Si chiama BB. Viene da Oort. E si è svegliata, una cometa enorme e lontanissima con una chioma di gas e di polveri.
La più grande cometa mai scoperta – C/2014 UN271 Bernardinelli–Bernstein, o cometa BB – è diventata attiva a una distanza dal Sole molto superiore al previsto: già a 23.8 unità astronomiche mostrava segni di attività. Se n’è accorto un team di astronomi dell’università del Maryland analizzando le immagini acquisite dal telescopio spaziale Tess della Nasa fra il 2018 e il 2020.
Le iniziali sono quelle rese celebri da Brigitte Bardot: BB. E stanno per i nomi dei due astronomi che per primi l’hanno individuata, passando al setaccio sei anni di dati della Dark Energy Survey: Pedro Bernardinelli e Gary Bernstein della University of Pennsylvania (Usa). Quando nel giugno scorso ne venne annunciata la scoperta (con il nome di C/2014 UN271), a sorprendere furono anzitutto le sue dimensioni: per quanto ancora lontanissima, era già evidente che si trattava di una cometa monstre, circa mille volte più massiccia di una tipica cometa. Con i suoi 100 km di diametro è probabilmente la cometa più grande scoperta nei tempi moderni. Ora, sempre spulciando fra i dati di un telescopio – questa volta un telescopio spaziale, il cacciatore di pianeti Tess della Nasa –, un team guidato da Tony Farnham della University of Maryland (Usa) ha messo in luce un’altra caratteristica da record di questo oggetto peculiare: nonostante la sua enorme distanza dal Sole – a oggi si trova a quasi tre miliardi di km dalla Terra, dunque ancora ben oltre l’orbita di Urano – la cometa BB già mostra segni di attività.
Un segno distintivo dello stato d’attività di una cometa è la presenza della chioma: un involucro di gas e polvere che si forma – man mano che l’oggetto si avvicina al Sole – a seguito della sublimazione degli elementi volatili presenti nel nucleo. I dati della Dark Energy Survey – quelli che hanno messo in evidenza il nucleo luminoso di Bernardinelli-Bernstein, consentendone così la scoperta – non avevano però una risoluzione sufficientemente elevata per rivelare la presenza o meno della chioma. Quando Farnham ha saputo della scoperta, la prima cosa che si è chiesto è stata dunque se fosse possibile recuperarne alcune immagini dall’archivio di un altro telescopio: Tess, appunto, che tenendo lo sguardo puntato per 28 giorni sulle aree di cielo osservate ha tempi di esposizione molto lunghi, e dunque – nel caso avesse inquadrato BB – avrebbe potuto fornire maggiori dettagli.
L’intuizione era giusta, ma è servito comunque parecchio impegno per estrarre immagini con la nitidezza richiesta. Farnham e colleghi hanno infatti dovuto elaborare migliaia di immagini della cometa BB, raccolte da Tess dal 2018 al 2020, usando una tecnica ben nota agli astronomi – il cosiddetto stacking – che consente, sovrapponendo più esposizioni della stessa inquadratura, di aumentare il contrasto e ottenere una visione dell’immagine più nitida. Un lavoro che richiede pazienza e precisione: poiché le comete si muovono, prima di poterli sovrapporre è necessario riallineare con precisione ogni fotogramma. Sforzo premiato: poco a poco l’immagine è diventata più nitida, il rumore si è ridotto, e alla fine BB è emersa in tutto il suo splendore – nebbiosa chioma di polvere compresa. Segno inequivocabile di attività, e questo a distanze di 23.8 e 21.2 unità astronomiche.
«Queste osservazioni spostano enormemente più in là di quanto pensassimo le distanze delle comete attive», sottolinea Farnham, ricordando che solo di un’altra cometa si aveva testimonianza d’attività in corso a distanze dal Sole superiori a queste di BB. Ma era un oggetto assai più piccolo di BB, le cui dimensioni fanno impallidire quelle di qualunque altra cometa conosciuta.
Il risultato, pubblicato oggi su The Planetary Science Journal, va oltre il semplice record: “palle di neve sporca”, o “palle di terra ghiacciata”, come sono a volte chiamate, le comete sono conglomerati di polvere e ghiaccio provenienti direttamente dall’alba del Sistema solare. Le temperature alle quali iniziano a sublimare, man mano che la loro orbita le porta più vicino al Sole, dipendono essenzialmente dal tipo di ghiaccio che contengono: acqua, anidride carbonica, monossido di carbonio o qualche altro composto ghiacciato. Osservazioni come questa compiuta con Tess forniscono dunque informazioni assai preziose per ricostruire il passato remoto del nostro angolo di universo.
Per saperne di più: Leggi su The Planetary Science Journal l’articolo “Early Activity in Comet C/2014 UN271 Bernardinelli–Bernstein as Observed by TESS”, di Tony L. Farnham, Michael S. P. Kelley e James M. Bauer
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