Piccola glaciazione e stregoneria Aspetti socio climatici e culto del diavolo.

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La caccia alle streghe è argomento alquanto problematico soprattutto per le implicazioni che coinvolgono tutta una serie di ambiti della cultura, lasciando però sempre insoddisfatte molte domande sulle effettive motivazioni da cui scaturì l’accesa repressione contro le presunte adepte di Satana.

Il dibattito sul tema, dopo la fase romantica, è andato via via acquisendo una maggiore lucidità critica, ma in più occasioni non è riuscito a mantenere il dovuto distacco da ideologie e correnti ripiegate su preconcetti mai sradicati. Si è poi registrata una dicotomia importante in ambito storiografico, in cui, oltre all’analisi degli eventi, si è strutturata con sempre maggiore consistenza una valutazione più selettiva, orientata in osservazioni calate nelle vicende “minime” della quotidianità. Si è aperta così, anche per la stregone ria, la strada della cosiddetta storia culturale: con questo indirizzo sono stati portati in superficie aspetti legati alla storia della mentalità e della sensibilità collettive, guardando anche in ambiti mai indagati dagli storici, come la cultura materiale, per esempio, tradizionalmente dominio dell’antropologia culturale. Basti qui ricordare studiosi della cosiddetta “microstoria”, come Marc Bloch, Jacques Le Goff, Lucien Febvre, Emmanuel Le Roy Ladurie, Johan Huzinga.

Una strega crea una tempesta in mare (xilografia dall’opera monumentale di Olaus Magnus Historia de Gentibus Septentrionabilus (1555)
Una strega crea una tempesta in mare (xilografia dall’opera monumentale di Olaus Magnus Historia de Gentibus Septentrionabilus (1555)

Il dramma sociale che fu alla base della caccia alle streghe è stato quindi osservato tenendo conto anche di aspetti da osservare “al microscopio”, come abbiamo appreso dalle pagine di Storia di un paese: Montaillou, un villaggio occitanico durante l’inquisizione di Le Roy Ladurie (1975), o da quelle de Il formaggio e i vermi di Carlo Ginzburg. Storia “dal basso”, vista con gli occhi di quelle classi che genericamente sono state definite subalterne. Wolfgang Behringer, con il suo libro Storia culturale del clima (2010; trad. ital. 2013), ha offerto un interessante apporto alla riflessione su alcuni temi che possono rientrare nella storia culturale, aprendo un ventaglio di spunti per approfondimenti attraverso una chiave di lettura poco nota e certamente meno sfruttata di altre invece maggiormente collaudate. Dalle pagine del libro di Behringer si evince che la storia del mutamento climatico avrebbe concretamente condizionato in modo rilevante orientamenti culturali e atteggiamenti dell’umanità. Fatto questo comunque ben noto, se effettuiamo un viaggio a ritroso con l’ausilio di una guida tarata sulle osservazioni proposte dalla geologia.

Paesaggio d’inverno, olio su tavola di Pieter Bruegel il Vecchio (1565). Vienna, Kunsthistorisches Museum. L’opera fu dipinta verosimilmente durante il gelido inverno del 156465, ricordato dalle cronache come uno dei più rigidi della storia, con temperature polari in Russia, nelle Fiandre, in Germania ed in quasi tutta Europa.
Paesaggio d’inverno, olio su tavola di Pieter Bruegel il Vecchio (1565). Vienna, Kunsthistorisches Museum. L’opera fu dipinta verosimilmente durante il gelido inverno del 156465, ricordato dalle cronache come uno dei più rigidi della storia, con temperature polari in Russia, nelle Fiandre, in Germania ed in quasi tutta Europa.

Siamo comunque al cospetto di macro fenomeni, distribuiti nell’arco di spazi temporali molto ampi, di conseguenza risulta difficile attribuire a quei fenomeni l’origine di cambiamenti circoscritti e collocabili in archicronologici ristretti. Comunque, per Behringer vi sono stati cambiamenti pur contenuti in periodi ristretti, ma che possono aver influito in modo significativo sulle mentalità e favorito comportamenti dai quali sono scaturite azioni che hanno lasciato un segno profondo nella storia. Un esempio specifico sarebbe appunto rappresentato dalla caccia alle streghe, sviluppatasi in concomitanza della cosiddetta Piccola glaciazione. Si tratta di un periodo, compreso tra la metà del XIV secolo alla metà del XIX, nel quale si registrò un notevole abbassamento della temperatura media terrestre. Dal Trecento infatti vi fu effettivamente un graduale avanzamento dei ghiacciai che in precedenza si erano ritirati o addirittura erano scomparsi; inoltre se ne formarono di nuovi. Tale avanzamento, registrato prevalentemente in Europa, fu all’origine della distruzione di villaggi alpini, costringendo intere comunità a trasferirsi più a valle. Basti ricordare che nel XVI secolo la Groenlandia risultava completamente disabitata. La glaciazione ebbe effetti rilevanti sulle economie, determinando carestie che minarono profondamente molte comunità.

Sono numerose le ipotesi scientifiche per trovare un’origine a questo singolare fenomeno, che comunque non risultano allineate e ancora oggi oggetto di dibattito tra gli studiosi. Considerare l’instabilità climatica come un fatto condizionante per le modificazioni socioculturali, costituisce un approccio che certamente non è indenne da perplessità, pur mantenendo una propria valenza di ordine epistemologico. È indubbio che un clima sfavorevole possa aver determinato ricadute importanti sulla crescita demografica, sull’agricoltura, sugli spostamenti e probabilmente anche sulle questioni di ordine metafisico. L’interpretazione proposta da Behringer prende l’avvio dalla constatazione che le streghe, accusate di tutta una serie di crimini, fossero ritenute responsabili per le condizioni meteorologiche, come pure per l’infecondità dei terreni, la sterilità femminile e per qualunque malattia considerata un effetto della crisi. Ne consegue che “in quanto costruzione sociale, il delitto di stregoneria cominciò a diffondersi nel corso del XIV secolo, parallelamente all’evoluzione della Piccola era glaciale. E in Europa centrale la caccia alle streghe raggiunse l’apice proprio negli anni peggiori della Piccola era glaciale, cioè nei decenni immediatamente prima e dopo il 1600. Tale crimine scomparve dal catalogo del diritto penale alla fine di tale glaciazione, cioè con la scoperta di modelli interpretativi più efficaci” (W. Behringer, op. cit., p. 176).

La Giornata buia, olio su tavola di Pieter Bruegel il Vecchio (1565) Vienna, Kunsthistorisches Museum.
La Giornata buia, olio su tavola di Pieter Bruegel il Vecchio (1565) Vienna, Kunsthistorisches Museum.

In effetti noi sappiamo che già nel XV secolo si registrarono numerosissime espressioni della repressione antistregonesca, manifestatesi anche con violenza ben superiore rispetto al periodo indicato da Behringer. Alcuni fenomeni tipici della Piccola glaciazione furono, secondo lo studioso, erroneamente correlati all’azione delle streghe, divenute così capri espiatori per comunità costrette a convivere con fenomeni naturali ritenuti però straordinari e vincolati a poteri soprannaturali: “incapacità di avere figli, epizoozia, carestie ricorrenti, insorgere di malattie sconosciute. Vacche che non davano più latte, la morte improvvisa di un bambino, gelate fuori stagione, piogge che duravano troppo a lungo, grandinate improvvise d’estate” (W. Behringer, op. cit., p. 178).

Furono le istanze provenienti “dal basso”, quelle delle categorie maggiormente provate dalle influenze del clima – crisi alimentari e carestie soprattutto che fecero da effetto volano, per una società in cui l’anomia attentava alla stabilità delle comunità. Il riverbero di questa situazione si evidenzia in parte anche nell’arte del periodo, con alcuni casi emblematici: per esempio la “Giornata buia” (1565) di Pieter Bruegel il Vecchio (15271569) e nel “Ritorno dei cacciatori” (1565) dello stesso autore. Tra l’altro, Bruegel dipinse anche l’autore del “Trionfo della morte” (1562): rappresentazione della tragedia dell’epidemia (peste) condotto dalla Nera Signora, falciatrice apocalittica, pronta in ogni attimo a calare sugli uomini. La scelta narrativa dell’artista poggia appunto sul diffuso tema del “trionfo della morte”, cioè della sua vittoria incontrastabile, che nello spazio visivo proposto dal pittore si autocelebra in tante piccole vicende, intassellate in una dimensione in cui dominano la disperazione e il disfacimento. Si aggiunga inoltre che nel periodo della Piccola glaciazione si registrò “un forte aumento della letteratura raccapricciante e degli scritti dedicati ai prodigi. Si cercavano segni della volontà divina negli aborti, nelle nascite prodi giose o diaboliche, nella scoperta di animali e piante sconosciuti, nei mostri e, in generale, in ogni sorta di malformazione della natura” (W. Behringer, op. cit., p. 194).

La foto di uno sciamano tunguso (1833?)
La foto di uno sciamano tunguso (1833?)

Nella sostanza, tra le conseguenze culturali della Piccola glaciazione troverebbe quindi una collocazione significativa anche l’acuirsi delle credenze sulla stregoneria e la conseguente repressione motivata dalla consapevolezza che Satana e i suoi adepti giocassero un ruolo rilevante nello stravolgimento degli equilibri tra uomo e natura. Come oggi sappiamo, la rottura di quegli equilibri è stata (ed è) determinata dall’azione dell’uomo sull’ambiente, ma anche da dinamiche che fanno parte del ciclo natura le degli eventi climatici e geologici. Tra i tanti effetti ricordiamo quelli registrati a Venezia: nel 1432 il ghiaccio formatosi sulla laguna era di tale entità da consentire alle carrozze di transitare liberamente da Mestre a San Marco. Nel corso del periodo interessato dalla Piccola glaciazione la diminuzione dell’irrorazione solare ebbe effetti deleteri per l’agricoltura, avendo come contraccolpo numerose carestie, i danni e le tragedie facilmente intuibili.

Tra questi effetti vi fu anche l’estinzione di alcune specie animali; mentre altre, spinte dalla fame raggiunsero le città, con gravi conseguenze quando si trattava di lupi e di altri animali aggressivi. Si aggiunga che quella situazione favorì l’incremento della criminalità: gli insediamenti contadini furono infatti vittime di aggressioni da parte di bande di malfattori, mossi anche dalla fame ormai endemica. Una situazione del genere determinò conseguentemente il degrado e l’abbandono dei territori agricoli. Come se non bastasse, tra gli effetti deleteri vi furono anche le inondazioni, con danni pesantissimi per le coltivazioni. Con l’attribuzione a un capro espiatorio, tali sconvolgimenti acquisivano così una fisionomia che era considerata parte di dinamiche mosse da potenze diaboliche, nei confronti delle quali l’uomo scopriva la propria fragilità e dalla quale provava ad affrancarsi, spesso con metodi irrazionali e distruttivi. Un fatto non secondario da considerare riguarda l’influenza delle condizioni meteorologiche sulla psiche. Ci riferiamo al cosiddetto SAD (Seasonal Affective Disorder), cioè il Disturbo affettivo stagionale, chiamato anche “depressione invernale”: un abbassamento del tono dell’umore, che sembrerebbe accentuarsi nei mesi invernali e studiato scientificamente quando fu chiaro che la luce poteva influenzare il sistema circadiano umano, attraverso la soppressione dell’ormone noto come melatonina. L’assenza di luce solare continuativa avrebbe effetti importanti, fino a essere all’origine di pulsioni suicide, molti i sintomi noti: insonnia, letargia, depressioni, disturbi alimentari e nei rapporti sociali, perdita della libido (A.J. Lewy R.L. Sack, “The phaseshift hypothesis of seasonal affective disorder”, in Journal of the American Psy chiatric, 1988, 145).

Il Tamigi ghiacciato (1677), dipinto di Abraham Hondius (Museum of London).
Il Tamigi ghiacciato (1677), dipinto di Abraham Hondius (Museum of London).

Casi del genere sono, con tutte le implicazioni che determinano anche sul piano antropologico, ben noti alla psichiatria transculturale: un esempio indicativo è costituito dal pibloktoq, conosciuto anche come isteria artica (ysteron in greco significa utero) e segnalato tra le popolazioni Inuit. Localmente definita perdlérorpoq (pazzia), questa forma patologica ha un’insorgenza quasi improvvisa, anche se anticipata da una fase di ritiro sociale dal parte del soggetto, che risulta depresso e assente; l’episodio dissociativo prosegue poi nella fase di eccitazione, quella caratterizzata da convulsioni e si conclude con il rientro nella condizione di normalità. In genere le vittime di questa sindrome in un primo tempo cantano sommessamente accompagnandosi con il battito ritmico delle mani. Poi i sintomi assumono altre connotazioni, che conducono il soggetto a spogliarsi fino a compiere azioni incontrollate, come camminare a quattro zampe ed emettere latrati simili a quelli dei cani; il soggetto urla, si strappa i vestiti, piange, grida oscenità e in alcuni casi mangia le feci. Corre senza meta sulla neve, spesso poco vestito malgrado il gelo, si ferma solo quando è giunto allo stremo delle forze, ma sembra non avvertire sofferenza, anche quando cade nel l’acqua gelida. Dopo un variabile periodo di crisi che si conclude con convulsioni, le vittime cadono in un sonno profondo dal quale si sveglieranno come se nulla fosse accaduto. In genere la patologia ha breve durata: può essere innescata da motivi banali, come uno sguardo non benevolo, o una parola inopportuna; nel corso della crisi chi è affetto dal pibloktoq può commettere una serie di azioni impulsive, violente contro persone e cose, fino a essere autolesivo e omicida. Nelle sue diverse varianti, il fenomeno può concludersi con un attacco convulsivo similepilettico, seguito da uno stato di tipo comatoso, che può persistere per alcune ore. Al termine il soggetto risulta prostrato e confuso. Documentato per la prima volta nel 1909 dall’esploratore Robert E. Peary, il pibloktoq avrebbe origine nelle condizioni ambientali, sociali e nell’alimentazione: la mancanza di sole, il freddo estremo, le condizioni di soli tudine dei villaggi e non ultimo nell’ipervitaminosi da vitamina A (presente nel fegato, reni e grasso di pesce e mammiferi di cui è ricca la dieta Inuit). In passato questa fenomenologia era collegata alla possessione, con tutte le ricadute che tale manifestazione propone nell’ambito del soprannaturale (L. Dick, “Pibloktoq. Arctic Hysteria: A construction of EuropeanInuit relations”, in Arctic Anthropology, 32, 2, 2011).

In questo senso, come semplice ipotesi di ricerca, non dobbiamo dimenticare che alcuni fenomeni della psicopatologia dello sciamanismo possono essere correlati all’isteria artica. Infatti, secondo Paul Radin, gran parte degli sciamani sarebbe in effetti costituita da soggetti epilettoidi e isteroidi: “Ciò che dapprima era dovuto a delle necessità psichiche divenne una formula prescritta e meccanica ad uso di tutti coloro che desiderano divenire sacerdoti o prender contatto col sovrannaturale” (P. Radin, La religion primitive, Parigi 194, p. 120).

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