
Il gruppo di studiosi, coordinato da Ernest Arenas, propongono una via alternativa a quella del trapianto e che consiste nell’indurre, direttamente nel cervello, alcune cellule nervose a cambiare identità, trasformandosi in neuroni dopaminergici. Il primo passo è stato quindi cercare i geni che permettono ai neuroni che producono dopamina di svilupparsi e maturare. I ricercatori ne hanno individuati quattro che, introdotti nelle cellule che costituiscono l’impalcatura del sistema nervoso, chiamate astrociti, le hanno spinte a trasformarsi in neuroni dopaminergici.
Lo studio è durato complessivamente 6 anni e, secondo gli esperti, potrebbe aprire speranze nella lotta contro la malattia. “E’ la prima volta – spiega Pia Rivetti di Val Cervo del Laboratory of Molecular Neurobiology dell’Istituto Karolinska di Stoccolma, una delle autrici di questo studio – che viene osservato un miglioramento dei sintomi del Parkinson, in topi da laboratorio, a seguito di una riprogrammazione cellulare avvenuta nel cervello. Inoltre, la nostra scoperta fornisce una fonte di neuroni dopaminergici alternativa a quelle già sperimentate in passato. La tecnica che abbiamo sviluppato al Karolinska permetterebbe di sostituire le cellule morte nella malattia in maniera veloce e potenzialmente meno costosa di una terapia cellulare”. Ma che tipo di cellule vengono usate? “Le cellule da utilizzare in un trapianto sperimentale per il Parkinson possono avere diverse origini: da tessuto cerebrale fetale umano, da cellule staminali embrionali umane o da fibroblasti umani. In tutti e tre i casi le cellule vanno coltivate, o differenziate o riprogrammate prima di venire trapiantate nel paziente, il che comporta un tempo per preparare le cellule da trapiantare, e l’immunosoppressione del paziente. Oltre a questi aspetti tecnici, nel caso delle cellule fetali ed embrionali umane esistono anche dei problemi di natura etica tuttora in discussione in alcuni paesi, che ne impediscono l’utilizzo”.
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Che cosa avete scoperto testando questa tecnica sui topi? “La grande novità riportata nel nostro studio risiede nel fatto che è stato possibile realizzare questa riprogrammazione direttamente nel cervello dei topi di laboratorio usati come modello di Parkinson, senza dover eseguire un trapianto di cellule. A seguito di questo trattamento e nel giro di sole 5 settimane, gli animali hanno recuperato parte delle capacità motorie perdute.
Ci vorrà tempo prima di sperimentare questa tecnica sull’uomo. “Nonstante questi risultati siano molto incoraggianti, – conclude Rivetti di Val Cervo – una lunga fase di sperimentazione rimane da affrontare per rendere questa tecnica sufficientemente sicura ed efficace da essere testata su pazienti umani “.
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