Arriverà l’intelligenza artificiale a pensare come gli esseri umani?

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L’origine del pensiero. Apprendere ad apprendere: ecco come nasce l’intelligenza artificiale. L’Intelligenza Artificiale ha lo scopo di rendere automatico il pensiero. Abbiamo imparato a rendere automatiche delle procedure materiali: il motore, il frigorifero, il laser, le catene fisiche e chimiche della materia e della energia. Ma il pensiero è diverso: il pensiero non sembra avere una massa, è invisibile anche a ciò che ci sembrava invisibile. Eppure, anche senza massa, i pensieri si attraggono tra loro. Il pensiero sembra una parola nata al plurale.

L’Intelligenza Artificiale mira a questo: catturare il nocciolo duro di ciò che completa il mondo della materia. Il cervello, infatti, ci appare come la base materiale del pensiero e la sua principale attività consiste nel completare ciò che alla materia manca: vediamo un paesaggio perché la nostra mente ha trasformato un insieme di impulsi luminosi in una immagine, e se quel paesaggio é un po’ diverso da ieri, allora la nostra mente focalizza quelle parti del paesaggio che sono cambiate, come se si fosse accorta di averle completate male.

L'Intelligenza Artificiale ed il pensiero umano
L’Intelligenza Artificiale ed il pensiero umano

Quindi, la nostra mente è strutturata per aggiungere informazione a ciò che la materia ci mostra. Il cervello cerca di completare ogni scena. Il cervello é una macchina nata per fare previsioni.

Si ritiene che il pensiero scaturisca spontaneamente dalle interazioni locali tra i neuroni del cervello. Questo è il punto: interazioni fisico chimiche massive tra parti di materia cerebrale generano un effetto globale di natura diversa, i pensieri. Quei pensieri che completano la materia stessa che li produce, mostrando una naturale competenza previsionale nell’organismo nel quale emergono: se penso, aggiungo, quindi prevedo.

La capacità di prevedere
Un cervello è presente anche negli insetti, ma le loro sinapsi sono fissate dall’inizio e, quindi, l’esperienza non le modifica. Gli insetti non apprendono. Quindi, in accordo a quanto detto prima, non pensano. Eppure il comportamento degli insetti, specie se osservati nelle loro colonie, sembra pensato.

Il pensiero sembra legato alla capacità di un organismo di farsi una rappresentazione interna del contesto nel quale è immerso. Manipolando queste rappresentazioni l’organismo opera continue analogie, cioè previsioni sull’ambiente: rapporti di causa‐effetto, sviluppi possibili, origine di certi
segnali, ecc.

Nell’Intelligenza artificiale noi costruiamo reti neurali artificiali capaci di rappresentarsi l’ambiente nel quale le immergiamo (i dati) tramite molti vettori numerici (strati). Quando due vettori di numeri che si sono formati in due momenti diversi, quindi da segnali ambientali diversi, sono “simili”, allora il pensiero è: quei due segnali sono in qualche modo legati.

Quindi il pensiero si forma codificando internamente similarità e differenze dei segnali provenienti dall’ambiente. Queste analogie aggiungono informazioni a ciò che l’ambiente mostra, e quando ne verifichiamo la consistenza é come se completassero l’ambiente stesso. Lo prevedono.

Quando, perciò, una colonia di formiche, ciascuna delle quali priva di pensieri, mostra un comportamento organizzato e funzionale alla propria sopravvivenza, allora significa che quelle formiche mostrano similarità e differenze e , quindi, sono legate tra loro. Di conseguenza, non la singola formica, ma la loro colonia è un insieme di pensieri che si susseguono nel tempo. Quindi il comportamento di una colonia di formiche è la rappresentazione visibile di una rappresentazione interna dei pensieri della “natura”. In ogni instante, è come se la natura prevedesse il comportamento successivo dell’intera colonia al variare del segnali ambientali.

Benefici dell'Intelligenza artificiale
Benefici dell’Intelligenza artificiale

L’essere del fare
Se gli esseri umani pensano, allora anche la natura pensa. Anzi: gli esseri umani stessi sono un pensiero della natura che pensa la sua natura. Lo scopo effettivo della Intelligenza artificiale è perciò imitare il lavoro della natura: pensare strutture che pensino e che pensino anche i loro pensieri. Di più: che pensino il loro stesso pensare.

Spiegare le leggi di natura è l’obiettivo della scienza. L’Intelligenza artificiale si occupa di quelle leggi di natura il cui risultato è immateriale: capire, pensare, apprendere, apprendere ad apprendere, immaginare. Il pensiero è l’essere del fare. E questo essere è un fare invisibile che come un ponte sul vuoto connette le azioni e gli eventi materiali. Si potrebbe a ragione sostenere che le unità elementari dell’Intelligenza artificiale sono le informazioni, che connesse tra di loro formano i pensieri, che connessi alla materia creano azioni, comportamenti e cultura. Quindi, l’Intelligenza artificiale mira a una fisica del pensiero.

Le informazioni, infatti, si creano solo all’interno di un cervello che riceve perturbazioni materiali. Senza un cervello che funziona da destinatario ogni perturbazione è un semplice rumore. Ma l’informazione è qualcosa di intangibile e astratto. E allo stesso tempo l’informazione per essere
trasmessa ha sempre bisogno della materia.

Un pensiero, a sua volta, in quanto rete orientata e dinamica di informazioni, è ancora più astratto e invisibile delle informazioni che connette. Inoltre un pensiero può vivere solo all’interno di un cervello capace di modificare le sue connessioni e/o di combinarle (vedi gli insetti). Quindi di passare da un pensiero all’altro. Se questa dinamica si ferma, in quel cervello non resta l’ultimo pensiero emerso, come l’ultimo fotogramma di un film, ma il nulla, perché un cervello che si blocca è un cervello morto. Il pensiero, come il concetto di folla, è un nome collettivo dalla nascita.

A questo stadio si pone un concetto ibrido: l’apprendimento. Ibrido perché l’apprendimento è il risultato completamente astratto, ma verificabile solo materialmente, di una catena di pensieri e azioni che si sono succedute nel tempo. Scopo dell’apprendimento è annullare il tempo che è stato necessario per ottenerlo: vedo una forma materiale ed in un istante capisco che è il volto di un amico, di un parente o di un nemico; tutto il tempo che ho speso per imparare queste differenze, prove, errori, e quindi approssimazioni tra pensieri ed eventi, viene azzerato in un attimo. Ho appreso e quindi ora comprendo.

Apprendere ad apprendere
Ma pensare è molto di più che apprendere dalle esperienze (dati). Sembra che il cervello umano non si limiti ad apprendere, bensì si pone ad un livello superiore: apprende ad apprendere. Quest’ultimo concetto è cruciale: non si tratta di un processo tramite il quale un organismo apprende semplicemente il suo apprendimento in una catena ricorsiva lunga a piacere.

L’attuale “apprendimento profondo” (Deep Learning) si muove invece sul questa linea: definire un meccanismo di astrazioni a cascata in modo che le ultime astrazioni catturino le invarianti fondamentali di una esperienza. Il Deep Learning, così inteso, non è una “meta apprendimento”, ma una serie di filtri interpretativi tramite i quali ogni livello interpreta quello precedente. È come se ci convincessimo che un racconto, quanto più è tramandato oralmente da un soggetto all’altro, tanto più mostrerà la sue verità nascoste. Il risultato finale non sarà il “nocciolo duro” di quel racconto, ma la cultura interpretativa dei suoi narratori, pettegolezzi inclusi.

Un vero apprendimento profondo, al contrario, dovrebbe essere un meta apprendimento reale: da ogni apprendimento specifico l’organismo astrae le strategie che lo aiuteranno ad apprendere con più efficacia una nuova situazione del tutto diversa dalla prima. Ad esempio: cosa hanno in comune il gioco del tennis e gli scacchi? Tutte quelle meta conoscenze strategiche che l’esperto di tennis riuscirà ad adattare all’apprendimento della logica degli scacchi: il concetto di finta, il colpo spiazzante, la simulazione di attacco, il lancio lungo, la ritirata difensiva, il colpo ad effetto, ecc. In poche parole: la similarità della forma di forme diverse. Ciò significa saper catturare da una esperienza quelle regole astratte che possono generare regole utili per apprendere un’altra esperienza parzialmente o totalmente diversa dalla prima.

Imparare a pensare ed aprendere
Imparare a pensare ed aprendere

Analogie tra mondi lontani
È questo che significa apprendere ad apprendere, pensare e, quindi, pensare i propri pensieri: creare analogie e trasferimenti di metodo tra mondi apparentemente lontani e completamente slegati. Costruire, in definitiva, “ponti impossibili” tra mondi diversi.

Questi ponti impossibili il pensiero li attraversa avanti e indietro normalmente: dalle creazioni di Walt Disney alla teoria delle molte storie in fisica quantistica, dalle metafore che emergono spontaneamente nei mercati rionali alla teoria dei multi versi o dei diversi tipi di infinito in matematica. Lo specifico del pensiero sembra la sua straordinaria capacità di dipingere di realtà l’impossibile.

La scienza ha il compito di svelare il “reale”. Ma quando la scienza si occupa della mente umana, allora il suo obiettivo diventa quasi paradossale: svelare la realtà di un meccanismo capace di creare la realtà della irrealtà. L’intelligenza artificiale si deve misurare con questo obiettivo: automatizzare un sistema che crea oggetti invisibili, anche impossibili, e poi li connette in modo spesso altrettanto impossibile.

Questo obiettivo è per l’Intelligenza artificiale a sua volta impossibile se pensa di realizzarlo attraverso un Grande Rete Neurale Artificiale con tanti strati orizzontali (Deep Learning) che mira a identificare le poche invarianti fondamentali di tutta l’esperienza (Big Data). Progetti di questo tipo possono arrivare a costruire robusti sistemi di “stimolo-rappresentazione numerica- risposta”, efficaci su domini specifici di conoscenze, dove al posto della analogia tra mondi separati domina la co-occorenza probabilistica tra stimoli diversi. Nel migliore dei casi si arriverà a costruire un pappagallo adattivo.

L’importanza della biodiversità

La natura stessa e il cervello umano, suo amministratore delegato per certe funzioni, suggeriscono un’altra via.

La natura fa esplodere la sua complessità nel tempo tramite la diversità degli oggetti che fa interagire tra loro. Si potrebbe anche dire che l’evoluzione biologica è la storia delle negoziazioni competitive e cooperative tra oggetti diversi. E quanto più i contraenti sono diversi tra loro, tanto più, se un punto di incontro si trova, il risultato cambierà in modo forte il futuro di tutti gli altri. Stiamo sostenendo che ciò che sembra “stupido” in un tempo, potrebbe rivelarsi una soluzione “geniale” un attimo dopo. La bio diversità è perciò la riserva aurea della creatività della natura e del suo equilibrio.

Il cervello umano funziona in modo simile: moltissimi neuroni, organizzati in piccole reti, ciascuna di pochi strati (al massimo 6), diverse le une dalle altre per topologia, funzioni e posizione gerarchica. Il cervello sembra il regno della bio diversità strutturale e funzionale delle reti neurali che lo compongono.

Questa diversità è alla base della sua efficienza: reti diverse capiscono e trasmettono informazioni diverse ad altre reti che in modo loro specifico ne trasmettono altre, in un complesso sincronismo temporale e spaziale. E questo concerto di artisti inconsapevoli che si è sviluppato nel tempo non può essere sostituito da un unico “solista” che interpreta da solo ogni strumento. Sarebbe come pretendere che il complesso ritmo di movimenti in un affollato bazar orientale fosse riproducibile da un unico esercito di soldati che marcia al passo dell’oca.

Quindi, il fatto che il nostro cervello sia strutturato come una complessa società di reti specifiche è un segno visibile di come la nostra mente invisibile funziona. Anzi, è la prova di come la complessità emerga quasi spontaneamente dalla sincronizzazione delle bio diversità. Perché la diversità tra due componenti strette nello stesso spazio‐tempo è prima conflitto, poi negoziazione, poi ancora errori e approssimazioni, e infine cooperazione. Cooperazione anche e forse sopratutto inconsapevole: man mano, infatti, che ogni componente si specializza in un tipo di risposta, è la capacità di risposta globale dell’insieme che diventa più efficace per affrontare qualsiasi perturbazione esterna
imprevista.

Se sbaglio esisto

Si potrebbe coniare un nuovo aforisma per sintetizzare la logica dei sistemi che si evolvono in modo complesso: se sbaglio esisto, e se esisto è perché sono diverso.

La parola “sbaglio” nella frase precedente non è uno sbaglio. Ogni componente di un sistema complesso per contribuire all’insieme deve necessariamente provare molti comportamenti, solo alcuni dei quali risulteranno adeguati all’intero sistema, mentre la maggior parte risulteranno errati. Questi errori sono il sale dei sistemi adattivi: dimmi come sbagli e ti dirò chi sei. L’identità dinamica di ogni piccola rete neurale del cervello si forma sulla base dei suoi errori di funzionamento. Se questi ultimi sono troppi e non si auto correggono nel tempo, la rete in questione tenderà a riorganizzarsi, in caso contrario quella rete si specializzerà nel fornire le risposte corrette che si sono selezionate durante il processo di “apprendimento”.

Il pensiero
Il pensiero

Rendere automatico il pensiero umano

Così diventa evidente che il pensiero implica l’apprendimento, e l’apprendimento si ottiene minimizzando nel tempo gli errori che necessariamente esso implica. Ma reti neurali diverse apprendono dati diversi in modi diversi. Quindi commettono errori diversi e sviluppano abilità diverse. È, quindi, l’apprendimento collettivo e gerarchico di queste diverse reti neurali, che hanno abilità diverse e diverse debolezze, che costituisce la forza di un apprendimento realmente profondo (“se sbaglio esisto”).

L’intelligenza artificiale del futuro prossimo dovrà passare da forme di “apprendimento violento” (tanti strati-filtro in successione, schiacciati da una funzione obiettivo imposta dall’esterno) a forme di apprendimento realmente profondo, basate sulla cooperazione inconsapevole di molte piccole reti neurali diversamente specializzate (tanti punti di vista diversi ognuno con i suoi obiettivi interni sui tanti aspetti di un stesso problema).

E come se l’Intelligenza Artificiale dovesse lei stessa imparare a vedere il cervello umano come un enorme colonia di insetti, che, invece di muoversi, stabiliscono di volta in volta reti adattive di scambi informativi tra di loro in accordo ai dati che provengono dall’esterno e dall’interno del loro sistema.

Il cervello umano è uno dei più incredibili pensieri impossibili prodotti dalla natura: un pensiero che genera pensieri sulla propria origine. L’Intelligenza artificiale è l’unica scienza che mira a rendere visibile, materiale ed automatico il mondo invisibile del pensiero umano. Sviluppare una vera Intelligenza artificiale non deve servire solo a produrre nuove applicazioni e tanti soldi, ma a capire meglio chi siamo e quanto siamo strani. Forse siamo un capriccio della natura.

Ma questo capriccio si è trasformato in ciò che alla natura manca: un pensiero che ha un forte bisogno di futuro.

Direttore del Semeion Centro ricerche di scienze della comunicazione e Professor adjoint al Dipartimento di Scienza matematiche e statistiche, University of Colorado

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