Pubblica Amministrazione da 11mila data center a 7 poli nazionali e cloud: miliardi di euro di risparmio. In Italia vi sono 11mila data center (Centri di elaborazione dati) al servizio di 22mila Pubbliche Amministrazioni tendenzialmente “in condizioni catastrofiche”: la proposta del Team per la Trasformazione Digitale è di ridurre tutto a poche unità efficienti, ben difese e all’avanguardia.
Stamani il Commissario Straordinario per l’Agenda Digitale Luca Attias, il Chief Technology Officer Simone Piunno e il Cloud & Data Center specialist Paolo de Rosa spiegano su Medium la strategia di razionalizzazione infrastrutturale di cui avrebbe bisogno la PA italiana per uscire dal caos.
I data center italiani di molte PA centrali e locali stanno nei sottoscala, in sgabuzzini, risalgono a chissà quale era informatica e non si ha neanche certezza delle loro certificazioni e protezioni. Inoltre consumano. Divorano una quantità industriale di energia elettrica.
Ecco quindi l’idea di risparmiare miliardi euro razionalizzando le risorse e “mettere in sicurezza (anche fisicamente) le infrastrutture dove transitano i servizi nevralgici del Paese”. Oggi la diaspora dei data center costa circa 2 miliardi di euro “sui 5,8 miliardi di euro che la Pubblica Amministrazione italiana spende ogni anno nel settore ICT (fonte Consip/Sirmi)”.
La strategia del doppio binario
Il Team di Trasformazione digitale propone di separare i servizi essenziali da quelli non essenziali e veicolarli rispettivamente verso infrastrutture diverse. I servizi strategici – identificati dalla direttiva NIS dell’Unione Europea (2016/1148) sulla sicurezza informatica e di reti – come ad esempio quelli legati all’energia, i trasporti, il settore bancario, le infrastrutture dei mercati finanziari, la fornitura e distribuzione di acqua potabile e le infrastrutture digitali dovrebbero essere gestiti da 3-7 data center nazionali. Strutture protette militarmente, situate in zone sicure, con reti energetiche adeguate e soprattutto monitorate costantemente. Insomma, trattate come infrastrutture critiche di interesse nazionale.
I servizi non essenziali di enti locali e centrali, come ad esempio la posta elettronica, il servizio di protocollo informatico, la rassegna stampa di un ente e altre attività dovrebbero essere affidati a piattaforme cloud fornite da realtà private o pubbliche. In questo modo i costi delle infrastrutture e della manutenzione sarebbero ridotti e, “a fronte di economie di scala” con l’aggregazione di diverse Pubbliche Amministrazioni, si otterrebbe efficienza, maggiore qualità e flessibilità di impiego nel tempo.
“L’obiettivo è sviluppare un mercato di servizi in cloud per le Pubbliche Amministrazioni, creando una domanda a cui dovranno rispondere dei fornitori qualificati secondo criteri stabiliti dall’Agenzia per l’Italia digitale (circolari Agid n. 2 e n. 3 del 9 aprile 2018), che ne garantiscono l’affidabilità (sicurezza) e la coerenza con il settore pubblico (es. evitando lock-in)”, sottolineano gli esperti.
“In un altro post del 2018, ‘Diversamente connessi: un esempio virtuoso‘, abbiamo raccontato come l’utilizzo di un’infrastruttura in cloud ha permesso un risparmio di 750 mila euro ogni mese alla Corte dei Conti e una maggiore efficienza del servizio”.
Il Polo strategico nazionale
La strategia infrastrutturale non può prescindere dalla creazione di una nuova entità amministrativa, chiamata “Polo strategico nazionale”, che dovrebbe occuparsi proprio di quei 3-7 data center nazionali strategici. Il Polo non gestirebbe i servizi ma fornirebbe il completo supporto alle PA per la migrazione dei loro server.
Inoltre, in prospettiva completata questa fase si potrebbe ipotizzare la creazione di servizi di infrastruttura in cloud (IaaS): in sintesi, veri e propri server virtuali per risparmiare ulteriormente energia.
Il Team di fatto propone quanto sta già avvenendo in altri paesi. Si pensi ad esempio al caso del Regno Unito, dove con il progetto Crown Hosting Data Centres oggi due data center nazionali ospitano quasi tutte le Pubbliche Amministrazioni centrali (24 su 27) e 5 amministrazioni locali.
“Grazie a questo semplice passaggio, ogni amministrazione che ha aderito al progetto ha recuperato il costo della transizione entro il primo anno e risparmiato fino al 60 per cento dei costi di gestione già dal secondo anno. Allo stesso tempo oggi il governo britannico può contare su una maggiore protezione di molti dei propri servizi fondamentali come la difesa, la sanità, l’istruzione, la giustizia”, spiega il team.
Ci vorrà del tempo per la sfida lanciata dal Team di Trasformazione digitale e soprattutto dovranno essere creati “centri di competenza”, che aggreghino tecnici, esperti e manager dell’IT di diverse Pubbliche Amministrazioni per “definire e promuovere standard, processi e regolamenti”. Senza contare il compimento del progetto Banda Ultralarga (BUL) che assicurerà adeguata connettività a tutte le PA nazionali.
Il percorso comunque è iniziato e nelle prossime settimane vi saranno altre novità legate anche all’impegno dell’Agenzia per l’Italia digitale (Agid). Inoltre, secondo fonti autorevoli, pare che l’intero progetto goda di un trasversale sostegno politico. La prospettiva di miliardi di euro di risparmio per la PA e una maggiore cybersicurezza più che essere in agenda, rappresentano l’agenda (digitale).
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