Un nuovo test per la principale teoria del big bang. Alcuni cosmologi hanno previsto l’esistenza di un segnale oscillatorio che potrebbe distinguere tra inflazione cosmica e teorie alternative sulla nascita dell’universo
L’ipotesi più accreditata sulla nascita dell’universo – che un granello quantico di spazio si sia energizzato ed espanso in una frazione di secondo, creando un “baby cosmo” – risolve molti enigmi e si adatta a tutte le osservazioni ottenute finora. Eppure questa ipotesi di “inflazione cosmica” manca di prove definitive.
Le increspature rivelatrici che si sarebbero dovute formare nel tessuto spaziale in espansione, note come onde gravitazionali primordiali, non sono state rilevate nella geometria dell’universo neppure dai telescopi più sensibili. Negli ultimi anni la loro assenza ha alimentato teorie della cosmogenesi altrimenti sfavorite. Tuttavia l’inflazione cosmica non si arrende. In molte varianti dell’idea, le onde cercate sarebbero semplicemente troppo deboli per essere osservate.
“La questione è se si può testare l’intero scenario dell’inflazione cosmica, non solo modelli specifici”, ha detto Avi Loeb, astrofisico e cosmologo alla Harvard University. “Se non c’è una ghigliottina che possa eliminare alcune teorie, di che cosa parliamo?”
In un nuovo articolo apparso sul sito di preprint di fisica arxiv.org, Loeb e due colleghi di Harvard, Xingang Chen e Zhong-Zhi Xianyu, hanno suggerito una ghigliottina del genere. I ricercatori hanno previsto un modello oscillatorio della distribuzione della materia nel cosmo che, se rilevato, potrebbe distinguere tra inflazione e scenari alternativi, in particolare l’ipotesi che il big bang sia stato in realtà un rimbalzo preceduto da un lungo periodo di contrazione.
L’articolo deve ancora essere sottoposto a peer–review, ma Will Kinney, cosmologo che si occupa della teoria dell’inflazione all’Università di Buffalo e ora visiting professor all’Università di Stoccolma, ha detto che “l’analisi sembra corretta” e ha definito la proposta “un’idea molto elegante”.
“Se il segnale fosse reale e osservabile, sarebbe molto interessante”, ha detto in una mail Sean Carroll del California Institute of Technology.
Qualsiasi potenziale suggerimento sul big bang vale la pena di essere indagato, ma la domanda principale, secondo gli esperti, è se il presunto modello oscillatorio sia abbastanza forte da poter essere rilevato. Potrebbe non essere la decisiva ghigliottina pubblicizzata.
Se esistesse, il segnale dovrebbe manifestarsi come variazioni di densità in tutto l’universo. Immaginate di prelevare dal cielo una sorta di immensa “pallina di gelato” e di contare quante galassie vi sono dentro. Fate questo molte volte in tutto il cosmo, e scoprirete che il numero di galassie prelevate varierà al di sopra o al di sotto di qualche media. Aumentate le dimensioni della “pallina” prelevata.
Raccogliendo grandi volumi di universo, si potrebbe scoprire che il numero di galassie catturate ora varia molto di più di prima. Secondo i calcoli di Chen, Loeb e Xianyu, via via che si fanno prelievi più grandi, l’ampiezza delle variazioni di densità della materia dovrebbe oscillare tra valori più e meno estremi all’aumentare della scala. “Quello che abbiamo mostrato”, ha spiegato Loeb, è che sulla base della forma di queste oscillazioni “si può dire se l’universo si stava espandendo o contraendo quando sono state prodotte le perturbazioni di densità”, riflettendo rispettivamente una cosmologia inflazionistica o di rimbalzo.
Indipendentemente da quale sia la teoria della cosmogenesi corretta, i cosmologi ritengono che le variazioni di densità osservate oggi in tutto il cosmo siano state quasi certamente seminate da oscillazioni casuali in campi quantistici che esistevano molto tempo fa.
A causa dell’incertezza quantistica, qualsiasi campo quantistico che riempisse l’universo primordiale avrebbe fluttuato con increspature di tutte le diverse lunghezze d’onda. Periodicamente, increspature di una certa lunghezza d’onda avrebbero interferito costruttivamente, formando picchi o, in modo equivalente, concentrazioni di particelle. Queste concentrazioni si sono poi trasformate nelle variazioni di densità della materia osservate sulle diverse scale nel cosmo di oggi.
“Ma che cosa ha fatto congelare i picchi di una determinata lunghezza d’onda nell’universo, quando lo hanno fatto? Secondo il nuovo articolo, la tempistica è correlata al fatto che i picchi si siano formati mentre l’universo si stava espandendo esponenzialmente, come nei modelli di inflazione, o mentre si stava contraendo lentamente, come nei modelli di rimbalzo.
Se l’universo si fosse contratto nel periodo precedente al rimbalzo, le increspature nei campi quantistici sarebbero state schiacciate. A un certo punto l’universo osservabile si sarebbe contratto a una dimensione più piccola delle increspature di una certa lunghezza d’onda, come un violino la cui cavità risonante è troppo piccola per produrre i suoni di un violoncello.
Scomparendo le increspature troppo grandi, quali che fossero i picchi (o le concentrazioni di particelle) esistenti a quella scala in quel momento, essi sarebbero rimasti “congelati” nell’universo.
Poi, con l’ulteriore restringimento dell’universo osservabile, sarebbero scomparse increspature a scale sempre più piccole, congelandosi sotto forma di variazioni di densità. Increspature di alcune dimensioni avrebbero potuto interferire costruttivamente nel momento critico, producendo variazioni di densità di picco a quella scala, mentre increspature leggermente più corte, scomparse un attimo dopo, potrebbero essersi congelate fuori fase. Sono queste le oscillazioni tra le variazioni di alta e bassa densità che Chen, Loeb e Xianyu sostengono che dovrebbero teoricamente apparire quando si cambia la dimensione della “pallina di gelato” galattica.
Queste oscillazioni sarebbero emerse anche se l’universo avesse sperimentato, invece, un periodo di rapida inflazione. In questo caso, crescendo sempre più, sarebbe stato in grado di adattare le increspature quantistiche a lunghezze d’onda sempre più grandi. Le variazioni di densità sarebbero state impresse nel cosmo a ogni scala nel momento in cui si fossero formate increspature di quella dimensione.
Gli autori sostengono che una differenza qualitativa tra le forme delle oscillazioni nei due scenari rivelerà quale di essi si è verificato. In entrambi i casi, è come se il campo quantistico avesse messo delle tacche su un pezzo di nastro che scorre, descrivendo così un universo in espansione o in contrazione.
Se lo spazio si fosse espanso in modo esponenziale, come nell’inflazione, i segni impressi dal campo nell’universo dovrebbero allontanarsi tra loro sempre di più. Se l’universo si fosse contratto, i segni dovrebbero diventare sempre più vicini in funzione della scala. Così Chen, Loeb e Xianyu sostengono che il cambiamento della separazione tra i picchi delle variazioni di densità in funzione della scala dovrebbe rivelare la storia evolutiva dell’universo. “Possiamo finalmente vedere se l’universo primordiale si stava effettivamente espandendo o contraendo, e se lo ha fatto in modo inflazionario veloce o estremamente lento”, ha detto Chen.
L’aspetto esatto del segnale oscillatorio e la sua forza dipendono dalla natura, sconosciuta, dei campi quantistici che potrebbero averlo creato. La scoperta di un simile segnale ci direbbe qualcosa degli ingredienti cosmici primordiali.
Per quanto riguarda il fatto che il presunto segnale apparirà nelle future ricognizioni galattiche “la buona notizia”, secondo Kinney, è che il segnale è probabilmente “molto più facile da rilevare” di altri segnali cercati, detti “non-gaussiani”: triangoli e altre disposizioni geometriche della materia nello spazio che verificherebbero e rivelerebbero anche i dettagli dell’inflazione. La cattiva notizia, però, “è che forza e forma del segnale dipendono da molte cose che non si sanno”, ha detto Kinney, come le costanti i cui valori potrebbero essere pari a zero, ed è del tutto possibile che “non ci sia alcun segnale rilevabile”.
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato l’11 settembre 2018 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)
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