Le industrie minerarie russe distruggono l’Artico Polare

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L’incubo ambientale dell’inquinamento industriale nell’Artico russo. L’elenco delle compagnie minerarie e petrolifere russe più sporche secondo Bellona.

Fin dall’epoca sovietica, nell’Artico russo operano diverse grandi industrie che hanno un impatto distruttivo senza precedenti sull’ambiente e negli ultimi anni la zona artica della Russia (AZRF) ha vissuto un nuovo boom industriale, soprattutto con megaprogetti per l’estrazione delle risorse naturali. La Rotta del Mare del Nord (NSR) è in fase di sviluppo ed è la principale arteria di trasporto attraverso la quale questi megaprogetti opereranno ed esporteranno i loro prodotti.

Il traffico merci lungo la NSR aumenterà dagli attuali 34 milioni di fino a 216,45 milioni di tonnellate all’anno nel 2030. SI tratta di petrolio, gas naturale liquefatto (GNL) e metalli non ferrosi. Entro il 2035, anche la produzione di carbone e i volumi di trasporto dovrebbero aumentare enormemente e le sanzioni internazionali contro la Russia per la guerra in Ucraina non  hanno ancora influenzato in modo significativo la portata di questa attività.

In un’inchiesta pubblicata dall’’ONG ambientalista scientifica Bellona si esprimono fortissime preoccupazioni per il fatto che, «Date le attuali politiche dello stato russo nell’Artico che non sono riuscite ad affrontare i problemi ambientali per decenni, l’attuazione di nuovi progetti su vasta scala per il suo sviluppo industriale potrebbe portare all’emergere di nuovi hot spot di problemi ambientali in una delle regioni più vulnerabili del mondo».L’incubo ambientale dell’inquinamento industriale nell’Artico russo.

L’inchiesta esamina lo stato attuale dei 4 cluster industriali più problematici nell’Artico russo da un punto di vista ambientale:

Norilsk è una città oltre il circolo polare artico nella regione di Krasnoyarsk, fondata dopo la scoperta del giacimento di rame-nichel di Norilsk nel 1910-20. Nel 1935, con il lavoro dei prigionieri di un Gulag sovietico, iniziò la costruzione dell’impresa che costituì la città, la Norilsk Mining and Metallurgical Combine e del suo villaggio.

Nel 1953 Norilsk fu elevata allo status di città. Un potente impulso al suo sviluppo fu la scoperta nel 1960 di altri due grandi giacimenti di minerali di rame-nichel: i depositi Talnakh e Oktyabrsky. Dal 1989, la Norilsk Mining and Metallurgical Combine, come filiale polare, è entrata a far parte della società per azioni Norilsk Nickel. Ora l’impianto produce circa l’85% del nichel e del cobalto russi, circa il 70% del rame e oltre il 95% dei metalli del gruppo del platino, nonché argento, selenio, tellurio e zolfo. Da sempre è una potente fonte di impatti negativi per l’ambiente.

La scorsa  primavera, l’agenzia russa di vigilanza ambientale Rosprirodnadzo ha pubblicato le statistiche sull’inquinamento atmosferico in Russia per il 2022 e Norilsk si è classificata al primo posto, con l’emissione nell’aria di 1.787.000 tonnellate di sostanze inquinanti, il 10,5% delle emissioni atmosferiche della Federazione Russa. Secondo un rapporto di Norilsk Nickel, numerosi siti industriali della Divisione Polare della compagnia  hanno prodotto 1.779.000 tonnellate di emissioni, la stragrande maggioranza delle quali erano biossido di zolfo (SO2).

Secondo Rosprirodnadzor, le emissioni di SO2 a Norilsk nel 2022 sono state di 1.765.000 tonnellate. Per Greenpeace, «la Divisione Polare è la più grande fonte di inquinamento da anidride solforosa provocata dall’uomo al mondo». Delle restanti emissioni della Divisione Polare, i metalli pesanti – nichel e rame, nonché di cobalto, arsenico, ecc – hanno l’impatto più negativo sull’ambiente.

Le acque reflue della metallurgia non ferrosa portano all’acidificazione dei corpi idrici. Nel 2022, questi scarichi delle imprese Norilsk Nickel erano 168 milioni di tonnellate, la maggior parte delle quali provenivano dalla Divisione Polare. Rifiuti liquidi che possono penetrare nell’ambiente in caso di fuoriuscite accidentali.

La più grande fuoriuscita di questo tipo della Norilsk Nickel è avvenuta il 29 maggio 2020 sul territorio del CHPP-3 a Norilsk., quando circa 20.000 tonnellate di prodotti petroliferi finirono nel torrente Bezymianny e nei fiumi Daldykan e Ambarnaya che sfocia nel grande lago Pyasino, collegato al Mare di Kara, provocando danni ambientali che Rosprirodnadzor ha stimato in 147,8 miliardi di rubli. Quattro anni prima, nel 2016, c’era stata un’altra grave fuoriuscita a Norilsk, dove l’acqua contaminata proveniente dal bacino degli sterili dell’impianto metallurgico Nadezhda della Divisione Polare era finita nel fiume Daldykan. Norilsk Nickel ha prima negato l’incidente e poi lo ha ammesso solo una settimana dopo.

Nei dintorni di  Norilsk, quelle che in Russia vengono chiamate “Terre lunari”, conseguenza delle attività industriali della Divisione lo Polare, sono diventate la normalità. Uno studio del Giardino botanico della Siberia centrale (CSBS, Novosibirsk) ha stabilito che la diversità delle comunità vegetali nella regione industriale di Norilsk è inferiore del 70-80% rispetto alle aree incontaminate della tundra forestale.

Lo studio “Ecological and conceptual consequences of Arctic pollution”, pubblicato nel settembre 2020 su Ecology Letters da un team internazionale di scienziati, ha concluso che, a partire dagli anni ’60, quando si verificò un forte aumento della produzione industriale a Norilsk, circa 24.000 Km2 di foresta boreale sono stati distrutti a causa delle emissioni atmosferiche di zolfo, rame e nichel.

Nell’aprile 2018, le stesso ministero delle risorse naturali della Federazione Russa ha messo la la filiale polare di Norilsk Nickel nella classe di rischio più alta dell’elenco delle imprese che causano i maggiori danni all’ambiente.

Già nel 2012, uno studio del Blacksmith Institute/Pure Earth, includeva Norilsk tra i 10 luoghi Più inquinati del mondo: «In un raggio di 30 chilometri dalla città non c’è un solo filo d’erba o arbusto vivente. La contaminazione [da metalli pesanti] è stata rilevata a più di 60 chilometri [dalla città]».

Nonostante tuto questo, Norilsk Nickel annuncia regolarmente l’attuazione di programmi ambientali nei suoi impianti di produzione. Nel 2017 ha avviato un programma per ridurre le emissioni nocive in tutti i sui siti industriali, assicurando che d sarebbero diminuite del 75% entro il 2023 rispetto al livello del 2015.

Nel 2018  ha annunciato l’imminente lancio di un altro programma, in base al quale le emissioni di anidride solforosa della Divisione Polare sarebbero state ridotte del 45% entro il 2023 e del 90% entro il 2025, sempre rispetto al 2015, con una spesa di circa 6 miliardi di dollari per entrambi i programmi. All’epoca, il presidente di Norilsk Nickel Vladimir Potanin disse: «Il mio sogno è che Norilsk diventi non solo un centro metallurgico, ma anche turistico.

Ma Bellona denuncia che «al momento, la differenza nelle emissioni dell’intera Norilsk Nickel tra il 2022 e l’anno di inizio 2015, quando ammontavano a 2.063.500 tonnellate, è di 244.500 tonnellate, ovvero meno del 12%. Per quanto riguarda il programma di riduzione delle emissioni di anidride solforosa presso la Divisione Polare, il cosiddetto. Programma sullo zolfo: è iniziato solo di recente, il 25 ottobre 2023».

Il Kola MMC nella regione di Murmansk, il secondo grande sito industriale di Norilsk Nickel, ha invece ridotto significativamente le sue emissioni: dalle 117.000 tonnellate nel 2018 alle 16.000 tonnellate nel 2022. La stragrande maggioranza di queste emissioni è costituita da SO2, ma è troppo poco per rispetto alla Divisione Polare per influire sulle statistiche complessive di Norilsk Nickel e questo non significa che Kola MMC sia innocuo per l’ambiente.

La Kola MMC si estende sui due siti produttivi di “Pechenganikel”, nel nord-ovest della regione, e di “Severonikel”, a 100 km a sud di Murmansk. Gli impianti di produzione della Kola MMC di Pechenganikel sorgono lungo una striscia di 25 Km tra il villaggio di Nikel e la città di Zapolyarny e il più grande di loro è la  miniera di Severny, poi ci sono un’altra miniera, due cave e impianti di lavorazione, il più famoso dei quali fino a poco tempo fa era la fonderia nel villaggio di Nikel, che è stata chiusa nel 2020.

L’impianto estrae minerali di solfuro di rame-nichel, li arricchisce ed effettua la lavorazione metallurgica in opaco, un prodotto intermedio dal quale si possono poi ottenere nichel, rame, acido solforico e cobalto. L’impresa di Monchegorsk lavora l’opaco di alta qualità importato. I prodotti principali sono concentrato di rame, anodi di nichel, polvere per forni a tubi di nichel e acido solforico.

Il picco totale delle emissioni di entrambe le imprese c’è stato negli anni ’80, quando da solo Pechenganikel emetteva nell’atmosfera circa 400.000 tonnellate di anidride solforosa all’anno. Questo inquinamento provocò proteste di massa nel comune norvegese di Sør-Varanger che è a 30 Km in linea d’aria dal villaggio russodi Nikel.

Con un calo generale della produzione dopo il crollo dell’Unione Sovietica negli anni ’90, anche le emissioni del Pechenganikel sono diminuite e nel 2000-2010 si sono stabilizzate entro un range di 100.000-160.000 tonnellate di inquinanti all’anno, ma ancora  da 5 a 8 volte superiori a tutte le emissioni di SO2 provenienti da tutte le fonti in Norvegia, e Pechenganickel continua a essere il più grande inquinatore dell’aria di Sør-Varanger. Altre sostanze tossiche rilasciate dal sito includono metalli pesanti come cadmio, arsenico e piombo.

A  Monchegorsk dal 2018 al 2020 le emissioni dell’azienda erano diminuite da 117.000 a 83.000 tonnellate, e nel 2021, dopo la chiusura della fonderia nel villaggio di Nikel e dell’officina metallurgica a Monchegorsk, sono drasticamente diminuite a 20.000 tonnellate. Gli altri principali inquinanti emessi nell’atmosfera sono SO2, nichel e rame.

Anche intorno agli impianti della Severonickel si sono formate Terre Lunari che si stanno espandendo. Le foreste nella regione di Monchegorsk sono state completamente o parzialmente bruciate fino a 40 km a sud dell’impianto lungo la pianura di Priimandrovskaya, e il terreno è avvelenato da metalli pesanti.

Per le fonti idriche la situazione è simile: secondo Rosidromet, l’agenzia meteorologica russa, nonostante la chiusura della fonderia di Nikel, la MMC di Kola  è ancora uno dei due principali inquinatori del bacino del fiume Pechenga.

Nel 2022, il livello di inquinamento del fiume Hauki-lampi-joki nel bacino del Pechenga è aumentato da “sporco” a “estremamente sporco” a causa dell’elevato contenuto di composti di nichel e manganese, rispettivamente a 17-28 e 7-13 volte le concentrazioni massime consentite dalla legislazione russa.

Bellona fa notare che «Lo stato delle piante e degli animali può essere influenzato da concentrazioni significativamente inferiori». Inoltre, nel bacino del Pechenga si registrano concentrazioni eccessive di rame, mercurio, zinco e solfati. Il contenuto di cresil ditiofosfato (utilizzato nell’arricchimento di minerali di metalli non ferrosi) negli ultimi anni ha raggiunto fino a 3 – 6 volte i valori minimi consentiti. Dal 2017 al 2022, anche l’acqua dei fiumi Nyuduay a Monchegorsk è stata valutata da Rosidromet come “sporca”.

I principali inquinanti sono: composti di nichel e rame, le cui concentrazioni medie annuali nel piano a lungo termine variavano in media tra 21 – 54 e 49 – 96 volte i valori massimi consentiti MPC, e le concentrazioni massime erano rispettivamente  di  31 – 124 e 93 – 299  volte superiori.  Si è verificato anche un superamento della concentrazione massima consentita per il contenuto di composti di ferro, mercurio, manganese e solfati.

Vorkuta si trova 150 km a nord del Circolo Polare Artico e 180 km dalla costa del Mar Glaciale Artico, nel bacino carbonifero di Pechora. A vorkuta l’estrazione del carbone iniziò nel 1931 sfruttando il lavoro forzato dei prigionieri del Gulag staliniano. La città è stata fondata nel 1936 e nei dintorni vennero aperte una serie di miniere e insediamenti, il più distante dei quali è l’ormai chiuso Halmer-Yu, situato a circa 90 km lungo l’autostrada che porta alla città. Amministrativamente fanno tutti parte del distretto urbano di Vorkuta con un’area di 24,2 mila km2.

Attualmente, ci sono 4 miniere di carbone, inclusa quella di Yunyaginsky, la prima miniera di carbone al mondo oltre il circolo polare artico. All’inizio degli anni ’90 erano attive 13 miniere. Tutte le miniere attive e le miniere a cielo aperto appartengono all’impresa che ha formato la città, la Vorkutaugol, la più grande impresa mineraria della Federazione Russa che da dicembre 2021 fa parte di Russian Energy Group LLC. Inoltre, Vorkutaugol comprende un impianto di lavorazione centrale per la produzione di concentrato di carbone, un impianto meccanico, un’impresa di trasporti e una serie di altri impianti di produzione.

Lelenco delle imprese di classe di pericolo 1, pubblicato dal ministero delle risorse naturali e dell’ambiente della Russia nel 2018, comprendeva tutte e 5 le miniere allora attive nella regione di Vorkuta e la centrale elettrica a carbone CHPP-2.

Una di queste miniere, Severnaya, è stata chiusa e allagata nel 2016 dopo due incidenti con rilascio ed esplosione di metano, che hanno causato la morte di 36 persone. Uno dei principali inquinanti atmosferici della città, la CHPP-2, è stata convertita a gas nel 2021, così come l’intero sistema energetico della città. Nonostante questo, Vorkuta nel 2022 era ancora all’ottavo posto nella lista delle città russe con l’aria più inquinata, con emissioni totali di 168mila tonnellate, la maggior parte delle quali – 151mila tonnellate – sono idrocarburi senza composti organici volatili.

Bellona fa notare che «Secondo questo indicatore, Vorkuta è al quarto posto nel Paese, dietro solo a tre distretti situati nella principale regione mineraria del Paese, Kuzbass. In uno di questi, il distretto di Mezhdurechensky, si trova la più grande miniera di carbone della Russia. Queste statistiche si spiegano con il fatto che l’estrazione del carbone è caratterizzata da elevate emissioni di metano, un gas serra 25 volte più potente dell’anidride carbonica.

Il bacino carbonifero di Pechora, che comprende le miniere del distretto di Vorkuta (così come il vicino distretto urbano di Inta), è caratterizzato da un elevato contenuto di metano nei giacimenti di carbone, che varia da 12 a 38 metri cubi per tonnellata . Per fare un confronto, il contenuto medio di metano dei giacimenti di carbone in Polonia, Stati Uniti e India è rispettivamente di 8 -13, 7 – 14 e 5 – 8 m3 per tonnellata». Inoltre, anche le miniere chiuse producono metano: nel 2019 negli Usa, circa 200 miniere di carbone chiuse (di cui più di 500 operative) hanno prodotto l’8% delle emissioni totali di metano statunitensi,  circa l’1% del totale di gas serra.

L’estrazione sotterranea del carbone inquina anche le falde acquifere a causa del costante pompaggio dell’acqua nelle miniere, e l’inquinamento raggiunge gli strati profondi della roccia. Inoltre, mercurio, piombo, cadmio, arsenico, formaldeide, zolfo, biossido di silicio  entrano nell’atmosfera dalle miniere e dalla discariche di carbone. Durante gli incendi si aggiungono emissioni di composti organici volatili, fuliggine, ceneri, anidride carbonica e monossido di carbonio e anidride solforosa.

Miniere, discariche e tagli interrompono il profilo naturale del suolo, portando a disturbi della topografia e al degrado della copertura vegetale. Inoltre, le miniere di carbone si erodono facilmente, diventando fonti di inquinamento da polveri e sono soggette a combustione spontanea.

Il governo di Komi, preoccupato per il problema delle discariche di carbone attorno a Vorkuta e Inta (un’altra città situata nel nord della repubblica autonoma), che iniziarono a formarsi negli anni ’30, sta cercando di inserirle nel registro statale dei siti di danno accumulato, il che può dare speranza per la loro bonifica.

Le conseguenze ambientali negative dell’estrazione del carbone nella regione di Vorkuta sono accompagnate da una grave situazione socioeconomica. L’emigrazione della popolazione è iniziato nel 1991, anno che segnò il picco della popolazione cittadina con 117.000 residenti.

A 30 anni dal crollo dell’Urss, nel 2021, il numero dei residenti era sceso a 57.000. Secondo Rosstat, l’ufficio statistico russo, «Vorkuta è la città russa che muore più velocemente». Case, quartieri e villaggi abbandonati sono diventati la normalità, Solo sul territorio di Vorkuta ci sono circa 100 grandi edifici abbandonati, 80 dei quali sono condomini che rientrano senza problemi nella categoria degli oggetti di danno ambientale accumulato.

Un altro aspetto di questa crisi è la mancanza di fondi per mantenere le infrastrutture urbane in condizioni adeguate: nel 2022, alla vigilia di Capodanno, gli impianti di trattamento delle acque reflue di Vorkuta sono collassatii. Erano entrati in funzione nel 1976 e da allora non erano mai stati revisionati e l’ente gestore, il Vorkuta Vodokanal era fallito nel 2016. Le fogne della città hanno scaricato per quasi tre settimane in un ruscello vicino, finendo nei fiu mi Vorkuta e Usa  e poi nel fiume Pechora, che sfocia nel Mare di Barents.

Il Distretto di Usinsk si estende su 30.500 Km2 nel bacino del Pechora, nel nord della Repubblica autonoma dei Komi e un terzo del suo territorio si trova oltre il Circolo Polare Artico. Nel luglio 2020 è stato incluso nella Zona Artica della Federazione Russa. La regione di Usinsk è il centro della produzione di petrolio nella regione.

Qui viene prodotto circa il 70% di tutto il petrolio della repubblica ed è per questo che è diventato famoso nel 1994, quando ha subito il più grande sversamento petrolifero sulla terraferma nella storia del mondo: almeno  200.000 tonnellate di petrolio sono fuoriuscite dall’oleodotto di emergenza.

Per bonificare l’inquinamento la Russia ha dovuto prendere in prestito circa 100 milioni di dollari dalla Banca Mondiale. I lavori di raccolta del petrolio che aveva raggiunto il Mare di Barents e di bonifica dei siti di fuoriuscita sono stati completati solo nel 2010. Secondo gli ambientalisti russi ci vorranno almeno 100 anni perché il territorio si rigeneri.

Ma successivamente  si sono verificate regolarmente fuoriuscite di petrolio anche se non di dimensioni paragonabili a quella del 1994. L’ultimo grande sversamento di greggio è stato registrato il 2 luglio scorso e ha danneggiato un’area forestale di oltre 1.200 ettari e un liquido contenente petrolio è penetrato nel fiume Kolva. Ci sono volute diverse settimane per ripulire le conseguenze della fuoriuscita.

Qel che complica la situazione è che le statistiche sulle fuoriuscite di petrolio variano notevolmente: secondo il rapporto del ministero delle risorse naturali di Komi, nel 2019 nella repubblica si sono verificati 22 incidenti legati all’inquinamento ambientale causato da prodotti petroliferi e nel 2020 si sono verificati 38 incidenti, a seguito dei quali sono stati contaminati 13,6 ettari di terreno.

Ma il ministero federale russo delle risorse naturali segnala 17.000 incidenti dovuti a fuoriuscite di petrolio in Russia nel 2019, pari a 46,5 incidenti al giorno. Di questi, 10.500 sono avvenuti negli oleodotti. Queste cifre si basano sulle statistiche raccolte dalla Direzione Centrale delle Comunicazioni del Complesso Carburante ed Energia della Russia. Ma nello stesso anno Rosprirodnadzor ha registrato solo 819 fuoriuscite di petrolio in tutta la Federazione Russa.

Nell’anno covid del 2020, secondo il Dipartimento centrale delle spedizioni del Complesso per combustibili ed energia, il numero di fuoriuscite di petrolio dagli  oleodotti è stato di 8.600. La Lukoil, che possiede la maggior parte dei giacimenti nella Repubblica dei Komi, è la seconda più grande compagnia per sversamenti di petrolio in Russia con 1.508 fuoriuscite di petrolio solo nel 2018.

Bellona evidenzia che «Considerando quanto sopra, nonché il fatto che nel 2019-2020 nella regione è stato prodotto il 2,5 – 2,6% del petrolio russo, i dati del Ministero delle risorse naturali di Komi sembrano fortemente sottostimati».

Secondo le stime del Dipartimento Centrale delle Comunicazioni del Complesso per i Carburanti e l’Energia, il 90% delle fuoriuscite di petrolio in Russia negli oleodotti si verificano a causa della corrosione dei tubi.

In un’intervista concessa nell’ottobre 2020 a Storie importanti, il presidente del Comitato per il salvataggio di Pechora, Ivan Ivanov,  ha denunciato «Un tacito accordo secondo cui le compagnie petrolifere non investono denaro nella prevenzione degli incidenti, nelle infrastrutture o nella liquidazione delle conseguenze, riducendo così il costo del petrolio. E così sta diventando sempre più competitivo sul mercato internazionale. Tali tattiche sono vantaggiose per lo Stato».

E’ anche diventato sempre più difficile ottenere informazioni sulla produzione petrolifera e sulla sua logistica in Russia. Il 22 febbraio è stata approvata una legge che consente al governo di secretare qualsiasi statistica ufficiale.

Da marzo, Rosstat ha smesso di pubblicare i dati sulla produzione di petrolio nel suo rapporto ufficiale. Inoltre, sempre a partire da marzo, è cessata la pubblicazione dei dati mensili sulla produzione di petrolio (incluso il gas condensato) in termini fisici. Bellona evidenzia che «La segretezza di tali informazioni limita ulteriormente la valutazione dei rischi ambientali nel settore della produzione petrolifera russa».

Secondo il Ministero delle risorse naturali di Komi, oltre il 90% dell’intero territorio della Repubblica autonoma contaminato dal petrolio si trova nella regione di Usinsk.

Rosidromet ha rivelato che nel 2022 la qualità dell’acqua dei fiumi nel bacino idrografico. Del Pechora continuavano ad essere all’interno delle categorie da “leggermente inquinata” a “sporca”. Il più alto inquinamento dell’acqua fluviale da prodotti petroliferi è stato registrato nel 2022 alla foce del Pechora, a monte della città di Naryan-Mar e a valle dei principali impianti di produzione petrolifera e Bellona fa notare che «Considerando la situazione con le statistiche sulle fuoriuscite di petrolio, sorge la domanda quanto siano diverse dalla situazione reale».

L’ONG avverte che «Questo non è un elenco completo degli hotspot  ambientali di lunga data nell’Artico russo. Aree di grave inquinamento e disturbo dell’ambiente naturale si trovano in altri 4 insediamenti nella regione di Murmansk, nell’area di Arkhangelsk e Severodvinsk nella regione di Arkhangelsk, attorno al deposito di stagno Deputatsky in Yakutia, e così via. In particolare, il vicino distretto di Ukhta nella Repubblica di Komi e un certo numero di territori del confinante Okrug autonomo dei Nenets, soffrono di un grave inquinamento da prodotti petroliferi.

Anche se nella parte europea dell’Artico russo, a causa del suo maggiore sviluppo, si trovano più spesso territori con un ambiente fortemente disturbato e inquinato, esistono in ogni regione artica del Paese. Allo stesso tempo, le emissioni nell’atmosfera dei soli siti artici di Norilsk Nickel e Gazprom sono maggiori di quelle dell’intera industria dell’Alaska e della zona artica del Canada messe insieme».

EbEllona ribadisce che anche la cessazione dell’attività di una particolare produzione non significa che cessi automaticamente di minacciare l’ambiente e che la natura circostante venga immediatamente ripristinata. La discarica del giacimento di Deputatsky, che ha cessato l’attività nel 1997, è ancora una seria fonte di contaminazione con ferro e manganese delle aree vicine.

Molti nuovi hotspot potrebbero presto aggiungersi a questo elenco, tra i quali la miniera di carbone Syradasaysky a Taimyr, che ha iniziato le attivitài quest’anno e che si prevede che quando raggiungerà la piena capacità produrrà 12 milioni di tonnellate di carbone all’anno.

Oppure il progetto Vostok Oil, senza precedenti in termini di volumi di produzione di petrolio, di proprietà di Rosneft, la compagnia che secondo Greenpeace ha il record di sversamenti di petrolio in Russia (4.253 dagli oleodotti nel 2018). Una volta raggiunta la piena capacità, Vostok Oil produrrà 100 milioni di tonnellate di petrolio all’anno. Bellona conclude: «Considerando l’attuale strategia per lo sviluppo dell’Artico russo, basata sullo sfruttamento delle risorse naturali ma non sulla protezione dell’ambiente, potrebbero esserci molti più impianti di questo tipo».

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