La perdita del permafrost causa aumento di CO2 nell’atmosfera

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Un legame tra ghiaccio artico e stabilità del permafrost. L’analisi di dati paleoclimatici risalenti fino a 400.000 anni fa ha rivelato che i periodi in cui il permafrost si sciolse, rilasciando enormi quantità di anidride carbonica, non coincidevano solo con quelli in cui la Terra era più calda, ma erano molto più probabili quando l’Artico era privo di ghiaccio in estate. Il fenomeno potrebbe ripetersi in futuro, accentuando il cambiamento climatico.

La regione artica è particolarmente sensibile al cambiamento climatico in atto. E le proiezioni indicano che, entro la metà di questo secolo, in estate la calotta polare potrebbe essere completamente fusa. A questo processo già di per sé drammatico per l’ambiente ne è correlato un altro: la fusione del permafrost, il terreno permanentemente ghiacciato che ricopre un quarto delle terre emerse nell’emisfero settentrionale.

A lanciare l’allarme è un nuovo studio pubblicato su “Nature” da Anton Vaks dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, e colleghi hanno usato i dati paleoclimatici per mostrare che il permafrost siberiano è resistente al riscaldamento quando è presente il ghiaccio marino artico, ma vulnerabile quando questo ghiaccio è assente.

Le conseguenze della fusione sarebbero di grande portata, perché aggreverebbero il cambiamento climatico, dato che il permafrost ha una straordinaria capacità di immagazzinare l’anidride carbonica, doppia rispetto a quella dell’oceano.

Lo studio si è focalizzato sui depositi di carbonato, detti speleotemi, presenti in una grotta siberiana situata sul confine meridionale del permafrost. Queste formazioni hanno strati di materiale la cui età è determinata in modo preciso con tecniche di datazione all’uranio-piombo su un arco di tempo molto ampio, a partire da circa 1,5 milioni di anni fa, un’epoca in cui il trasporto di calore dall’equatore verso nord riscaldò notevolmente l’emisfero boreale.

L’analisi ha permesso di determinare l’alternanza di presenza e assenza di permafrost negli ultimi 400.000 anni, in relazione ai diversi processi che collegano il ghiaccio marino artico e il terreno permanentemente ghiacciato. Si è scoperto che l’assenza di ghiaccio marino porta a un aumento del trasferimento di calore e umidità dall’oceano all’atmosfera: il calore trasportato via terra riscalda il permafrost, mentre l’umidità aumenta le precipitazioni nevose durante i mesi autunnali.

La coltre di neve forma uno spesso strato isolante, aumentando ulteriormente le temperature medie annue del terreno, destabilizzando il permafrost. Di conseguenza, nelle regioni con maggiore copertura nevosa e isolamento, il permafrost si scongela sempre di più, rilasciando anidride carbonica intrappolata per millenni.

“Siamo rimasti sorpresi di scoprire che i periodi in cui il permafrost si scioglieva in passato non coincidevano semplicemente con i periodi in cui la Terra era più calda, ma erano molto più probabili quando l’Artico era privo di ghiaccio in estate”, ha commentato Gideon Henderson, ricercatore dell’Università di Oxford e coautore dell’articolo. “Questa scoperta sul comportamento passato del permafrost suggerisce che la perdita attesa del ghiaccio marino artico in futuro accelererà lo scioglimento del permafrost che si trova attualmente in gran parte della Siberia”.

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