Schema Ponzi: una truffa su larga scala.

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Truffe: che cos’è lo schema Ponzi e come funziona. Da più di un secolo è sinonimo di truffa, eppure il meccanismo funziona (quasi) sempre – a spese dei più. Ecco perché si chiama “Ponzi” e su che cosa si basa.

L’ultima volta è stato tirato in ballo lo schema Ponzi è stato qualche tempo fa, quando il Garante italiano per la concorrenza e il mercato si è occupato, a più riprese, della valutazione e infine della sospensione delle attività dirette alla diffusione della criptomoneta OneCoin, una specie di finto Bitcoin che nascondeva appunto uno schema Ponzi, cioè una frode.

Che cos’è uno schema Ponzi?
Perché è sinonimo di truffa? Da dove prende il suo nome?
I loghi più celebri.
I loghi più celebri.

Le origini. Tutto comincia nel 1903 quando il ravennate Carlo Ponzi (Carlo Pietro Giovanni Guglielmo Tebaldo Ponzi, in arte Charles) sbarca negli Usa. Sono gli anni della grande migrazione ma lui, allergico al lavoro, per un po’ vive di  mezzucci e piccole truffe, finendo anche in carcere per un assegno falso, e forse è lì che concepisce la mega-frode che l’avrebbe reso famoso. A quel tempo era comune che le lettere per l’estero includessero un “buono” per l’acquisto di un francobollo per la risposta: i buoni avevano un costo diverso in ciascun Paese, ma il loro controvalore in francobolli era lo stesso dappertutto.

Con i tassi di cambio e postali fluttuanti, Ponzi capisce che i coupon per francobolli – tempo poche settimane o mesi – avrebbero aumentato di valore. Così, attraverso una rete di contatti in Italia, inizia a rastrellare quelli che gli emigranti inviano ai loro parenti, per rivenderli sul mercato americano.

Dalle stalle alle stelle. Forte dei primi guadagni ottenuti con questa scaltra forma di arbitraggio, Ponzi apre una società e incoraggia amici e colleghi a scommettere sul suo schema, promettendo tassi di rendimento sugli investimenti del 50% in 3 mesi. La voce comincia a diffondersi e nel giro di due anni la rete Ponzi ha dipendenti e clienti in tutto il paese, al punto che al suo apice, nel 1920, ha accumulato un patrimonio di centinaia di migliaia di dollari (una fortuna, per l’epoca).

Il suo business, però, non è solido come Charles sostiene. Anzi, non è nemmeno un business: Ponzi infatti paga i rendimenti promessi con il denaro dei nuovi investitori, che affluisce copioso nelle sue casse, e non con i guadagni. È il primo, perfetto schema piramidale.

La truffa. A scoprire la frode è Clarence Barron, editore del Wall Street Journal, che fatti due conti capisce che Ponzi dovrebbe vendere 160 milioni di coupon per raccogliere i soldi di cui ha bisogno per garantire i guadagni promessi… ma dal momento che ci sono solo 27.000 coupon postali in circolazione nel mondo, questo ovviamente non è possibile.

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Barron denuncia anche il fatto che Ponzi ha investito il “proprio” denaro in proprietà immobiliari, azioni e obbligazioni tradizionali, come qualsiasi investitore normale. Se lo schema Ponzi è così sicuro, perché mai il suo creatore dovrebbe preferire investimenti tradizionali e meno remunerativi?

All’inizio nessuno crede a Barron e Ponzi continua a fare affari, finché un’ispezione negli uffici della società mette a nudo la verità: Charles Ponzi non possiede i buoni postali millantati. Viene così accusato di frode e di altri 85 reati, e condannato ad alcuni anni di carcere. Scontata la pena, Carlo torna prima in Italia, dove cerca di replicare il suo schema (senza successo, in quel periodo), poi si trasferisce a Rio, dove muore in povertà nel 1949.
L’eredità. Come spesso accade, l’opera sopravvive al suo creatore – anche se in questo caso è uno schema truffaldino: negli anni se ne sentirà parlare spesso, ben mascherata e scientificamente spiegata grazie all’uso di varie e “colte” etichette, come psicodinamica e psicolinguistica, ed elaborata a volte in chiave hi-tech, come il “Millionaire Network” di Virgilio de Giovanni.
Nel 2008, a un secolo dalla sua invenzione, lo schema Ponzi guadagna però di nuovo le prime pagine dei giornali, quando l’FBI arresta il finanziere Bernie Madoff con l’accusa di aver “volatilizzato” 65 miliardi di dollari. Come Ponzi, Madoff prometteva rendimenti stratosferici (il 10% fisso), che onorava però con i capitali dei nuovi arrivati, in mancanza di rendimenti veri, come da onorata tradizione.
10 euro: genesi di una banconota. | Ufficio stampa Banca d'Italia
10 euro: genesi di una banconota. | Ufficio stampa Banca d’Italia

Come si può immaginare, il meccanismo funziona bene all’inizio e finché c’è un flusso continuo e sempre più numeroso di investitori-creduloni, ma prima o poi deve interrompersi e la folla degli ultimi resta a terra e senza il becco di un quattrino. La cosa davvero curiosa è che tra i clienti di Madoff ci sono personaggi famosi e persino banche, che ci rimettono un bel po’ di miliardi. A differenza di Ponzi, però Madoff in carcere ci passerà il resto della vita, con una condanna a 150 anni.

Cripto-Ponzi. Per com’è andata e per i “pesci” che sono cascati nella rete, la truffa di Madoff ha rappresentato una sorta di versione 2.0 dello schema Ponzi: ma oggi, nel vasto universo delle criptovalute, secondo alcuni, potrebbe nascondersi la versione 3.0.

Oltre a OneCoin, l’etichetta di schema Ponzi ha infatti colpito di recente anche la piattaforma Bitconnect, che prometteva a chi lasciava in consegna le sue criptovalute, un ritorno da favola per molti mesi. Non solo: c’era anche un incentivo in denaro per chi porta nuovi affiliati, e questa è una caratteristica tipica (anche se non esclusiva) di ogni schema Ponzi.

Bitconnect ha chiuso i battenti mercoledì 17 gennaio, dopo due ingiunzioni delle autorità Usa: è bastato che qualcuno nominasse uno dei più famosi truffatori di tutti i tempi per far scattare i controlli… Verrebbe però da chiedersi dov’erano le autorità, prima, e quale sarà il nome della prossima impresa truffaldina. Ricordatevi sempre che non esistono guadagni gratis: non fidatevi delle promesse mirabilanti di nessuno.

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