L’infiammazione da coronavirus arriva a colpire il cervello

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Covid 19, quello che sappiamo su come colpisce il cervello. Individuata una nuova proteina chiave, la neuropilina 1, che permette l’ingresso del virus in diversi organi del nostro corpo e in particolare nel bulbo olfattivo e nella corteccia cerebrale. E c’è chi avanza l’ipotesi di un aumento di rischio per il Parkinson.

È stata scoperta una nuova “porta” che permette a Sars-Cov-2 di entrare – e soprattutto restare – nel nostro organismo, compreso il cervello. Si chiama neuropilina 1 e si trova in molti tessuti. La prima proteina scoperta, Ace2, era stata individuata fin dall’inizio della pandemia e ora due nuovi studi incastrano un’altra tessera molto importante del complesso puzzle chiamato Covid 19. Le ricerche, rese pubbliche su bioRxiv (qui e qui), sono state condotte da due gruppi europei, uno dei quali co-diretto dal virologo italiano Giuseppe Balistreri, attualmente all’Università di Helsinki.

I punti di ancoraggio del coronavirus

Covid 19, quello che sappiamo su come colpisce il cervello.“Tutti i virus hanno delle ‘preferenze’ su dove fermarsi che dipendono dai recettori a cui si legano”, spiega Alberto Albanese, Responsabile di Unità Operativa Neurologia dell’Humaitas di Rozzano. “Se non ci fossero questi ‘ganci’, i virus entrerebbero e uscirebbero dal nostro corpo senza fare danni. Siamo partiti con Ace2, presente in grandi quantità nei polmoni e nel bulbo olfattivo, il che spiega l’affinità del virus per questi organi e, di conseguenza, i problemi respiratori e la perdita dell’olfatto. Ora si aggiunge la neuropilina 1, un punto di ancoraggio estremamente rilevante, anch’esso presente nel bulbo olfattivo e, restando nel cervello, anche nella corteccia cerebrale”. Le due ricerche sono importanti sia perché mostrano una via di ingresso del virus nel cervello (il coronavirus è stato trovato anche nelle cellule da cui derivano i neuroni dell’olfatto), sia perché la neuropilina 1 potrà essere sfruttata come ulteriore bersaglio per arrestare la malattia.

L’ipotesi “Parkinson”

Negli ultimi mesi l’attenzione ai possibili effetti di Covid 19 sul cervello è molto cresciuta. Dapprima i riflettori sono stati puntati sulla perdita dell’olfatto, che in alcuni casi sembra permanere anche a tamponi ormai negativi da tempo. Poi sono stati segnalati episodi di encefalite, ictus, emorragie cerebrali, problemi di memoria e psicosi. Ora, sul Journal of Parkinson’s Disease, un gruppo di ricercatori australiani avanza l’ipotesi che Sars-Cov2 possa avere effetti sul cervello anche più a lungo termine e portare a un aumento dei casi di Parkinson, come si era verificato negli anni che seguirono l’influenza Spagnola. Un’associazione mai chiarita, ma che non esclude la possibilità di un nesso con l’infiammazione provocata dal virus.

“Quella che fanno i ricercatori australiani è una riflessione: non ci sono dati, ma è una supposizione teorica”, sottolinea Albanese: “Dopo l’Influenza Spagnola – che chiamiamo genericamente influenza sebbene non sappiamo quale agente l’abbia causata – è stato registrato un picco di parkinsonismi post encefalitici. Fu il neurologo Oliver Sacks a somministrare per primo, proprio in questi pazienti, la terapia con levodopa, il farmaco che poi è diventato la cura di elezione per il Parkinson. E’ possibile – ma non lo sappiamo – che il virus della Spagnola avesse i suoi ‘ganci’ nella sostanza nera, nel mesencefalo, e che la neurotossicità abbia portato alla degenerazione dei neuroni in questa regione, alla base del Parkinson”. Ma, come detto, non ci sono dati, per ora, per dire che sia andata effettivamente così e che la storia possa ripetersi anche con il coronavirus.

Covid e cervello, gli effetti indiretti e diretti

Cosa sappiamo, quindi, delle conseguenze di Covid 19 sul cervello? Innanzitutto dobbiamo distinguere due tipi di effetti: quelli extracerebrali, cioè indiretti, e quelli cerebrali. Nella prima categoria rientrano gli ictus ischemici ed emorragici: “Che Sars-Cov2 causi un’alterazione della coagulazione del sangue – spiega l’esperto – è accertato e questo aumenta le probabilità di entrambi i tipi di ictus. Abbiamo studi molto chiari che mostrano come l’incidenza segua i numeri della pandemia. Questo rischio aumenta anche nei pazienti asintomatici, che possono comunque avere alterazioni della coagulazione”.

Per quanto riguarda gli effetti diretti del virus, invece, sono un tema caldo, su cui ancora si può dire poco. “Sono stati riportati episodi di confusione mentale e di delirio più o meno lunghi, di una settimana o una decina di giorni, legati a stati di sofferenza del cervello che si ritengono causati dal virus”, conclude Albanese: “La prova ancora non c’è, ma in tutto il mondo si stanno raccogliendo dati e neuroimaging. Ancora sono molte più le domande delle risposte”.

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