Il mining di bitcoin produce meno dell’energia che consuma

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Perché la Cina ha deciso di rivedere la propria politica nel ‘mining’ dei bitcoin. L’energia necessaria ad estrarli è salita a livelli ecologicamente non più sostenibili. E questo è entrato in rotta di collisione con i recenti obiettivi climatici di Pechino.

La Cina sta rivedendo il suo ruolo di numero uno mondiale nel ‘mining’, cioè nella produzione di bitcoin. Il motivo? L’energia necessaria ad estrarli è salita a livelli ecologicamente non più sostenibili. E questo è entrato in rotta di collisione con i recenti obiettivi climatici di Pechino, la quale sta anche pensando di introdurre una valuta nazionale digitale, proprio in alternativa ai bitcoin.

Lo rivela il Wall Street Journal, il quale ricorda che fino a tre quarti della fornitura mondiale di criptovalute è stata prodotta in un solo paese, la Cina, dove una spinta del governo per ridurre la produzione sta ora causando fortissime turbolenze globali sui bitcoin.

Intanto serve una promessa: cosa è il mining di bitcoin? Spieghiamo subito che i “minatori” del Bitcoin non devono scendere nelle viscere della terra spaccandosi la schiena per estrarre metalli o carbone. A loro basta avere un apparecchio hardware che “estrae” la criptovaluta lavorando 7 giorni su 7, 24 ore al giorno. È infatti possibile ottenere Bitcoin facendo eseguire dei calcoli matematici al processore del computer oppure a quello della scheda grafica: quest’attività viene chiamata “mining” e la sua complessità aumenta con il passare del tempo.

Cosa è cambiato

Finora era superconveniente aprire un’impresa di mining in Cina. Ed era anche molto facile, perché si poteva semplicemente estrarre Bitcoin dal proprio portatile o impostare alcune macchine da casa propria per eseguire l’algoritmo di hashing, che consente di estrarre bitcoin. Tuttavia, man mano che sempre più “minatori” hanno iniziato a entrare nel settore e che la difficoltà per eseguire l’algoritmo del Bitcoin è aumentata, si sono resi necessari livelli sempre maggiori di potenza di calcolo ed enormi quantità di elettricità per risolvere le equazioni e raccogliere la ricompensa.

© STRINGER / IMAGINECHINA / IMAGINECHINA VIA AFP - Computer per la produzione di bitcoin in Cina
© STRINGER / IMAGINECHINA / IMAGINECHINA VIA AFP – Computer per la produzione di bitcoin in Cina

La Cina ha sempre sfruttato le sue ampie forniture di elettricità e le sue attrezzature a basso costo, per diventare il primo centro di produzione mondiale. I minatori cinesi di bitcoin hanno approfittato di un settore della generazione di elettricità sottoregolato e sovradimensionato. Hanno creato attività minerarie vicine ai produttori di energia idroelettrica nelle province montuose del Sichuan e dello Yunnan, dove le turbine trasformano la neve sciolta e gli acquazzoni stagionali in elettricità.

Poi, quando i flussi del fiume si attenuavano ogni inverno, i minatori imballavano i loro computer e si dirigevano a nord verso lo Xinjiang ricco di carbone e verso la Mongolia interna. Ma ora la situazione è cambiata. La quantità di elettricità necessaria per alimentare un gran numero di computer utilizzati per creare nuovi bitcoin è entrata in contrasto con i recenti obiettivi climatici della Cina.

Inoltre il governo di Pechino, che gestisce la sua valuta nazionale, ha disapprovato la criptovaluta in generale, anche perché Pechino intende lanciare una valuta digitale nazionale, controllata dalla banca centrale e pensata proprio per contrastare le criptovalute. Il 21 maggio scorso, il governo cinese ha promesso di “reprimere il comportamento del mining e del trading di bitcoin”.

Giorni contati

La dichiarazione è stata interpretata come un avvertimento: i giorni della catena di approvvigionamento multimiliardario della criptovaluta sono contati. In risposta, i produttori di elettricità stanno espellendo i minatori dalle reti e i rivenditori cinesi stanno scaricando computer progettati per creare bitcoin sul mercato dell’usato con enormi sconti.

Questo ha reso molto più vulnerabile la produzione di criptovaluta e il suo prezzo sui mercati, anche se, secondo il Wsj, questo non significa la fine del bitcoin. Invece, è molto probabile che l’attivita’ mineraria rallenti in Cina e acceleri altrove.

I minatori di altre nazioni, secondo i dati dell’Università di Cambridge, avevano già ridotto il dominio della produzione cinese negli ultimi 18 mesi e si stima che la quota degli Stati Uniti sia in crescita e abbia rappresentato circa il 7% lo scorso anno. L’aspettativa del settore è che la quota degli Stati Uniti possa espandersi fino al 40% nei prossimi anni, anche s, allo stesso tempo, molti ritengono che la Cina possa conservare quasi la metà del mining. Insomma, i giochi sono aperti.

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