Iter il progetto Europeo per energia da fusione nucleare

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Energia, viaggio nel cuore di Iter: il sogno della fusione nucleare da 25 miliardi di euro. Il maxi-progetto in Provenza, pronto dopo il 2035, coinvolge Usa, Cina, Russia, Giappone e per l’Europa anche l’Italia.

Guardando il Tokamak, il cuore dell’impianto Iter a fusione nucleare in costruzione in Francia, a Cadarache, la prima impressione che ricava chi era un ragazzo all’inizio degli anni ’80, è di trovarsi all’interno della stazione orbitale da battaglia di Star Wars.

Ma se quella, nella fantasia di George Lucas, doveva essere l’arma finale dell’Impero, Iter, nella realtà, è l’esatto contrario di un’arma; perché è il progetto che, replicando sulla terra il processo che crea l’energia nucleare pulita e sicura del Sole, potrebbe portare l’umanità a un enorme passo avanti dal punto di vista energetico, garantendo sostenibilità ambientale ed elettricità a basso prezzo; e contribuendo anche, in modo decisivo, a realizzare quel mix energetico verde che, insieme a eolico e fotovoltaico, potrà abbattere i livelli di Co2 a livello globale.

Certo, il percorso è ancora lungo ma Iter, proponendosi di dimostrare che è possibile generare un’enorme quantità di energia da un processo di fusione nucleare, attraverso l’unione, in un flusso di plasma, di due isotopi d’idrogeno, deuterio e trizio, punta a segnare il passo successivo rispetto alla fissione di due atomi pesanti (di uranio o plutonio), utilizzata nelle attuali centrali atomiche.

La fusione, in effetti, non emette gas serra e si può interrompere in qualsiasi momento, senza pericoli e senza lasciare scorie radioattive per millenni. Ed è per questo che, nel gigantesco impianto, in fase avanzata di costruzione in Provenza, stanno lavorando, fianco a fianco, come oggi non avviene in alcun’altra parte del mondo, gli scienziati, i tecnici e gli operai di Europa, Stati Uniti, Russia, Cina, India, Corea del Sud e Giappone: Paesi che rappresentano più della metà della popolazione mondiale e l’80% del Pil globale.

Direzione made in Italy

In questo mix di nazionalità, peraltro, l’Italia si è ritagliata un ruolo di primo piano: italiani sono, da ottobre 2022, il direttore del progetto, Pietro Barabaschi e il suo braccio destro Sergio Orlandi. E numerose sono le imprese tricolori che vi lavorano, come Asg Superconductors (della famiglia Malacalza), Ansaldo, Walter Tosto, Monsud, Criotec, Simic, Mangiarotti e Fincantieri.

All’interno del complesso di Iter, che sorge su un’area di 420mila metri quadrati, tutto è enorme. Le dimensioni imponenti, spiegano i tecnici, sono essenziali per la riuscita dell’esperimento: c’è il più grande impianto di produzione criogenica del mondo, due vaste sottostazioni elettriche (una per alimentare i sistemi di Iter e l’altra per la gestione dei carichi di consumo convenzionali).

In due edifici attigui è collocato l’impianto di convertitori maggiore al mondo, quanto a potenza installata: 2mila megavolt ampere. Sono in tutto 32 e uno solo di questi convertitori ha una potenza tale da alimentare i carichi di una città come Genova durante la notte.

Il cuore del reattore

Enormi anche i due edifici adiacenti che sono il fulcro del progetto: il Tokamak complex, dove si sta montando il cuore del reattore, e l’Assembly hall; quest’ultima è il luogo in cui i pezzi del Tokamak (parola che nasce dall’acronimo, in russo, di camera magnetica toroidale), vengono montati, per poi essere trasferiti nell’altro edificio, all’interno dello spazio della camera magnetica, dove si trova il vacuum vessel in cui, quando il reattore comincerà a entrare in funzione, si formerà, riscaldando deuterio e trizio a 150 milioni di gradi centigradi, il plasma, un quarto stato della materia fatto di gas ionizzati, come i fulmini, che viene tenuto lontano dalle pareti del Tokamak grazie a campi magnetici ad alta intensità generati dai magneti superconduttori.

Questo processo porta alla fusione dei nuclei atomici dei due isotopi di idrogeno, liberando elio e grandi quantità di energia sotto forma di neutroni; il flusso viene poi immesso in un generatore di vapore.

Nelle centrali del futuro quest’ultimo azionerà una turbina che produrrà energia elettrica. Ma questo avverrà solo quando sarà costruita Demo, la prima vera centrale a fusione che ci si aspetta arrivi nella seconda metà del secolo. Iter, che deve solo dimostrare la possibilità di industrializzare il sistema, non è dotato di turbina: il calore generato sarà vaporizzato in atmosfera, senza emissioni nocive, con torri simili a quelle delle centrali a fissione.

«La possibilità di dominare la fusione termonucleare in modo continuo – spiega il Barabaschi – è l’obiettivo principale di Iter. Perché sappiamo, già da tempo, che la fusione è possibile e sappiamo anche che si può ottenere più energia di quella che si immette nel plasma: è stato dimostrato; quel che non sappiamo è se riusciremo a sostenere questa reazione in modo continuativo per tempi lunghi, cioè almeno per un’ora a volta, nel primo periodo.

Poi c’è un ultimo quesito: riusciremo a far sì che la fusione sia economicamente conveniente? Questa è una domanda alla quale Iter non risponderà; la risposta arriverà solo quando la tecnologia sarà sviluppata a un punto tale per cui potrà essere presa in mano dalle utilities, cioè da coloro che devono produrre energia in modo continuativo».

Costi parabolici

Per ora, in effetti, il progetto ha avuto, chiosa Barabaschi, «costi parabolici. È difficile avere un consuntivo preciso: i conti sulle forniture europee e su quelle americane sono sostanzialmente pubblicati.

Sapendo qual è il valore di queste forniture e non di quelle di Paesi come India, Cina o Giappone, per cui non ci sono conti pubblicati, si stima che il costo complessivo sia stato, finora, di 20-25 miliardi; circa il 45% di questa somma sono spese Ue, più o meno 10 miliardi. Di questi ultimi, una parte viene finanziata dall’Italia, che, peraltro, ne ha ricavato un beneficio.

Il nostro Paese, che contribuisce al bilancio comunitario col 12-13%, mette, per Iter, circa un miliardo di euro; per contro, l’Italia ha ricevuto contratti da 3 miliardi: è il Paese Ue che ne ha ottenuti di più ad alto valore aggiunto.

Si tratta di accordi come quello con Asg, in virtù del quale i magneti toroidali, che sono il componente più importante del Tokamak, sono stati fatti metà in Giappone e metà in Italia, da Asg».

L’anteprima dell’impianto in costruzione

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