicembre 2011. Anche in questo caso pesarono considerazioni di stabilità finanziaria: la crisi fiscale di Eurolandia, che nel 2011 cominciò a mordere davvero, riportando Eurolandia in recessione.

Al momento del primo taglio l’inflazione complessiva era al massimo locale del 3% ma successivamente scese fino al 2% di gennaio 2013 e sottozero a dicembre 2014. L’inflazione core era però decisamente più bassa: al massimo locale del 2% al momento del primo taglio, prima di iniziare la flessione. I prezzi dei servizi erano in crescita dell’1,8% e toccarono un massimo al 2% a dicembre 2011, il mese successivo al taglio. Il deflatore del pil era molto “freddo”, intorno al +1,1% all’inizio del ciclo.
Sul fronte del mercato del lavoro, i salari negoziati erano in crescita del 2% nel terzo trimestre 2011 e accelerarono fino al 2,2%, un livello non preoccupante, di dicembre 2012, quando l’inflazione era già scesa al 2,2%; poi iniziarono anch’essi una lunga frenata. La disoccupazione, al 10,5%, continuò a salire: a gennaio 2013 era al 12,2 per cento.

E oggi?

Le conclusioni non sono difficili. L’inflazione complessiva appare meno rilevante di quella core (e persino del deflatore del pil, che però arriva in ritardo), mentre l’enfasi sui servizi che la Bce mostra oggi sembra essere legata al fatto che questi prezzi sono l’anello mancante perché l’indice di fondo si normalizzi.

Una tendenza alla riduzione dell’attività economica – la recessione nel 2008 e nel 2011 – che porti con sé un raffreddamento dei prezzi e, nel tempo, dei salari permette di ignorare dati meno propizi, mentre durante una “semplice” stagnazione, come nel 2001, occorre qualcos’altro che prometta di tenere freddi i prezzi; per esempio che salari e mercato del lavoro non mostrino tensioni tra domanda e offerta.

Oggi la Bce ha un’inflazione core – sostenuta dalla sola componente servizi – ancora troppo alta, e un mercato del lavoro che mostra salari troppo veloci e una disoccupazione troppo bassa. Qualcosa deve ancora cambiare perché si crei un equilibrio dinamico che favorisca una stagione di tagli.

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