Enormi “zone morte” al largo dell’Atlantico. Al largo delle coste occidentali dell’Africa sono state scoperte “zone morte” in cui l’ossigeno disciolto nell’acqua raggiunge valori molto più bassi di quelli registrati finora, rendendo impossibile la vita animale. Si trovano all’interno di giganteschi gorghi in rapida rotazione di un centinaio di chilometri di diametro, in uno strato superficiale spesso 100 metri.
Nell’Atlantico tropicale settentrionale, a diverse centinaia di chilometri dalle coste dell’Africa occidentale, esistono “zone morte” in cui i livelli di ossigeno disciolto sono i più bassi mai registrati in mare aperto in questo oceano, tanto da rendere l’ambiente acquatico inospitale per la maggior parte degli animali marini. Lo rivela una nuova ricerca pubblicata sulla rivista “Biogeosciences” organo della European Geosciences Union (EGU), a firma di Johannes Karstensen, dell’Helmholtz Centre for Ocean Research (GEOMAR), di Kiel, in Germania, e colleghi tedeschi e canadesi.
Secondo lo studio, queste zone morte, in cui possono sopravvivere solo alcune specie di microrganismi, formano enormi gorghi che si estendono per un centinaio di chilometri, in cui le masse d’acqua ruotano a grande velocità e si muovono lentamente verso ovest.
In genere, le zone morte si concentrano nei pressi delle zone costiere, dove i fiumi spesso scaricano in mare fertilizzanti e altri nutrienti chimici, provocando le fioriture algali. Quando le alghe muoiono, sprofondano fino a raggiungere il fondo, e vengono decomposte da batteri che consumano gran parte dell’ossigeno disciolto nell’acqua. Le correnti possono poi trasportare queste acque lontano dalla costa, anche se finora non era mai stata scoperta una zona morta in mare aperto.
Karstensen e colleghi hanno studiato le regioni al largo delle coste occidentali dell’Africa e intorno alle isole di Capo Verde per sette anni. Utilizzando boe galleggianti e osservazioni da satellite, hanno misurato non solo le concentrazioni di ossigeno, ma anche i movimenti delle masse d’acqua, la sua temperatura e la sua salinità.
“Prima del nostro studio, si pensava che le acque aperte dell’Atlantico settentrionale avesse concentrazioni minime di circa 40 micromoli per litro d’acqua, corrispondenti a circa un millilitro di ossigeno disciolto per litro di acqua marina”, ha spiegato Karstensen. Questa concentrazione di ossigeno è bassa, ma permette ancora ai pesci di sopravvivere. Per contro, i livelli minimi di ossigeno ora misurati sono 20 volte più bassi rispetto al minimo precedente, rendendo le zone quasi prive di ossigeno e quindi inospitali per la maggior parte degli animali marini.
La peculiarità delle zone morte appena scoperte è quella di formarsi all’interno di giganteschi gorghi, in cui le masse di acqua si avvolgono a spirale con grande rapidità. “I pochi gorghi che abbiamo osservato in grande dettaglio sono cilindri in rotazione di 100-150 chilometri di diametro: la zona morta che occupa i 100 metri più superficiali”, spiega Karstensen.
Le aree che circondano i gorghi, inoltre, rimangono ricche di ossigeno ma isolate rispetto alle aree morte. “La rotazione dei gorghi è così rapida da rendere molto difficoltoso lo scambio di ossigeno al confine tra il mulinello e l’oceano circostante”, spiega Karstensen. “Inoltre, la circolazione crea uno strato dello spessore di sole poche decine di metri, che supporta la crescita vegetale, un fenomeno molto simile alla fioritura algale che avviene lungo le coste, e che consuma gran parte dell’ossigeno disponibile nell’acqua”.
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