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Il cyberbullismo online è questione di trasgressione sociale?

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Ricerca Polizia-Sapienza: “Cyberbulli sedotti dal fascino della trasgressione”. Come spiegare nelle scuole i rischi della Rete? Professoressa Giannini: “Casi reali per spiegare il virtuale. Abbiamo capito che gli adolescenti sono sensibili emotivamente alla sofferenza subita dalle vittime e al dramma dei guai passati dagli autori delle violenze online”.

“L’adolescente è vittima del ‘paradosso del giovane navigatore’: sa che alcuni comportamenti sono vietati. Ma li compie lo stesso sedotto dal fascino della trasgressione. Per fargli capire che sbaglia, bisogna metterlo davanti al fatto compiuto di storie vere: la sofferenza forte procurata alla vittima e il danno che subisce l’autore del comportamento trasgressivo”.

Il reale per spiegare il virtuale. La professoressa di Psicologia alla Sapienza, Anna Maria Giannini,  ha coordinato una ricerca – in collaborazione con la Polizia Postale – sul cyberbullismo. L’innovazione dello studio dal titolo a tema “Quanto condividi” consiste nel fatto che per la prima volta psicologi ed esperti della sicurezza hanno voluto indagare insieme sui meccanismi che spingono gli adolescenti a comportamenti a rischio sul Web.

Il kit di strumenti per gli educatori. Alla fine della ricerca è stato elaborato un toolkit (kit di strumenti) che illustra fenomeni allarmanti per gli adulti, purtroppo frequenti nell’esperienza dei ragazzi, come l’adescamento in rete nelle sue forme più attuali, il cyberbullismo (così come declinato nella nuova Legge n. 71 del 29 maggio 2017), i disturbi alimentari condivisi in rete, l’autolesionismo e il gioco online come nuove forme di dipendenza psicologica virtuale, con una formula aperta alle integrazioni e alle novità emergenti.

Quando la rete diventa un incubo: le storie delle vittime di cyberbullismo

Doppia dimensione: cognitiva e emotiva. “Abbiamo finalmente capito – spiega Giannini – che gli adolescenti vivono, se così si può dire, una doppia dimensione: una cognitiva, l’altra emotiva. A livello razionale sanno perfettamente, ad esempio, che pubblicare la foto della fidanzata in atteggiamenti intimi su Facebook per ripicca o vendetta o per una stupida bravata è un comportamento da non fare. A livello emotivo, tuttavia, prevale la spinta della trasgressione che li porta a pubblicare quella foto”.

Legge contro il cyberbullismo: ecco cosa prevede

Con chi parla la vittima. Un altro importante risultato delle ricerca è il fatto che quando un adolescente si trova a vivere nei panni della vittima una esperienza di cyberbullismo prima si rivolge agli amici, poi ai genitori e solo in ultimo agli insegnanti. Questo è un dato che dovrebbe fare riflettere la scuola.

Il risultato/1: parlare alla parte emotiva. “Avendo capito questo – spiega ancora la docente – abbiamo pensato di trovare un modo per comunicare a quella parte emotiva degli adolescenti. Come? Presentando casi reali di bullismo spiegando la forte sofferenza della vittima che grazie a quei comportamenti ha avuto la vita distrutta. E contemporaneamente i guai a cui è andato incontro il bullo, anche lui con la vita rovinata da denunce, processi, richieste di danni, e fedina penale macchiata.

Il risultato/1: “Strumenti nuovi agli insegnanti”. Sono stati definiti contenuti di un toolkit per la formazione Safe Web: osservazione e azione per la protezione degli studenti in rete insieme alla Polizia di Stato. Si tratta di uno strumento pratico pensato per  insegnanti, adulti determinanti nella vita dei ragazzi e vicini ai linguaggi dei giovani e che riassume la pluriennale esperienza di contatto diretto della Polizia Postale e delle Comunicazioni con vittime e autori di reati online, con le loro famiglie, con educatori e operatori della tutela dei minori.

Il ruolo (negativo) dei genitori. “Una grande responsabilità del degenerare dei comportamenti in rete degli adolescenti è dei loro genitori – spiega Anna Maria Giannini – sono loro che in primis devono educare i figli a comportamenti corretti. In particolare non devono avere coi loro figli comportamenti oppositivi rispetto ai messaggi educativi della scuola. Se in classe gli insegnanti spiegano che pubblicare le foto in certe situazioni è vietato, madre e padre non devono a casa avere un atteggiamento ambiguo, magari dando l’esempio contrario. È come quel genitore che dice al figlio che le sigarette fanno male. E poi gli fuma davanti”.

Ma perché questa ricerca? Era un passo obbligato, spiegano gli autori, dopo l’entrata in vigore della legge su cyberbullismo che, per dirla con le parole del capo della Polizia Franco Gabrielli, “punta correttamente sulla formazione, sull’educazione e sul recupero prima ancora che sulla sanzione”. Inoltre, s’era capito che presentarsi alle scuole facendo leva sulla componente ‘cognitiva dei ragazzi era inutile. Spiegare ai ragazzi “la legge vieta la pubblicazione delle foto…” è del tutto inutile.

Come rivolgersi agli adolescenti? S’è voluto in sostanza trovare un nuovo linguaggio per comunicare con il mondo degli adolescenti, responsabilizzandoli fino a raccontare loro come il cyberbullismo si traduca nel reale in sofferenze e danni per vittima e autore.

I social preferiti dagli adolescenti. L’attrazione tra giovani e nuove tecnologie è oramai inarrestabile: secondo i dati della ricerca Sapienza-Polizia Postale, 9 ragazzi su 10 usano Instagram per comunicare tra loro, 6 su 10 hanno e usano giornalmente un profilo Facebook. È per stare insieme in rete, per socializzare e soddisfare la curiosità tipica dell’età che 6 ragazzi su 10 usano i social network, in contatto globale, 24 ore su 24, per 9 ragazzi su 10 sempre soprattutto attraverso gli smartphone.

I cinque casi ‘educativi di cyberbullismo. Sono stati selezionati cinque casi di reati on-line compiuti da minori tra quelli più significativi arrivati all’attenzione del Cncpo, Polizia Postale, i cui esiti sono stati ricostruiti dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità resi disponibili dal Dipartimento della giustizia minorile, che riguardano azioni compiute da minori autori di reato.

Erika, una ragazza di 16 anni, ha una storia con Daniele. Viene a sapere che Daniele è uscito una sera con un’altra ragazza e questo le scatena una forte reazione di gelosia. Per verificare la fedeltà di Daniele, Erika apre quindi un falso profilo su Facebook dal quale comincia ad inviare minacce, insulti e molestie al fidanzato e a molti coetanei della stessa comitiva di amici.

Alessia, una ragazza di 14 anni, si fotografa nuda e per gioco invia la foto a tre suoi amici, Giuseppe, Mattia e Riccardo di 16, 17, 18 anni rispettivamente. I tre amici poi diffondono la foto, prima su WhatsApp e poi, insieme ad altre ritraenti altre ragazze, viene pubblicata anche su blog studentesco gestito da una coetanea.

Marco ha 15 anni ed è il fratello di una compagna di classe di Lucia, una ragazza di 13 anni. Cerca di conoscerla e dopo poco inizia a pressarla chiedendole di inviargli foto nude o video a contenuto erotico. Lucia accetta di inviargli un video in cui compie atti di autoerotismo a patto che lui, dopo averlo visionato, lo cancelli. Dopo un primo invio, Marco ricomincia a pressare Lucia  per averne altri. In seguito alle pressioni la ragazza blocca il contatto di Marco su tutti i profili social e lui, per ripicca, diffonde il video che però arriva fino agli Insegnanti della Scuola di Lucia.

Simone e Vincenzo, due ragazzi di 16 anni, sono protagonisti di un video girato con i loro telefonini mentre consensualmente e contemporaneamente hanno rapporti sessuali con le loro fidanzatine di 15 e 16 anni, Valeria e Rebecca. Mentre Simone non ha fatto vedere i video a nessuno ma li ha conservati nel cellulare per 4 mesi, Vincenzo li invia ad un solo amico, il quale li ha ulteriormente condivisi su WhatsApp.

Fabio ed Edoardo, di 16 anni entrambi, sono considerati responsabili della distruzione della reputazione di Jessica attraverso la diffusione di un video a contenuto sessuale tra Jessica ed Edoardo girato consensualmente. Francesco di 16 anni e Ludovica di 17, intervengono in difesa di Jessica, insultando Fabio ed Edoardo, creando fotomontaggi dove si fanno pesanti allusioni sessuali ai loro danni, minacciandoli di morte e intimidendoli su Facebook.

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