Paesi emergenti a rischio causa l’elevato debito globale

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Debito globale record a 307 trilioni. Una trappola pronta a scattare con il caro-tassi, il rapporto Iif. Il global debt monitor di fine giugno lancia un nuovo allarme: in pericolo soprattutto i governi, mentre per le famiglie il rischio resta gestibile. Anche in Italia il debito/Pil complessivo risale al 295,5%, ma la vera mina vagante restano i Paesi mergenti.

Che la tendenza virtuosa innescata dal debito globale post-pandemia fosse ormai alle spalle era nell’aria da tempo. Il cocktail di fattori costituito da governi più abbottonati nelle spese rispetto agli anni della crisi, ripresa economica e inflazione elevata che ha contribuito a ridurre i valori nominali ha lasciato ormai spazio a una nuova crescita e i dati appena diffusi dall’International Institute of Finance (Iif) nel consueto rapporto trimestrale Global Debt Monitor non offrono soltanto la conferma, ma fanno gridare quasi immediatamente all’allarme.

Nella prima metà del 2023 l’ammontare di debito contratto da governi, banche, imprese e famiglie nel mondo è infatti aumentato di circa 10mila miliardi di dollari per raggiungere un nuovo massimo storico a quota 307mila miliardi, che a conti fatti supera di 100mila miliardi i livelli di dieci anni fa.

Appena una settimana fa il Fondo monetario internazionale aveva riportato alla ribalta la questione, analizzando però i dati a fine 2022 ed escludendo dal computo il mondo aziendale non finanziario. Iif completa adesso il quadro con dati più aggiornati e in un contesto complicato dalla stretta monetaria più violenta che si ricordi, che ha portato quasi ovunque i tassi sui massimi da oltre un decennio, e che è pronta quindi a far scattare la trappola.

Torna a crescere anche il rapporto con il Pil

L’ulteriore elemento di preoccupazione è rappresentato dal fatto che negli ultimi due trimestri il rapporto l’indebitamento è tornato a crescere in rapporto al Pil globale per attestarsi intorno al 336 per cento. In questo caso siamo ancora distanti dai massimi raggiunti nel periodo immediatamente successivo allo scoppio dell’epidemia Covid, ma la dinamica promette di non arrestarsi qui.

«L’improvviso aumento dell’inflazione è stato il principale fattore alla base del forte calo del rapporto debito/Pil negli ultimi due anni, consentendo a molti soggetti sovrani e societari di gonfiare le proprie passività in valuta locale», riconosce infatti Iif, prima di mettere in guardia che con la moderazione delle pressioni sui salari e sui prezzi (anche se non a sufficienza da far rientrare l’inflazione nei ranghi) «il rapporto debito/Pil globale supererà il 337% entro la fine dell’anno».

La Corsa del Debito Mondiale

La situazione, come spesso avviene, è molto più variopinta rispetto a quanto viene disegnato dal quadro di insieme. «L’aumento dei rapporti di indebitamento è stato più evidente tra i governi e le istituzioni finanziarie», rileva il Global Debt Monitor, opponendo al contrario «una marcata decelerazione dell’espansione del credito bancario alle famiglie e le imprese non finanziarie», causata quest’ultima dai «venti macro prevalenti», che hanno portato a un «inasprimento delle condizioni di finanziamento».

Chiaro in questo caso il richiamo agli Stati Uniti, dove le imprese «hanno dovuto affrontare standard di prestito bancari più severi in seguito alle tensioni bancarie regionali di inizio anno», fenomeno solo in parte alleviato dal «cuscinetto» della continua espansione dei mercati del credito privato.

La situazione italiana

L’Italia non fa eccezione al contesto generale, con un debito complessivo di nuovo in crescita a giugno al 295,5% rispetto al 294,1% di tre mesi prima e dal 294,6% di fine 2022. A mettere fine a un cammino virtuoso che aveva riportato le lancette indietro addirittura ai livelli precedenti la grande crisi finanziaria del 2007-2008, superfluo ricordarlo, ha contribuito il bilancio dello Stato (Debito Pil di nuovo in risalita al 140% dal 138,8%) mentre le famiglie risultano ancora più parche, con un rapporto fra debito e Pil pari al 40,3% e tra i più contenuti fra i Paesi avanzati.

Famiglie (quasi) al riparo…

Tornando allo scenario globale, Iif non vede un rischio immediato per il debito dei consumatori, che anzi «rimane ampiamente gestibile» nonostante l’aumento dei tassi. Questo almeno nei mercati maturi, dove in rapporto al Pil è sceso nel primo semestre del 2023 al livello più basso degli ultimi due decenni.

Diverso il discorso per i Paesi emergenti, area nella quale il debito delle famiglie si mantiene al di sopra dei livelli pre-pandemici – in particolare a causa di Cina, Corea e Tailandia – ma si notano prospettive grigie soprattutto per gli Stati: «Con la stabilizzazione dei costi di finanziamento internazionali a livelli più elevati – si spiega nel rapporto – il debito pubblico dei mercati emergenti, Cina esclusa, ha ripreso la sua tendenza al rialzo nella seconda metà del 2022, registrando un leggero aumento al 57% del Pil».

…ma tremano i Governi

Il debito pubblico è quindi l’aspetto che desta maggiori timori, soprattutto in un contesto come quello attuale di tassi elevati e che si teme possano non scendere nell’immediato.

«L’aspetto più preoccupante è che l’architettura finanziaria globale non è adeguatamente preparata a gestire i rischi associati alle tensioni sui mercati nazionali del debito», conclude infatti Iif, con l’auspicio di disporre a breve «di un quadro di riferimento basato sul mercato per affrontare i livelli insostenibili del debito nazionale»: misura che sarebbe in grado non soltanto di alleviare il peso dei debiti, ma anche di «sostenere le iniziative volte a mobilitare risorse per il finanziamento dello sviluppo, compreso il finanziamento del clima».

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