Nuovi indizi a sostegno dell’origine animale del virus del COVID

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Ci sono nuovi indizi a sostegno dell’origine animale del virus del COVID. Si tratta di sequenze genetiche provenienti dal mercato di Wuhan che mostrano la presenza anche di cani procione nei luoghi dove è stato trovato SARS-CoV-2 all’inizio del 2020, e che aggiungono prove di un evento naturale di spillover.

Gli scienziati hanno scoperto nuove prove genetiche relative al mercato di Wuhan, in Cina, dove c’è stato il primo focolaio di casi di COVID a fine 2019. I risultati, che confermano l’origine animale di SARS-CoV-2, il virus che ha causato la pandemia di COVID, sono stati presentati all’inizio della scorsa settimana a un gruppo consultivo convocato dall’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS).

Florence Débarre, biologa evolutiva al Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS), ha scoperto le sequenze genetiche del virus che i ricercatori cinesi – guidati da George Gao, ex capo del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie – avevano caricato su una banca dati genomica pubblica chiamata GISAID. Le sequenze sono state successivamente rimosse, ma non prima che numerosi altri ricercatori di diversi paesi le avessero scaricate e analizzate.

I campioni contenenti l’RNA virale, raccolti al mercato all’ingrosso dei frutti di mare di Huanan a inizio 2020, contenevano anche materiale genetico di cani procione (Nyctereutes procyonoides) – un tipo di canide simile alla volpe a quanto pare venduto al mercato – e di altri animali. Il materiale genetico proveniva dalle stesse aree del mercato in cui è stato trovato SARS-CoV-2, suggerendo che i cani procione potrebbero essere stati infettati dal virus (forse da altri animali) e potrebbero essere stati i primi a diffonderlo agli esseri umani.

Esemplare di cane procione (© Erich Thielscher/McPhoto/ullstein bild via Getty Images) 
Esemplare di cane procione (© Erich Thielscher/McPhoto/ullstein bild via Getty Images)

Il virus ha scatenato una pandemia globale che ha ucciso quasi sette milioni di persone, e si è discusso se sia stato causato da una diffusione naturale dalla fauna selvatica all’essere umano o da una fuga di laboratorio da una struttura che studia i coronavirus a Wuhan. Le nuove prove non dimostrano direttamente che SARS-CoV-2 sia arrivato all’essere umano da cani procioni infetti, ma si aggiungono a un crescente numero di prove a favore di uno spillover dagli animali.

“Questi dati non forniscono una risposta definitiva alla domanda su come sia iniziata la pandemia, ma ogni dato è importante per avvicinarci a questa risposta”, ha dichiarato il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus in un briefing di venerdì. Gli scienziati che stanno analizzando i dati stanno attualmente preparando un rapporto sulle loro scoperte, che sperano di pubblicare nei prossimi giorni.

“Scientific American” ha parlato con uno dei ricercatori che hanno analizzato i campioni: Joel Wertheim, biologo evolutivo dell’Università della California a San Diego, che ha descritto la nuova scoperta e spiegato che cosa aggiunge alla nostra comprensione sulle origini del COVID.

[Segue una trascrizione rielaborata dell’intervista.]

Che cosa dimostrano le nuove scoperte e come si inseriscono nel contesto più ampio della ricerca delle origini del COVID?

Innanzitutto, aspettavo di vedere queste sequenze da più di un anno, forse due. Da tempo pensavamo che avrebbero confermato la presenza di ospiti sensibili e del virus nello stesso luogo e nello stesso momento sul mercato.

Quindi eravate a conoscenza dell’esistenza di questi campioni, ma non erano disponibili al pubblico?

Sì, sembra che [i ricercatori cinesi abbiano] eseguito più sequenziamenti sui campioni. Quindi non so quando siano stati prodotti…. in base a [un] preprint del 2022 sappiamo che gli [scienziati] cinesi avevano campioni più vecchi. E sapevamo che quei campioni esistevano grazie a un documento trapelato all’inizio del 2020. [Nota della redazione: questo preprint è attualmente in fase di revisione per un’eventuale pubblicazione.]

Ma quel preprint precedente non menzionava sequenze animali, giusto?

Sì, non menzionava specificamente la provenienza del materiale genetico non virale, a parte i campioni provenienti dall’essere umano. Da tempo sospettavo che almeno uno di quei punti del loro grafico provenisse da cani procione. Ed ecco che è così.

Quanto è forte l’evidenza di uno spillover naturale come origine della SARS-CoV-2?

Beh, innanzitutto vorrei dire che anche prima che venissero pubblicati questi dati, la preponderanza delle prove scientifiche indicava già da tempo uno spillover zoonotico naturale [una malattia animale che passa all’essere umano]. Questi nuovi dati sono del tutto coerenti con questo scenario. Ora, ciò che è importante è che ritengo che sia un’interpretazione inappropriata dire che queste sequenze dimostrano che i cani procione, o qualsiasi altra specie ospite di mammifero, sono stati infettati da questi virus, perché tutto quello che stiamo mostrando è la co-occorrenza di materiale genetico da ambienti ospiti. Non è la stessa cosa di un tampone su un cane procione. E non è la stessa cosa che osservare un cane procione che trasmette un virus a un essere umano, cosa che, ovviamente, non vediamo mai. Non otteniamo mai questo livello di prova. Ma prima di tutto, questa è una prova forense della presenza di questi presunti animali ospiti al mercato. Su questo non ci sono più dubbi. E si trovavano nello stesso luogo del virus.

Ora, è chiaro che alcuni di questi campioni ambientali contengono il virus a causa di esseri umani infetti. Ma è difficile immaginare che siano stati solo gli esseri umani a depositare il virus in tutti i luoghi in cui si trovavano ospiti sensibili e che si tratti solo di esseri umani che lo hanno trasmesso agli animali. Alla luce di tutto quello che sappiamo sui primi giorni della pandemia di COVID e di tutto quello che sappiamo sui virus zoonotici, questo corrisponde. Metterà a tacere la cospirazione delle fughe da laboratorio? No. Niente lo farà mai. Ma credo che dovrebbe aiutare a convincere gli scienziati più ragionevoli.

Può dire se ci sono prove a favore dell’ipotesi della fuga da laboratorio, almeno per quanto riguarda la versione “in buona fede” che considera fuga del genere come una sorta di incidente?

Il problema della versione in buona fede dell’ipotesi della fuga da laboratorio è che non ce n’è nemmeno una. C’è lo scienziato che è infettato sul campo, lo scienziato che è infettato in laboratorio da un virus che non è ancora stato descritto, il passaggio seriale o guadagno di funzione… Insomma, ognuna di queste ipotesi di fuga dal laboratorio è reciprocamente incompatibile.

Osservando il genoma virale, non vediamo nulla di sospetto riguardo a [qualche] tipo di manipolazione di laboratorio; davvero non lo vediamo. La spiegazione più “benevola” che rimane è che qualche addetto al laboratorio venga infettato da un virus che il laboratorio deve ancora caratterizzare, lo porti al mercato di Huanan e lo introduca potenzialmente più volte, e poi gli animali che sono in vendita vengano infettati. E nessuno di questi operatori di laboratorio trasmette [il virus] a qualcuno che potrebbe aiutare gli epidemiologi a risalire a loro, né finiscono per essere sieroreattivi [avere anticorpi contro il virus indicativi di una precedente infezione] quando sono testati in seguito.

Lei dice che questa catena di eventi sembra improbabile. Che cosa ne pensa del recente rapporto del Department of Energy degli Stati Uniti che ha concluso “con un basso livello di confidenza” (low confidence) che l’origine più probabile è stata una fuga dal laboratorio?

Non ho idea del contenuto del rapporto del Department of Energy. Non posso fare commenti specifici su un rapporto che non è stato descritto o che non ho mai visto. Ma non riesco a immaginare quali prove reali abbiano. Soprattutto ora, alla luce [delle nuove prove sugli animali].

Questi primi casi [erano] legati al mercato. Sì, c’era molta confusione. Ma una volta eliminate tutte le supposizioni e i dati che non reggevano all’esame, è rimasto solo il mercato. E tutto ciò che abbiamo fatto da allora, dalle analisi geografiche alle analisi genomiche e, ora, alle analisi genetiche forensi, indica una zoonosi naturale al mercato.

Indipendentemente dalla vera origine di SARS-CoV-2, dobbiamo comunque preoccuparci di mantenere i laboratori sicuri per evitare possibili fughe di agenti patogeni mortali?

Certamente. Non conosco nessun virologo che non prenda sul serio la biosicurezza. Ma quando si parla di ricerca sul guadagno di funzioni e di sicurezza dei laboratori, questa discussione dovrebbe essere separata da quella sul COVID perché si tratta di due questioni diverse. Le circostanze dell’origine non sono correlate ed è un errore confondere le due cose.

Tornando alle nuove prove genetiche, quali informazioni spera di ricavarne nelle prossime settimane?

C’è materiale genetico proveniente dalle bancarelle del [mercato] che non avevano il SARS-CoV-2. Sarei molto interessato a vederlo. Ci sono altri dati genetici provenienti dal mercato che non sono stati resi disponibili… Penso che i sequenziamenti precedenti possano essere ancora in circolazione e credo che sia imperativo condividere questi dati con l’intero gruppo, in modo che gli scienziati di tutti i livelli possano entrare e [studiarli].

Lei e i suoi colleghi pubblicherete questi risultati?

Pubblicheremo un rapporto che riassume i nostri risultati. Direi che [i tempi siano] più vicini ai giorni, forse alle ore.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 17 marzo 2023. Traduzione ed editing a cura di “Le Scienze”. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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