L’ossigeno e la Terra. Cicli e ricicli dell’ossigeno: da dove arriva? Chi lo produce sulla Terra? Una molecola fondamentale per la vita. Proviene da alcuni organismi, che stiamo distruggendo a un ritmo insostenibile. Fortunatamente il nostro respiro non è in pericolo, ma gli ecosistemi sì.
La gran parte degli esseri viventi sul pianeta dipende dalla presenza di ossigeno: lo introducono nel corpo con la respirazione e lo utilizzano nel complesso insieme di reazioni chimiche che sfruttano al meglio il cibo. Letteralmente, con l’ossigeno bruciano il materiale ingerito fino a estrarne l’ultima stilla di energia.
Perché c’è ossigeno nell’atmosfera della Terra? Come ci è arrivato? Chi lo produce? L’atmosfera è sempre stata uguale a oggi?
L’ossigeno è usato non solo dagli uomini, dalle balene, dagli insetti e da tutti gli altri animali: anche le piante verdi respirano, così come i funghi, molti batteri e alcuni archea. I biologi chiamano questi viventi aerobi.
A loro disposizione c’è in atmosfera una grandissima quantità di ossigeno in forma molecolare (O2) o di ozono (O3): è il secondo gas più presente, con una percentuale del 21% (il primo è l’azoto, un gas per noi inerte, con il 78%).
L’attuale percentuale corrisponde a una quantità estremamente elevata: ci sono circa 1.200.000 gigatonnellate (miliardi di tonnellate) di O2 nell’atmosfera, derivate dalla storia geologica e biologica del pianeta.
Una storia tormentata. La situazione sul pianeta non è sempre stata così. La storia dell’ossigeno sulla Terra è molto complessa, ma si può riassumere in pochi passi.
La prima atmosfera terrestre, circa 3 miliardi e mezzo di anni fa, era composta da azoto e alcuni gas serra, non è chiaro se CO2 e/o metano o altro. Le specie viventi al tempo non avevano ovviamente bisogno dell’ossigeno per vivere (queste forme di vita sono chiamate anaerobi): erano batteri e archea, due domini della vita completamente diversi tra loro, anche se in apparenza simili – entrambi a loro volta molto lontani dall’altro dominio della vita, gli eucarioti, cui appartiene l’uomo.
Il loro metabolismo utilizzava piccole molecole organiche per nutrirsi: l’energia proveniva da processi chimici poco efficienti e lenti. Gli anaerobi non solo non avevano bisogno dell’ossigeno, ma ne erano anche molto sensibili. Il gas è infatti estremamente reattivo, e tende a degradare in fretta i composti organici, se non è controllato.
Arriva la fotosintesi. Solo circa 2,5 miliardi di anni fa in un gruppo di batteri particolare (i cosiddetti cianobatteri) comparve un processo che sfruttava la più importante fonte di energia del nostro sistema, il Sole. Il processo, definito fotosintesi ossigenica (esistono altre fotosintesi, ma qui non ci interessano), aveva come sottoprodotto proprio la molecola dell’ossigeno (O2). Per mezzo miliardo di anni si legò ad altri atomi e venne in questo modo, come si dice tecnicamente, sequestrato.
Poi, attorno a due miliardi di anni fa, l’ossigeno cominciò ad accumularsi nell’atmosfera. Come conseguenza, moltissimi esseri anaerobi che a quel tempo abitavano la Terra scomparvero o si rifugiarono in zone prive di ossigeno. Il periodo, definito grande evento ossidativo o catastrofe dell’ossigeno, sconvolse totalmente gli ecosistemi marini estinguendo innumerevoli specie; fu la prima grande estinzione del pianeta.
Arrivano le piante. Nel giro di alcune centinaia di milioni di anni il livello dell’ossigeno in atmosfera si innalzò lentamente, accumulandosi. Con l’arrivo delle piante verdi (eucariote) più complesse ed efficienti dei cianobatteri, l’ossigeno aumentò ancora di più e più velocemente in percentuale, con un andamento altalenante. È stato recentemente chiarito, per esempio, che un importante, ma temporaneo, aumento dell’O2 atmosferico si è verificato circa 400 milioni di anni fa e che i livelli di ossigeno hanno subito un cambiamento graduale verso valori quasi moderni circa 200 milioni di anni fa.
E oggi? Anche ai giorni nostri l’ossigeno viene prodotto dalle piante verdi sulla terraferma, dai cianobatteri e dalle alghe marine, e utilizzato come combustibile per estrarre energia dal cibo da moltissimi esseri viventi. Sulla Terra, da centinaia di milioni di anni si è così instaurato il cosiddetto ciclo dell’ossigeno, intimamente legato al ciclo del carbonio.
Funziona così: durante la produzione del cibo con la fotosintesi, costituito da molecole di anidride carbonica (CO2) unite assieme dall’energia del Sole, le piante verdi e i cianobatteri emettono ossigeno molecolare (O2) come materiale di scarto.
Animali, funghi, batteri e piante verdi (anche loro) usano poi l’ossigeno nelle reazioni che scompongono il cibo per estrarne energia, e come materiale di scarto emettono CO2. Che a sua volta è riassorbita dalle piante. Così il ciclo ricomincia, e sembra essere in equilibrio.
Chi produce cosa. Le fonti di ossigeno sulla Terra sono divise tra oceani (alghe e cianobatteri) e terraferma (piante verdi). Una valutazione precisa del peso delle varie fonti nella produzione del gas è estremamente complessa, perché le stagioni di crescita (e quindi di assorbimento della CO2 ed emissione di O2) variano, e i cicli del pianeta influenzano la fotosintesi. Per esempio, negli anni in cui si presenta il fenomeno di El Niño, una zona di caldo anomalo nell’Oceano Pacifico al largo del Sud America, l’assorbimento di CO2 e quindi l’emissione di ossigeno è leggermente inferiore. Inoltre le zone oceaniche produttive variano moltissimo secondo le correnti, la temperatura e la presenza di nutrienti.
Il Terzo Rapporto dell’Ipcc (2001) riporta studi che calcolano che sulla terraferma la produzione di ossigeno è 8 gigatonnellate l’anno, mentre in mare è di circa 6,1 gigatonnellate. Altri dati indicano invece che sono gli oceani a produrre più ossigeno della terraferma (per un approfondimento vedi The Carbon Cycle and Atmospheric Carbon Dioxide).
Queste quantità però sono quasi del tutto assorbite dalla respirazione di animali, piante e funghi, e dalla degradazione da parte dei batteri, che consumano ossigeno anch’essi. Come afferma il climatologo Wallace Broecker, recentemente scomparso, «gli ecosistemi terrestri hanno raggiunto nel corso degli eoni un equilibrio tra produzione fotosintetica e consumo respiratorio di O2; la tendenza alla variazione della riserva atmosferica di O2 è piuttosto ridotta».
Bilancio zero. In breve, quello che gli ecosistemi producono, lo riassorbono, e il 21% dell’ossigeno atmosferico, a meno di catastrofi imprevedibili, non cambierà. Le preoccupazione che la deforestazione e gli incendi possano privarci dell’ossigeno è infondata. La quantità di ossigeno in atmosfera è così elevata che potrebbe bastare per centinaia, forse migliaia di anni.
L’abbattimento delle foreste tropicali (in Amazzonia come in Africa o nel sud-est asiatico), ha però un doppio effetto, sull’ossigeno terrestre e sull’anidride carbonica: da una parte impedisce alle piante (abbattute) di assorbire la CO2 in atmosfera, anche quella prodotta dall’uomo, e allo stesso tempo di emettere ossigeno. Dall’altra emette a sua volta altra CO2, fino a quel momento “sequestrata” nelle piante: quando vengono degradate dai batteri o bruciate dall’uomo, le piante verdi (come quelle dell’Amazzonia) contribuiscono perciò ad aumentare l’effetto serra.
Un’altra conseguenza della scomparsa delle aree verdi ai tropici è la drastica diminuzione di biodiversità, cioè di specie di piante, animali e funghi che potrebbero essere utili all’uomo. E che, in ogni caso, hanno una loro dignità di esistenza.
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