Mose di Venezia, allarme nelle imprese: «Il consorzio non sta pagando». Si fermano i cantieri per completare le barriere contro l’acqua alta e le aziende che vi lavorano sono in crisi. L’arretrato ammonta a circa a 200 milioni.
Il Mose è quasi finito, funziona già in caso di emergenza. Ma sono finiti i soldi. Le casse sono vuote. Sono in difficoltà le imprese che lavorano per completare le dighe mobili contro l’acqua alta. In qualche caso, le aziende sono in crisi tale da intravedere la chiusura, il concordato, il fallimento.
Il Consorzio Venezia Nuova – il concessionario unico dello Stato messo sotto commissariamento pubblico dopo le scandalo di sette anni fa e da alcuni mesi gestito dal liquidatore Massimo Miani – è in liquidazione e non riceve più dallo Stato tutti i trasferimenti che servono. Di conseguenza i pochi incassi che arrivano bastano appena a pagare i 250 dipendenti e a far funzionare in assetto d’emergenza le paratoie a scomparsa, ma non riescono a pagare le aziende che lavorano per completare l’ultima parte dell’opera colossale. Pare che l’arretrato ammonti a 200 milioni, cifra confermata dalle parti interessate.
Una lettera contro il rischio di chiusura
Alcune aziende stanno già affrontando il concordato, alcune traguardano la minaccia della chiusura definitiva. Lunedì, nove imprese minori aderenti al consorzio hanno scritto una lettera dai toni formali ma dai contenuti della disperazione al prefetto Vittorio Zappalorto, e per conoscenza al commissario liquidatore Miani, alla commissaria straordinaria del Mose Elisabetta Spitz e alla provveditrice alle opere pubbliche Cinzia Zincone. Ma in difficoltà non c’è il solo gruppo compatto delle piccole e medie aziende consorziate.
Che cosa scrivono al prefetto le aziende in difficoltà? Parlano dei «recenti segnali di drammatico progressivo aggravamento delle criticità finanziarie emerse a carico del concessionario Consorzio Venezia Nuova», ricordano il primo commissariamento del Consorzio avvenuto nel 2015 per risanare il progetto dopo lo scandalo delle spese sciagurate, accennano alla nomina della commissaria straordinaria Spitz «per il completamento delle opere elettromeccaniche» e del commissario liquidatore per «ultimare le attività di competenza relative al Mose ed alla tutela e salvaguardia della Laguna di Venezia in esecuzione degli atti convenzionali, nonché procedere alla consegna dell’opera in favore della instauranda Autorità per la laguna di Venezia».
Ma, scrivono nella lettera, «il progressivo aggravamento delle criticità finanziarie del Consorzio Venezia Nuova è ben lungi dal trovare una soluzione» e ciò mette a rischio il settore dei lavori di completamento «senza peraltro che al medesimo comparto possa ascriversi la benché minima responsabilità».
Osservano i firmatari (Giorgio Mainoldi, Devis Rizzo di Kostruttiva, Massimo Paganelli di Clodia, Renzo Rossi della Rossi Renzo, Giovanni Salmistrari della Grv, Giacomo Calzolari dell’Intercantieri Vittadello, Luigi Chiappini della Nuova Coedmar, Francesco Gregolin di Pmi e Paolo Merlo della Ccc) che le conseguenze di questa paralisi finanziaria sono «il totale stallo in cui verte l’opera a partire dall’autunno 2020», la «perdita di occupazione», il «ricordo agli ammortizzatori sociali», un grave incremento delle tensioni sociali ed economiche».
Cantieri fermi e grandi domande
Ecco la friulana Cimolai: su una commessa di 29 milioni ha ricevuto solamente 5,8 milioni di anticipo, e se li faccia bastare (è stato detto all’azienda) che non ci sono altri soldi. Se non arriva il saldo, 100 persone andranno in cassa integrazione e il cantiere si fermerà.
Il progetto su cui lavora la Cimolai è correlato al ripristino di alcune opere che nella gestione precedente erano state ammalorate o realizzate male.
A Monfalcone la Cimolai sta finendo il colossale portale alto 16 metri e largo 54, spesso 8 metri che ci può passare sopra un camion, che dovrà sostituire una chiusa progettata male dai precedenti costruttori.
Si tratta di una delle chiuse di corredo delle paratoie della bocca di Malamocco, una delle quattro barriere che in caso di acqua alta chiuderanno la laguna dal mare aperto. La bocca di porto principale per il passaggio di navi e pescherecci è quella di Malamocco. Di lato alla diga mobile del Mose è stato costruito un porto rifugio in cui, in caso di tempesta furiosa in mare aperto, navi e barche possono trovare ricovero temporaneo. Mal progettato, con profilature che non consentono la manovra alle navi maggiori, il riparo è dotato di una chiusa, una conca di navigazione, attraverso le cui due porte dovrebbero passare le navi anche con il Mose in funzione.
Ma una tempesta aveva strappato e spaccato una delle due porte immense della chiusa, e quindi l’altra porta è stata bloccata e interrata .Cimolai deve completare e istallare la colossale porta scorrevole e rendere funzionante il varco d’emergenza. Ma tutto è fermo. E i pescherecci protestano perché non hanno vie d’uscita.
C’è un decreto che rischia di avere effetti distorsivi nella sua applicazione: è il decreto che esonera alcune categorie dal versamento dei contributi previdenziali ma a conti fatti l’applicazione potrebbe…
Aveva minacciato di fermare i lavori anche il colosso multinazionale Abb per l’impiantistica del Mose. Non si sblocca la gara per assegnare la manutenzione delle dighe mobili del tratto di Treporti, le più vecchie e bisognose di risistemazione. Non decolla il partenariato per studiare e sviluppare cerniere migliori rispetto a quelle del Mose di oggi.
Sono segnali che convergono tutti su una domanda: il Mose oggi funziona, ma come si potrà farlo funzionare in futuro? Secondo quesito correlato: qualcuno sta lavorando a quota periscopica per emergere presto con una proposta irrinunciabile come salvatore del Mose e di Venezia? Uno sblocco potrà arrivare a giorni, quando sarebbero convocati i ministri del Cipe, anzi Cipess (il Comitato interministeriale per la programmazione economica ha aggiunto nel nome lo Sviluppo Sostenibile).
Interregno tra vecchio e nuovo
Si dice che l’arretrato da saldare sia arrivato sui 200 milioni. Un arretrato che nasce di lontano, dall’inchiesta che nel 2014 aveva smontato il sistema di sprechi babilonesi.
Proviamo a fare i conti in tasca al Consorzio Venezia Nuova. Le cifre che seguono sono approssimative e stimate.
O 100 milioni in ripristini: avarie, cattive progettazioni, anticipi, opere da rifare.
O 25 milioni di partite di giro da regolare fra il Consorzio venezia Nuova e le consociate Comar e Thetis.
O 24-25 milioni in opere civili, lavori condotti soprattutto da piccole e medie imprese.
O 40 milioni in appalti conclusivi e impianti finali per completare il Mose.
Per rimediare al passato dissoluto i tre commissari precedenti (Francesco Ossola e Giuseppe Fiengo, in un primo tempo affiancati da Luigi Magistro) avevano messo toppe e tirato coperte cortissime mentre spingevano sui lavori, ora quasi conclusi. Il Mose è quasi finito, funziona già in caso d’emergenza e il Consorzio che l’ha costruito è in liquidazione. E questo è il passato. E per il futuro? Non c’è ancora chi gestirà il Mose funzionante in via ordinaria. Il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni più svariati.
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