Evento OnLife su internet, da Arpanet all’intelligenza artificiale

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Con Verdelli via a OnLife. Poi Kleinrock: “50 anni fa ho acceso la rete”. E Rus: “Non temete l’Intelligenza artificiale”. Ci siamo, è iniziato OnLife e la sua sfida per esplorare i segreti del nostro futuro.

A prendere la parola, sul palco dell’Aula Natta, è il direttore di Repubblica Carlo Verdelli insieme alla prorettrice del Politecnico di Milano Donatella Sciuto e alla giornalista Laura Pertici. Dopo di loro, a raccontarci il passato e il futuro di internet e delle tecnologie digitali, toccherà a Leonard Kleinrock, l’uomo che ha “collegato” per la prima volta la Rete, e Daniela Rus del laboratorio Mit dove si studia l’Intelligenza artificiale.

A fare gli onori di casa è Donatella Sciuto che racconta la sfida di insegnare il futuro ai 44mila studenti dell’ateneo. Ricorda i numeri in crescita delle donne nel mondo della tecnologia e del futuro, “ma le aziende dovrebbero fare più attenzione alla differenziazione fra ragazze e ragazzi. Le ragazze sono in grado di fare tanto, perfino di più dei ragazzi molte volte. Per noi oggi, parlare di futuro, è un occasione per discutere qui a OnLife di come i cambiamenti tecnologici impattano sulle nuove generazioni. Noi siamo la prima università che ricevette un calcolatore elettronico: da allora non ci siamo più fermati, continuando a sviluppare il digitale e oggi ci spingiamo verso la ricerca e le intelligenze artificiali. Lavorare con le tecnologia è una opportunità, ma dobbiamo anche conoscere i rischi, la ricerca deve essere responsabile, ci vuole una etica delle tecnologie, che si sposa perfettamente con le riflessioni di OnLife”.

Con Carlo Verdelli il via all'evento di OnLife e Lena per osservare e raccontare il "futuro visto da vicino". Poi lo scienziato affascina la platea con il suo racconto: "Così 50 anni fa ho acceso la rete"
Con Carlo Verdelli il via all’evento di OnLife e Lena per osservare e raccontare il “futuro visto da vicino”. Poi lo scienziato affascina la platea con il suo racconto: “Così 50 anni fa ho acceso la rete”

Poi a prendere la parola è il direttore di Repubblica Carlo Verdelli: “Iniziamo dal nome, OnLife, il futuro visto da vicino. OnLife è un neologismo, inventato da Luciano Floridi, nasce dal fatto che non c’è più una reale differenza fra l’essere connessi o disconnessi. Esiste una grande zona ibrida che racconta le nostre esperienze, appunto, è l’OnLife. Significa parlare di tecnologia, ma soprattutto approfondire la condizione umana di oggi, capirne i rischi. E’ il nuovo tempo e il continente dove siamo sbarcati. Parliamo di “futuro visto da vicino”: a Repubblica e al gruppo Lena il futuro interessa, ma soprattutto interessa il futuro-presente, un modo verbale che non esiste in grammatica, ma esiste nella condizione umana di questa decade. Quando uscì Blade Runner sembrava un film di fantascienza, ora a parte le macchine volanti e poco altro è realtà”.

Citando Dan Brown, Verdelli racconta come “i dati di fatto ci dicono che questo mondo, OnLife, non è un dibattito teorico, è concreto. Angela Merkel ha appena stanziato 100 miliardi di euro per rendere più verde e sostenibile la Germania. Anche su questo dobbiamo dibattere: quanto tempo rimane al nostro Pianeta? Dieci anni, al massimo dodici, per mitigare i danni che abbiamo prodotto ci dicono gli scienziati”, aggiunge il direttore ricordando che OnLife affronterà i temi connessi: la crisi climatica e lo sviluppo tecnologico.

“A 60 anni dalla nascita di internet, abbiamo deciso di fare il punto per capire dove stiamo andando, partendo proprio da Kleinrock, che inizò la grande avventura di internet”, conclude Verdelli.

Applausi per Leonard Kleinrock, che inizia la sua lezione parlando di come è riuscito a creare il “primo pezzo” di internet, il primo collegamento. “Avevamo prima la teoria matematica, sapevamo come doveva essere, prima che la rete cominciasse a funzionare. Come oggi con la tecnologia, prima la si immagina e poi molto dopo si realizza. L’Arpa, nel 1967, ha messo insieme un team di persone per passare dalla teoria alla pratica, per mettere dei router in giro per il Paese e creare la rete. L’Ucla è stato il primo nodo. Il 3 luglio 1969 il primo comunicato stampa. “Allora dissi che le reti sarebbero state solo l’inzio, che avremmo visto la diffusione dei computer in tutte le case, un po’ come gli elettrodomestici. Lo dissi nel 1969”.

“Avevo ragione su molte cose, ma non avevo assolutamente pensato ai social network – continua Kleinrock nella sua lezione –  Pensavo a computer che parlavano, ma non a persone, l’ho capito solo con l’arrivo della mail. Nel 1969 Stanford e Ucla fecero parlare due computer”.

Nel suo lungo racconto sulla nascita di internet, ricorda con nostalgia “noi giovani ingegneri, che capivamo poco, ma sapevamo di dar vita a una nuova tecnologia. Dovevamo sperimentare tanto. Il primo router era grande quanto un frigorifero, talmente brutto dentro da essere bello: era una macchina lentissima. Ci si poteva fare veramente poco. Poi, grazie ai due nodi, quello di Ucla e Standford, abbiamo dato origine alla connettività: era il primo pezzo di internet. Il 29 ottobre 1969, ore 22.30, il primo messaggio inviato: la sola traccia rimasta è scritta a penna su un registro”.

Poi Kleinrock ricostruisce i primi segnali di un internet con un “lato oscuro”: “Era il 1994 quando venne lanciato il primo messaggio di spam”. Da allora molte cose sono cambiate. “Il nostro internet era etico, di fiducia, aperto, gratis e condiviso”.

“Oggi internet è passato da risorsa digitale affidabile a moltiplicatore di dubbi, da mezzo di condivisione di notizie a strumento dal lato oscuro. Permette di fare di tutto,  di arrivare a milioni di utenti a costo zero in maniera anonima: è perfetto per richiamare anche l’illecito. Il Male. Il 50% delle mail? Sono spam. Poi abbiamo assistito a invasione della privacy, virus, furto di identità, pornografia e pedofilia, fake news. Il problema nasce quando la Rete è diventata una macchina da guerra e così il settore privato ha trasformato un bene pubblico in qualcosa a fine di lucro”.

Kleinrock si chiede “cosa avremmo dovuto fare?”. Pensare a come “autenticare i file in modo univoco, perché il file che viene inviato attraverso il web sia garantito e mai alterato o cambiato. E anche una forte identificazione degli utenti. Ma non lo abbiamo fatto. Dovevamo capire che sarebbe emerso il lato oscuro e mettere dei paletti. Ora è difficilissimo affrontare questo sistema”.

Parla del rischio di un “internet balcanizzato”, dove gli hacker “persone folli, possono fare grandi danni. In futuro potremmo assistere a una rete nella quale ogni Paese protegge il proprio recinto senza poter più parlare con altri Paesi. Sarebbe una vergogna, sconfesserebbe la vocazione iniziale di internet, che invece dovrebbe restare un presupposto inalienabile”.

Dopo un lungo racconto che passa dalla potenzialità della Blockchain fino all’internet delle cose, Kleinrock conclude prevedendo che in futuro sarà protagonista “l’invisibilità delle strutture, delle macchine. Useremo interfacce cerebrali. Io credo che in termini di infrastrutture avremo un  sistema nervoso pervasivo globale per interagire”.

E se gli si chiede chi ha il potere di comprendere l’internet del futuro, Kleinrock dice: “Sarà un mondo nuovo: ma per capirlo dovrete chiedere ai vostri figli, lo sanno meglio di noi”.

Daniela Rus raccoglie il testimone e racconta un mondo delle macchine che si sta evolvendo molto velocemente. E’ il suo campo e alla guida del laboratorio del Massachusetts Institute of Technology di Boston, avamposto delle sperimentazioni di robotica, Rus può ben dire di vederne delle belle ogni giorno. Dopo Kleinrock è lei a salire in cattedra nella sala Natta del PoliMi per snocciolare i nuovi traguardi dell’intelligenza artificiale e il progresso delle macchine di fronte alla platea arroccata su sedili in legno che guardano al passato. E invece, ascoltandola, facciamo un altro passo in avanti verso il futuro.

Robotica, Intelligenza artificiale, machine learning. Tre campi che procedono in parallelo incontrando i loro sforzi per aiutare il genere umano. Pensiamo solo alla salute. Una macchina in grado di diagnosticare un tumore, un carcinoma, con un margine di errore dello 0,5% vuol dire che la collaborazione uomo-macchina può costruire il migliore dei mondi. Le applicazioni possono essere infinite, il potenziale benefico appunto. La giurisprudenza. E qualche esempio che potrebbe davvero cambiare le cose, come le traduzioni simultanee. Pensiamo a un mondo che comunica in tempo reale. Oppure all’elaborazione dei dati: l’efficienza nella gestione dei big data potrebbe rappresentare una vera svolta per il consumo di energia. Ma la guida autonoma già da sola dimostra i passi compiuti finora con l’apprendimento automatico. Con tutti i limiti che può avere il sistema neurale: per esempio, evitare gli ostacoli.

Un tema interessante anche nell’ambito degli indossabili. Rus decrive un sistema in braille da applicare alla cintura per non vedenti (così da “vedere” una vetrina o un ostacolo). “Siamo riusciti a progettarlo per Andrea Bocelli e vedere così dove può arrivare l’interazione uomo-macchina è incredibile. Provate a chiudere gli occhi, siete pronti a NON vedere una sedia davanti a voi in una stanza? Ecco, un nostro utente ha testato una cintura che vibra in prossimità di un ostacolo ‘mostrandogli’ il mondo, per esempio per guidarlo verso una panchina”, spiega Rus. E l’universo dei nuovi materiali è una frontiera ancora da indagare per accorciare il divario tra uomo e macchina. Robot flessibili in grado di sollevare, muovere e spostare oggetti ci portanno anni luce avanti rispetto a quei robot industriali giganteschi creati anni fa.

I robot amici, dunque, ma anche nemici. I pericoli intravisti sono tanti, dalla privacy all’occupazione. “I robot ci ruberanno il lavoro?”, si chiedono in tanti. In realtà, lavoriamo perché ci sollevino dalla routine del lavoro, senza per forza sostituirci. Non è facile immaginare quello che avverrà, a cominciare dalle nuove professioni che hanno rimpiazzato quelle del passato. “Sono ottimista, le nuove tecnologie ci porteranno nuove competenze”, spiega Rus senza tentennamenti. Nel 1962 J.F. Kennedy disse: “Se gli uomini hanno avuto il talento per inventare le macchine che si prenderanno il lavoro, allora sapranno usare lo stesso talento per tornare al lavoro”. “Sono d’accordo – dice sorridendo Daniela Rus – ma aggiungerei qualcosa alla frase: le donne”.

Come sarà il nostro futuro? Rus ci aiuta a immaginarlo. “Vi svegliate alle 7.59 con l’assistente vocale che vi informa sul meteo, vi aiuta a vestirvi e a fare colazione. – racconta Rus – Poi passeggiate davanti a una vetrina e comprate un abito che vi piace, senza neppure provarlo, perché lo vedete proiettato su di voi. E magari quello stesso scan vi mostra qualche problema medico di cui non conoscevate l’esistenza. Quindi, salite su un’auto volante e fate una piccola sosta per acquistare una pianta. Finché, quando andate dormire, potete scegliere di ascoltare e vedere un romanzo interattivo. E’ un domani migliore, quando eviteremo gli incidenti stradali, cureremo più facilmente le malattie, comunicheremo senza traduttore e avremo un lavoro che ci permetterà di occuparci della parte più creativa. Lasciando alle macchine il grosso della fatica. Ma per avere tutto questo dobbiamo continuare a investire nella scienza e procedere a grandi passi con il computational thinking, che ci aiuterà a trasformare in realtà ciò che abbiamo appena immaginato”.

“C’è chi si preoccupa molto e ha visioni apocalittiche. – conclude Rus – Ma per essere davvero  ottimisti dobbiamo pensare che dipende solo da noi: il futuro è nelle nostre mani.

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