Tassazione minima Europea sui profitti delle multinazionali

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In Europa finisce l’era dei paradisi fiscali. Dal 2024 aliquota al 15% per le multinazionali. Fine dei “paradisi” europei ma resta aperta la partita big-tech.

Con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea della Direttiva (Ue) 2022/2523, in Europa finisce l’era dei paradisi fiscali (quantomeno quelli interni) e inizia quella della tassa minima per le multinazionali.

Il provvedimento, pubblicato lo scorso 22 dicembre, obbliga i 27 ad adottare entro la fine del 2023 le leggi di recepimento della Direttiva (che in quanto tale non è auto-applicativa, ma ha bisogno di essere calata nelle norme nazionali) e a partire con la nuova tassa comune dal 1° gennaio 2024.

Come funziona la Global tax europea

La minimum tax dell’Unione non è altro che la versione locale della Global minimum tax, progettata e poi annunciata dall’Ocse nell’ottobre del 2021, salutata da grande consenso internazionale (139 giurisdizioni formalmente aderenti) ma da allora ferma ai box della diplomazia internazionale – e dei “distinguo” sulla tassazione delle big-tech, vero epicentro del contendere.

La scelta di Bruxelles di recepire quel testo e di anticiparne l’entrata in vigore è, per questo, anche un segnale politico importante verso le incertezze tecniche (e politiche) di molti partecipanti a quell’accordo.La minimum tax europea parte da un principio chiaro: nessun gruppo multinazionale può pagare meno del 15% di tasse sul reddito prodotto nell’Unione.

La capogruppo o una sua intermediata deve farsi carico della ripartizione o comunque delle compensazioni dell’imposta tra le diverse giurisdizioni -mediante un sistema di reporting sovranazionale ormai sufficientemente omologato -: ciò che importa all’Unione è solamente che non ci siano più alterazioni del mercato mediante dumping fiscale, vale a dire «paga le tasse dove vuoi ma pagale».

Chi paga e chi no

In Europa finisce l’era dei paradisi fiscali. Dal 2024 aliquota al 15% per le multinazionaliIl «vestito» della minimum tax è tagliato su misura delle big-tech, che pure non rientrano direttamente in questo Secondo Pilastro della tassa comune. Quindi la soglia per applicare l’imposta alle multinazionali presenti nell’Ue (ma anche alle grandi aziende “mono”nazionali) è 750 milioni di euro di fatturato globale raggiunto almeno due volte negli ultimi quattro anni.

Questa asticella però non vale per tutti i mercati Ue: i piccoli mercati, dove la divisione locale del gruppo non raggiunge i 10 milioni di fatturato o 1 milione di reddito, non vedranno applicata l’imposta comunitaria. Anche le multinazionali start-up che si trovano cioè «nella fase iniziale della loro attività internazionale» possono essere escluse dall’applicazione delle regole per un periodo transitorio di cinque anni.Non solo.

Gli Stati europei in cui hanno sede pochissimi gruppi multinazionali possono scegliere di non recepire del tutto la minimum tax per un «periodo limitato di tempo» ma dovranno notificarlo, cioè dichiararlo alla Commissione Ue entro la fine del 2023.

Ci sono poi esclusioni per tipo di attività. A cominciare dal trasporto marittimo (merci, passeggeri, vendita e affitto di navi, attività di servizio collegate etc) un mercato «altamente volatile per natura» e con cicli economici lunghi, «tradizionalmente assoggettato a regimi fiscali alternativi o integrativi negli Stati membri».

Fuori dal perimetro della minimum tax anche gli enti statali, le organizzazioni internazionali, le organizzazioni senza scopo di lucro, i fondi pensione e i fondi d’investimento.

Le web tax

Fuori dalla minimum tax europea resta anche la digital (o web) tax. Formalmente perché quest’ultima fa parte dell’altro pilastro dell’Ocse (il Pillar One), di fatto perché questo è il terreno di attrito tra Europa e Usa.

Alcuni paesi Ue, tra cui l’Italia, di fronte ai ritardi dell’Ocse hanno già avviato una digital tax nazionale, a cui gli Usa avevano subito reagito mettendo sotto procedimento (cioè dazi pesanti) gli avanguardisti della tassa contro i big tech americani.

Dallo scorso anno la disputa è congelata con un’intesa chiara: ci si conformerà tutti alle regole Ocse (Pillar One) quando arriveranno, e in quella sede chi ha già incamerato le web tax nazionali vedrà se c’è qualcosa da integrare, o da restituire alle over-the-top.

La direttiva Ue, memore dei delicati equilibri ma non disposta a soprassedere sul diritto a esigere la tassa digitale, prende tempo fino al prossimo giugno per valutare i progressi della digital tax Ocse, in caso di perdurante impasse l’Unione europea si riserva di proporre una soluzione legislativa anche su questo terreno

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