ENI investe centinaia di milioni in progetti per la decarbonizzazione

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La CO2 andrà in un giacimento vuoto sotto l’Adriatico. Parte il progetto Eni. Pubblicata l’istanza per catturare l’anidride carbonica della centrale elettrica e dello stabilimento Versalis e immetterla nel sottosuolo di Porto Corsini.

Nella guerra contro il clima che cambia si apre anche in Italia la sfida più complessa. La sfida della cattura dell’anidride carbonica, il gas accusato di riscaldare il clima. L’Eni ha avviato in via ufficiale l’iter per trasformare in un deposito sotterraneo di CO2 un vecchio giacimento vuoto di metano sotto il fondo dell’Adriatico al largo di Ravenna.

È stata pubblicata sul bollettino ufficiale delle attività minerarie di idrocarburi e geotermia Buig l’«Istanza di autorizzazione al programma sperimentale di stoccaggio geologico di anidride carbonica nella concessione di coltivazione A.C 26.EA».
Quel progetto è stato a lungo all’interno dei temi più dibattuti del Pnrr, il piano di rilancio che fa ricorso ai finanziamenti europei, dal quale finora pare escluso.

Sono poche righe, quelle dell’ istanza pubblicata sul sobrio bollettino Buig , ma dicono che anche in Italia si proverà a iniettare nel sottosuolo l’anidride carbonica, il gas scaldaclima; e ciò si farà in quel giacimento Porto Corsini Mare che aveva sigillato il metano per migliaia di anni, prima che il gas ne venisse estratto.

Le contestazioni: avvelenare i pozzi

Prima ancora che il progetto venisse avviato erano già cominciate le contestazioni.

Da mesi ci sono pagine web in cui comitati nimby insorgono contro la devastazione di Ravenna, nelle chat e dei dibattiti sulle piattraforme social alcuni solleticano la paura della CO2 pompata nei pozzi e parlano di avvelenamenti di massa e terremoti.
Anche una parte del movimento ambientalista è contraria con forza al pompaggio della CO2 nel sottosuolo, tecnologia considerata alcuni ecologisti un palliativo costosissimo destinato a mantenere in vita un modello di produzione e di consumo da loro disprezzato.

L’Aie: è indispensabile per azzerare le emissioni

Di opinione differente gli esperti del settore, come l’ Agenzia internazionale dell’energia (Aie-Iea) la quale nell’analisi delineata a metà maggio ha sancito che le tecnologie di cattura e confinamento dell’anidride carbonica sono uno strumento senza il quale non sarà possibile azzerare le emissioni.

A ciò si aggiunge il costo dei diritti di emissione, che per alcuni segmenti produttivi stanno diventando proibitivi, costi tali da far uscire dal mercato diverse aziende fino a portarle al fallimento.

I settori cosiddetti “hard to abate” (cioè quelli ad alta intensità energetica in cui l’emissione di anidride carbonica è davvero “difficile da abbattere”) sono i più esposti, ma le politiche ambientali europee hanno ristretto il mercato dei diritti per le emissioni di CO2 in modo da farli rincarare e farli diventare un elemento fondamentale delle politiche aziendali.

La CO2 rincara. Seppellirla diventa competitivo?

E sta accadendo.

Per moltissimi anni, una tonnellata di CO2 aveva un costo nell’ordine dei pochi euro, fra i 5 e i 10 euro. Un valore leggero, non riusciva a ridurre le emissioni.

L’anno scorso, a furia di aggiustamenti normativi e affinamenti, l’Europa ha reso più severo il valore di emissione attorno ai 20 euro.

Oggi, con le nuove rigorose politiche ambientali, per emettere in Europa una tonnellata di anidride carbonica bisogna pagare oltre 40 euro di diritti e il mercato si avvicina a 50, mentre le previsioni parlano di tendenze a breve e medio termine attorno ai 75 euro la tonnellata.

Di fronte a questi costi, potranno diventare interessanti le dispendiose tecnologie di cattura e sequestro dell’anidride carbonica.

I giacimenti non sono caverne

I giacimenti non sono caverne vuote nel sottosuolo: è roccia come sabbia compatta o ghiaia rappresa ma permeabile, che è impregnata di gas (in questo caso), petrolio, acqua di mare o altro.

Vi verrebbe pompata la CO2, così come in precedenza vi erano stato estratto il metano: gas che esce (metano) e gas che entra (anidride carbonica).

È noto il volume di metano che era stato estratto dagli strati di roccia porosa sotto l’Adriatico, e quindi è attendibile la stima di una capacità di stoccare nella stessa roccia spugnosa fra i 300 e i 500 milioni di tonnellate di CO2.

I dettagli del progetto

Per ora si tratta di una prima prova sperimentale, di taratura del sistema. Si tratta di catturare e stoccare le 25mila tonnellate annue di CO2 che escono dalle ciminiere della centrale termoelettrica Eni di Casal Borsetti e altre 40mila tonnellate di CO2 emesse dall’impianto del budatiene usato dalla Versalis di via Baiona per produrre elastomeri e gomme sintetiche.

Vi sarebbero impianti per separare l’anidride carbonica dal resto dei fumi; il gas viaggerebbe nelle stesse condotte che portavano a terra il metano estratto al largo, ma in senso contrario, e verrebbe inviato fino alla piattaforma Porto Corsini Mare per essere reinniettato nel giacimento vuoto.

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La fase di sviluppo potrebbe arrivare da 2,5 a 4 milioni di tonnellate l’anno di anidride carbonica.

L’affidamento dei lavori potrebbe essere definito in agosto e l’inizio dei lavori potrebbe cominciare in autunno. Dei cinque raggruppamenti confrontati dall’Eni per la tecnologia ha vinto la ravennate Rosetti Marino con la fiorentina Nuovo Pignone (gruppo Baker Hughes).

Gli altri progetti dell’Eni in Inghilterra e a Timor

Nell’ottobre scorso l’Eni aveva ottenuto dall’Oil and Gas Authority del Regno Unito la licenza per il progetto Hynet North West, con l’obiettivo di realizzare un hub di stoccaggio nella baia di Liverpool. Anche in quel caso il progetto prevede il riutilizzo dei giacimenti vuoti per 3 milioni di tonnellate l’anno di anidride carbonica; l’avvio del progetto è previsto per il 2025; la compagnia partecipa anche in altri progetti come Net Zero Teesside (Eni 20%), North Endurance Partnership (Eni 16,7%) e fra Australia e Timor Est.

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