Crisi economica globale riduce il reddito in Europa

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Povertà, in Europa 95 milioni di persone a rischio. E sono italiane le regioni peggiori
L’Italia viaggia a due velocità: da una parte quella delle regioni settentrionali con reddito più alto e soglia più bassa del rischio di povertà in cui spiccano Valle D’Aosta ed Emilia Romagna, ma anche le provincie autonome di Trento e Bolzano; dall’altra quella delle regioni del Sud (tra le peggiori in Europa) dove su 12 milioni di abitanti si contano 5 milioni e 200mila persone a rischio povertà.

In Europa 32 milioni di persone nel 2022 hanno avuto difficoltà ad avere almeno un pasto decente ogni due giorni; 40 milioni, lo scorso inverno, non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria casa; più di 95 milioni di cittadini sono a rischio povertà o esclusione sociale.

In questo scenario, tutt’altro che confortante, l’Italia viaggia a due velocità: da una parte quella delle regioni settentrionali con reddito più alto e soglia più bassa del rischio di povertà in cui spiccano Valle D’Aosta ed Emilia Romagna, ma anche le provincie autonome di Trento e Bolzano; dall’altra quella delle regioni del Sud, dove su 12 milioni di abitanti si contano 5 milioni e 200 mila persone a rischio povertà.

In queste regioni neppure gli “ammortizzatori sociali” sono riusciti a ridurre la percentuale di rischio esclusione, invertendo una rotta accentuata dalla crisi economica globale, dall’emergenza provocata al Covid-19, dagli effetti del confitto in Ucraina.

Italia spaccata in due

Ai dati nazionali pubblicati dall’Istat nei giorni scorsi, le mappe di Eurostat aggiungono molti dettagli e permettono il confronto tra tutte le regioni europee: nelle ultime otto posizioni troviamo sei nomi italiani: Campania (ultima in assoluto) poi risalendo Sicilia, Calabria, Sardegna, Molise e Puglia. All’estremo opposto, Valle d’Aosta, Emilia Romagna e provincia di Trento sono tra le prime dieci della classifica europea.

Le statistiche di Eurostat descrivono un quadro i cui, alle situazioni estreme di chi non riesce a mangiare neppure ogni due giorni o a vivere in case dignitose, si sommano le persone che vivono sul filo del rasoio, cioè a rischio esclusione sociale e povertà: un popolo, distribuito negli Stati membri dell’Unione europea, di 95,3 milioni di abitanti, il 21,6% del totale, con un reddito insufficiente ad affrontare il pagamento di un debito pregresso o spese impreviste ed eccezionali in grado di mettere a dura prova la tenuta economica familiare, come ha messo in evidenza la relazione sullo “Stato delle regioni e delle città nell’Unione europea” pubblicata dal Comitato europeo delle Regioni.

Il confronto con il 2018 mostra come il solco tra Mezzogiorno e resto del Paese tenda ad allargarsi. Sardegna, Abruzzo e Molise si sono avvicinate alle altre regioni dove il rischio povertà è più alto.

Al Sud fa eccezione la Basilicata, dove la percentuale di persone a rischio povertà è diminuita. La situazione è migliorata in molte regioni del Centro (Toscana, Marche e Umbria), così come in Piemonte e provincia di Trento, mentre peggiorano i dati in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Liguria.

La vita nei numeri Eurostat

Proprio il tema della povertà è stato uno degli argomenti al centro dell’intervento, pronunciato il 12 ottobre scorso, da Vasco Alves Cordeiro, presidente del Comitato europeo delle Regioni.

«Più di trentadue milioni di europei, ripeto: più di trentadue milioni di europei non possono permettersi un pasto decente ogni due giorni – ha sottolineato -. Quaranta milioni di loro non erano in grado di riscaldare le proprie case nel 2022».

La maggior parte delle regioni, a vedere i grafici e leggere i dati pubblicati da Eurostat, sono distribuite tra Bulgaria, Grecia, Romania, Spagna e nelle regioni del Sud dell’Italia dove si registrano percentuali di persone a rischio povertà superiori al 40%, come appunto in Campania (46,3% al pari del Sud Est della Romania), in Calabria (42,8%) e in Sicilia (41,4%).

Si tratta di percentuali che, per esempio, in Campania significano 2 milioni e 100mila persone, in Sicilia un milione e 800mila, in Calabria 600mila.

Le regioni migliori

I dati evidenziano anche realtà territoriali in cui le cose non vanno tanto male e dove la percentuale di persone a rischio di povertà è sotto i 12%. Si tratta di 16 regioni, di cui sei in Cechia (su otto totali), due in Polonia e le altre in Slovacchia, Croazia, Ungheria, Belgio e Italia. Con percentuali sotto il 10% ci sono la regione di Varsavia (7,7%), Praga con l’8,9 % e Střední Čechy (8,7%), che circonda la capitale ceca, e le italiane Valle d’Aosta, con l’8,6%, e Emilia-Romagna, con il 9,6%.

Il nodo trasferimenti sociali

In tutto lo scenario, una partita importante viene giocata dai cosiddetti “trasferimenti sociali”, ossia gli strumenti economici erogati molto spesso dagli Stati che avrebbero dovuto arginare il rischio di povertà. Non sempre però questi strumenti riescono a determinare un’inversione di tendenza.

«Nel 2022 la riduzione del tasso di rischio di povertà dell’Unione a causa dell’impatto di queste misure – si legge nel documento di Eurostat -è stata di 9 punti percentuali, dal 25,5% al 16,5». L’impatto è stato particolarmente elevato nelle regioni degli Stati membri nordici mentre è stato basso negli nei Paesi dell’Est e del Sud Europa.

«Prima dei trasferimenti sociali, la Campania registrava la quota più alta, con una percentuale del 51,0%, l’unica regione europea in cui il rischio di povertà colpiva più della metà della popolazione».

Nell’elenco delle regioni con tassi superiori al 40,0 % anche Sicilia, Calabria, Sardegna e Molise, nonché la regione Bruxelles Capital e la bulgara Severozapaden. Tutte «si sono collocate in cima alla classifica per le regioni con i più alti tassi di rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali».

Le campagne si spopolano

Un altro aspetto evidenziato dal documento del Comitato delle regioni riguarda lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione rurale che «porta a un circolo vizioso di minori investimenti nei servizi pubblici (ad esempio, assistenza all’infanzia, assistenza sanitaria e a lungo termine, istruzione e trasporti pubblici) e stagnazione economica o declino».

Lo spostamento dei giovani dalle campagne, e l’invecchiamento della popolazione, «determinano naturalmente una diminuzione della forza lavoro» la cui contrazione «costituisce un ostacolo significativo all’attrattiva delle regioni per le imprese».

L’accesso alle strutture sanitarie è inferiore nelle zone rurali rispetto alle regioni urbane. Non sempre il trasferimento nelle capitali e nei grandi centri viene considerato come elemento positivo per superare il rischio di emarginazione o povertà.

Le disuguaglianze restano immutate

In tutto questo scenario qualcosa si muove ma non è ancora sufficiente a determinare un cambiamento sostanziale. I tassi di occupazione regionali «sono complessivamente migliorati, ma le disuguaglianze regionali rimangono invariate».

Nel sud Italia la Sicilia, la Campania, la Calabria e la Puglia hanno registrato un miglioramento negli ultimi 5 anni, ma i loro tassi di occupazione rimangono ancora al di sotto del 50%. La regione delle Åland in Finlandia ha registrato, con una percentuale dell’84,6%, il tasso di occupazione più elevato tra gli Stati membri così come alcune regioni dei Paesi bassi e della Germania.

Le politiche di coesione

Un supporto, soprattutto nei paesi con condizioni più critiche, può arrivare dalle politiche di coesione europee e nazionali e dal ruolo delle regioni e delle città che, soprattutto quelle più grandi, devono fare i conti anche con il problema dei senzatetto su cui «si stanno adottando soluzioni».

Per il presidente del Comitato europeo delle Regioni Vasco Alves Cordeiro, c’è bisogno di «soluzioni europee con la produzione locale di energia e cibo e un sostegno su misura per le persone bisognose, soprattutto quelle più vulnerabili».

«Nonostante le crisi, nonostante le sfide – ha detto Cordeiro – non dimentichiamo mai che lo stato delle regioni europee, come lo stato dell’Europa stessa, non è altro che le condizioni di vita dei suoi abitanti.

Ecco perché è così importante rimanere fedeli ai valori di solidarietà, uguaglianza, giustizia sociale e rispetto della dignità umana».

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