Ripercussioni psicologiche della didattica a distanza

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L’impatto delle tecnologie nello smart learning. Vediamo gli svantaggi che comporta, soprattutto per gli studenti, un uso esclusivo della didattica a distanza.

Il permanere dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19 continua a obbligare una parte significativa di insegnanti e studenti a riorganizzare le proprie interazioni per adattarle alle esigenze della didattica a distanza (smart learning). Tuttavia, come sottolinea il recente rapporto di Save the Children «L’impatto del Coronavirus sulla Povertà Educativa» (il testo completo è scaricabile su: https://bit.ly/3l4RUnK), questi sforzi non possono sostituire l’azione educativa, che si fonda sulla relazione, sull’accoglienza e sull’organizzazione della vita dei bambini e degli adolescenti giorno dopo giorno.

E in effetti perfino io, che da tempo sono un sostenitore dell’uso della tecnologia come strumento didattico e formativo, ho esperito personalmente la difficoltà che implica il passaggio a una didattica totalmente a distanza, senza un’adeguata preparazione e strutturazione. Questo disagio mi ha spinto a interrogarmi sui cambiamenti da un punto di vista psicologico e relazionale che implica il passare dalla lezione frontale a quella digitale.

La lezione frontale, in aula con il docente che interagisce con la classe, ha ormai oltre duemilacinquecento anni di storia e si è sempre basata sui seguenti 3 pilastri: avviene in un luogo fisico, ossia
la classe; si basa sulla relazione tra allievo e maestro; implica un’interazione tra classe e maestro.

In effetti, le ricerche più recenti delle neuroscienze cognitive hanno sottolineato come queste tre caratteristiche della lezione frontale non siano casuali, ma nascano da una serie di proprietà del nostrocervello. La prima, di cui abbiamo già parlato in questa rubrica, è legata all’importanza che i luoghi hanno per la nostra memoria e la nostra identità. Infatti, le ricerche di tre neuroscienziati – John O’Keefe, MayBritt Moser ed Edvard I. Moser, che hanno ricevuto il premio Nobel per la Medicina nel 2014 – hanno dimostrato che nel nostro cervello esiste una serie di neuroni che permettono di orientarci nello spazio. Questi neuroni, che sono chiamati anche “neuroni GPS” per la capacità di registrare la posizione del soggetto durante il movimento, appunto come farebbe un navigatore GPS, in realtà non si limitano a quello. Infatti, le ricerche dei coniugi Moser hanno sottolineato che tali neuroni hanno un ruolo centrale nella memoria autobiografica e nella definizione dell’identità sociale: io sono uno studente della classe 5 a C perché tutti i giorni vado a lezione in una specifica aula. Non è un caso che una delle mnemotecniche più utilizzate – il metodo dei “loci” o “palazzo della memoria” – associ gli elementi da ricordare proprio a specifici luoghi fisici.

Cosa succede quando la lezione, invece di essere in classe, avviene su una piattaforma digitale come quelle che abbiamo imparato a usare in questi mesi, Zoom, Meet, WebEx?

Come ha dimostrato un recente studio di Tiany Li e colleghi (si veda su: https://bit.ly/36rI0Z), quando sperimentiamo un ambiente multi-compartimento (cioè siamo in una stanza, ma vediamo uno spazio digitale sullo schermo del computer) il nostro luogo è lo spazio in cui possiamo muoverci, non quello che stiamo guardando. Detto in parole più semplici, la videoconferenza, per il nostro cervello, non è un luogo. Solo che in questo modo non attiva la memoria autobiografica e indebolisce il senso di identità. Le lezioni sembrano tutte uguali e alla fine della giornata ci sentiamo vuoti e senza fuoco. In sintesi, lo smart learning che si limita a riprodurre sulle piattaforme digitali l’esperienza della lezione frontale (lezione in diretta online) ha gli svantaggi della lezione classica, cioè la necessità di una sincronia temporale, senza i 3 vantaggi che quella offre: l’esperienza del luogo e il suo impatto sulla memoria autobiografica; il processo di rispecchiamento tra docente e allievo; il processo di sintonizzazione all’interno della classe.

Online si vede il volto, ma non il corpo intero del docente

La seconda caratteristica della lezione frontale è la relazione tra insegnante e studente. Anche in questo caso le ricerche delle neuroscienze, e in particolare la scoperta dei neuroni specchio da parte del gruppo di ricerca coordinato da Giacomo Rizzolatti, sottolineano l’esistenza di meccanismi neurali che ci permettono di cogliere in maniera automatica le emozioni e le intenzioni dell’altro. È proprio grazie ai processi automatici di rispecchiamento resi possibili dai neuroni specchio che si basa un’efficace relazione studente docente. Da una parte, lo studente coglie intuitivamente la passione e la curiosità del docente e viene spinto a emularlo. Dall’altra, il docente ha un immediato riscontro dell’interesse e dell’impegno dello studente, ricevendo una significativa spinta motivazionale. Nelle piattaforme di smart learning, però, tali processi sono significativamente ridotti. Gli studenti vedono solo il volto e non il corpo del docente, e non attivano il rispecchiamento legato ai movimenti corporei. Il docente è messo pure peggio, visto che molti studenti non attivano nemmeno la telecamera e, anche quando lo fanno, i vincoli delle piattaforme consentono di vedere il volto soltanto di un numero ridotto di studenti. La terza caratteristica della lezione frontale è l’interazione all’interno della classe.

E ancora una volta uno studio recente, pubblicato dalla rivista Current Biology, ha evidenziato che la presenza in una classe genera un processo di sincronizzazione delle onde cerebrali degli studenti che è direttamente proporzionale alle dinamiche sociali e al coinvolgimento nelle lezioni (il testo è disponibile su https://bit.ly/2SjWmCK). Come sottolinea lo studio, il processo di sincronizzazione è generato dall’attenzione condivisa presente nella classe, che a sua volta è legata al contatto visivo e allo scambio di sguardi tra gli astanti e alla presenza di interazioni faccia a faccia precedenti alla lezione. Solo che, come abbiamo appena visto, le piattaforme di smart learning limitano significativamente questi processi, riducendo notevolmente la capacità di sincronizzazione del gruppo classe.

In quest’ottica, lo smart learning richiede necessariamente al docente un lavoro di progettazione didattica che può trovare un punto di riferimento nel metodo della “flipped classroom” (classe capovolta). La classe capovolta si articola nelle seguenti 3 fasi che prevedono un ruolo diverso per docente e studente. Il docente sceglie e costruisce una serie di materiali di approfondimento che rende disponibili online. Gli studenti, meglio se in coppia o a gruppi, leggono e strutturano a un livello iniziale il materiale proposto. Alla fine di questa fase, il docente incontra gli studenti per coordinare attività pratiche sociali – problemi, casi di studio, infografiche, interviste, tutorial, storytelling, relazioni – e rispondere a dubbi e richieste.

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