Energia, sarà la Cina la superpotenza nel mondo alimentato a rinnovabili. Anche lo scenario della Bp, colosso del petrolio, dice che nel 2040 solare&co. saranno la prima fonte di energia al 30% del totale. Congo, Bolivia e Mongolia hanno le materie prime, come il cobalto, necessarie alle nuove installazioni. Ma il vero differenziale sarà il possesso della tecnologia.
L’ultima rosea previsione viene da chi non ha nessun motivo per gioirne. Al più tardi nel 2040, le rinnovabili – pannelli solari, turbine eoliche, batterie per le auto elettriche – saranno la maggior fonte di energia: 30 per cento del totale, annuncia la fonte tradizionalmente più autorevole nel mondo dei combustibili fossili, la “Statistical Review” annuale della Bp, uno dei giganti del petrolio. In Europa, la percentuale potrebbe arrivare al 50 per cento.
Se il 2040 sia troppo tardi per fermare il riscaldamento globale o se questo significhi anche la fine del petrolio è ancora tutto da vedere. Ma la previsione della Bp è sufficiente per stravolgere la mappa del mondo. L’ascesa delle rinnovabili, ancor prima che un rivolgimento della tecnologia quotidiana, è, infatti, una rivoluzione geopolitica, che rovescia un secolo di storia.
In fondo, appunto un secolo fa, pochi sapevano chi fosse Ibn Saud e cosa avrebbe combinato, di lì a poco, nella penisola arabica, la Texaco. Nei decenni successivi, il petrolio è diventata la chiave della politica mondiale e anche della sua economia: un sesto di tutto il commercio internazionale gira intorno al petrolio. La sua geografia ha condizionato la politica mondiale: il Medio Oriente come crocevia cruciale delle grandi potenze, passaggi come lo stretto di Hormuz o quello di Malacca nodi scorsoi al collo dell’economia globale, il ruolo dell’Opec, i blocchi e le austerità degli anni ’70 e ’80, ma ancora nel 2006 il grande freddo europeo per lo stop al gas russo in Ucraina.
E se il mondo diventa delle energie pulite? Il recente rapporto dell’Irena, l’agenzia internazionale delle rinnovabili, “A New World”, non fornisce risposte rassicuranti. Per esempio, dice, bisogna guardare a Kinshasa: l’Arabia saudita del XXI secolo potrebbe infatti essere il Congo ex belga, un paese con una storia di diritti umani non migliore di quella saudita e assai meno stabile. Ma il 60 per cento del cobalto mondiale, essenziale per le turbine eoliche e le batterie, sta lì. Oppure, La Paz. Le più grandi riserve di litio, essenziale per le batterie, sono nella Bolivia di Evo Morales, buon amico dei Castro e di Chavez.
Tuttavia, immaginare una nuova Opec, centrata su Congo, Bolivia e Mongolia è un esercizio improbabile. Al contrario di quanto avvenuto con il petrolio, il tumultuoso sviluppo tecnologico delle rinnovabili suggerisce una agevole sostituzione di materiali strategici. La leva vera è, infatti, lì, nella tecnologia. E, allora, nel XXI secolo, chi è la superpotenza delle nuove energie? La risposta, dice l’Irena, è inequivocabile. E’ Pechino. In aggregato, la Cina è il maggior produttore, esportatore, installatore di pannelli solari, turbine eoliche, batterie e veicoli elettrici. E con grande distacco. Il valore aggiunto manifatturiero della Cina nel settore delle energie pulite è di 40 miliardi di dollari. Il paese che viene per secondo è il Giappone con soli 5 miliardi di dollari. In più è anche il maggior inventore. Il 29 per cento di tutti i brevetti nel campo delle rinnovabili fa capo alla Cina. Gli Usa seguono con il 18 per cento. Giappone e Ue con il 14 per cento.
Contemporaneamente, però, la geopolitica delle rinnovabili è anche assai più democratica di quella dell’energia tradizionale. O, almeno, molto più decentralizzata. Non sarà il mondo degli equivalenti verdi di Big Oil e poi grandi centrali, possenti reti di distribuzione. Le fonti di energia rinnovabili sono diffuse e, spesso, letteralmente, sopra casa. In Germania, racconta “A New World”, il 31,5 per cento della capacità elettrica installata è in mano ai cittadini qualunque.
E, nella geopolitica, va anche registrato il grande salto che hanno l’occasione di fare i più poveri: gli africani, in larga misura senza elettricità. Come il boom dei telefonini ha permesso di scavalcare la costosa fase delle infrastrutture per la rete fissa, ora la diffusione dei pannelli solari consentirebbe, già entro il 2030, di portare l’elettricità al 60 per cento di coloro che, oggi, non ce l’hanno.
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