L’ “onestà” di un hacker ha il suo codice d’ “onore!”

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L' "onestà" di un hacker ha il suo codice d' "onore!"
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Il pirata tuona su Twitter: “il mio ransomware non è una truffa”. La surreale discussione ha coinvolto il cyber-criminali che ha reagito dopo l’accusa di essere un truffatore. Secondo lui è un criminale “corretto”.

Non è così insolito trovare delle discussioni su Internet in cui il senso comune viene totalmente stravolto. Spesso, infatti, la “vis polemica” di chi si impegna in un flame sul Web finisce per superare ogni limite del buon senso e sfociare nel surreale.

Il caso riportato da Lawrence Abrams su Bleeping Computer, però, raggiunge vette degne dei più grandi autori del teatro dell’assurdo.

Protagonisti della vicenda sono un gruppo di ricercatori di sicurezza che si sono trovati coinvolti in un’insolita discussione su Twitter, quando lo sviluppatore di un ransomware ha protestato per il fatto di essere stato accusato di essere un truffatore.

Il malware in questione è King Ouroboros, un classico cripto-ransomware che codifica i file delle vittime e chiede un riscatto per ottenere la chiave che permette di avere nuovamente accesso ai dati.

Il malware, una volta installato sul computer della vittima, modifica il nome di tutti i file crittografati inserendo la stringa king_ouroboros, copia sul disco un messaggio con la richiesta di riscatto e modifica lo sfondo del computer con un’immagine che ribadisce il concetto in maniera abbastanza esplicita.

Insomma: non ci sono grossi dubbi che non si tratti esattamente di un’applicazione di produttività o di un qualche prodotto per il quale il suo creatore possa rivendicare una qualche utilità.
Insomma: non ci sono grossi dubbi che non si tratti esattamente di un’applicazione di produttività o di un qualche prodotto per il quale il suo creatore possa rivendicare una qualche utilità.

Nonostante ciò, il programmatore che ha creato King Ouroboros si è sentito ingiustamente accusato dai siti che hanno “parlato male” del suo prodotto.

A far scattare le proteste del creatore del ransomware sono state le insinuazioni riguardo il fatto che il sistema di decodifica dei file non funzionasse e che il pagamento del riscatto fosse in definitiva inutile.

“Le accuse sono state pubblicate senza nemmeno che gli autori abbiano provato a contattarci per avere la prova di quello che stanno dicendo”. Lo ha scritto davvero?
“Le accuse sono state pubblicate senza nemmeno che gli autori abbiano provato a contattarci per avere la prova di quello che stanno dicendo”. Lo ha scritto davvero?

Un bel guaio per chi spera di guadagnare tanti bei Bitcoin con il suo malware, ma che difficilmente può giustificare le accuse nei confronti dei siti che, a suo dire, avrebbero pubblicato articoli imprecisi, in cui gli autori (sigh!) non avrebbero tenuto conto del fatto che in passato si fosse fatto in quattro per aiutare (ri-sigh!) le vittime che incontravano problemi a pagare il riscatto o a recuperare i file cancellati per errore.

L’impressione, in definitiva, è che piuttosto che perdere tempo su Twitter, l’autore di King Ouroboros dovrebbe farsi vedere in fretta da qualcuno. Possibilmente da uno bravo…

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