L’Arabia Saudita rincara il prezzo del barile di petrolio

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Petrolio, così l’Arabia Saudita delusa dai tagli Opec affina le strategie per muovere i prezzi. Aramco Trading è diventata un colosso sui mercati fisici di greggio e prodotti raffinati. E ora debutta nel sistema in cui si forma il principale benchmark, il Brent Dated, capace di influenzare anche i futures. Anche la rinuncia ad espandere la capacità dei giacimenti potrebbe servire a stimolare rincari.

Delusa dalla scarsa efficacia dei tagli di produzione, l’Arabia Saudita sembra impegnata ad affinare le strategie di influenza sul mercato del petrolio, con un crescente ricorso ad interventi più sofisticati della semplice “chiusura dei rubinetti”, che cercano di incidere anche sui meccanismi di formazione del prezzo del barile.

Aramco Trading – braccio commerciale del gigante statale Saudi Aramco, che opera anche per conto terzi – sta intensificando l’attività sui mercati fisici, in cui è diventata uno dei maggiori protagonisti al mondo, con scambi che hanno raggiunto ben 6 milioni di barili al giorno tra greggio e prodotti raffinati. E nei giorni scorsi per la prima volta ha venduto carichi di Wti Midland attraverso il sistema Market on Close (Moc), gestito da S&P Global Platts: una prima transazione è avvenuta giovedì 8 febbraio e un secondo carico è stato venduto lunedì 12, a TotalEnergies.

È un debutto ancora cauto, ma non trascurabile, poiché questa qualità di greggio (in pratica shale oil estratto negli Stati Uniti) da maggio 2023 è stata inclusa accanto alle tradizionali produzioni del Mare del Nord nel paniere che determina il Brent Dated: un benchmark molto importante, al quale sono indicizzati i prezzi di oltre due terzi degli scambi fisici di greggio a livello globale e che in modo indiretto riesce ad influenzare anche le quotazioni del barile sui mercati finanziari.

Uno scorcio sui serbatoi Aramco e tubi petroliferi presso la raffineria petrolifera Ras Tanura e il terminale petrolifero di Saudi Aramco in Arabia Saudita. ( REUTERS/Ahmed Jadallah)
Uno scorcio sui serbatoi Aramco e tubi petroliferi presso la raffineria petrolifera Ras Tanura e il terminale petrolifero di Saudi Aramco in Arabia Saudita. ( REUTERS/Ahmed Jadallah)

I futures sul Brent hanno invece reagito ben poco ai tagli di produzione, sempre più pesanti, decretati dall’Opec+ a partire dall’autunno 2022: tagli che ormai sulla carta sfiorano 6 milioni di barili al giorno, il cui sacrificio è sopportato per metà dall’Arabia Saudita, che ha aggiunto anche una serie di riduzioni «volontarie».

Riad oggi produce appena 9 mbg, contro gli oltre 13 mbg degli Usa, e in Asia ha perso quote di mercato a favore degli alleati russi. Ma il Brent scambia intorno a 80 dollari al barile, oltre 10 dollari in meno rispetto a quando i tagli sono cominciati.

Anche lo stop ai piani di sviluppo della capacità produttiva di Saudi Aramco, annunciato a inizio febbraio, potrebbe essere in parte mirato a influenzare le quotazioni del greggio: riducendo l’offerta futura, Riad forse spera di smuovere la curva dei futures, alzando i prezzi dei contratti con scadenze più lontane nel tempo.

L’attività di trading sul mercato fisico può invece condizionare le quotazioni a pronti, contrastando con le stesse armi la speculazione ribassista contro cui tante volte si è scagliato Abdulaziz bin Salman, il ministro saudita dell’Energia.

Le modalità di funzionamento del Moc – noto fra i trader come «la finestra di Platts» – hanno attirato più volte l’attenzione dei regolatori in quanto si prestano facilmente a forzature da parte degli operatori che vi partecipano (i più attivi sono i big del trading di materie prime, come Vitol, Glencore, Trafigura o Gunvor, e alcune Major petrolifere, in primis Shell e Bp).

Il sospetto ricorrente è che il sistema venga sfruttato anche per vere e proprie manipolazioni del mercato petrolifero, ma dimostrare condotte illecite si è sempre rivelato molto difficile. La Commissione europea nel 2013 aveva avviato un’indagine antitrust ad ampio spettro, spingendosi fino a perquisire gli uffici di Bp, Shell e Statoil (l’attuale Equinor), ma un paio d’anni dopo ha abbandonato la presa.

Negli Usa si è spesso occupata della questione la Commodity Futures Trading Commission (Cftc), erogando sanzioni ad esempio a Vitol e a un trader di Glencore, e nel 2021 ha aperto un dossier anche il dipartimento della Giustizia.

Aramco Trading Company (Atc) aveva chiesto e ottenuto l’accesso alla piattaforma di Platts nel 2019, ma fino a poco tempo fa si era limitata a partecipare all’Asia Market on Close, il mercato “di casa” per i sauditi, che sulle quotazioni di Brent e Wti ha un’influenza più limitata, per quanto non irrilevante.

Proprio sull’Asia Moc ( in cui si forma un altro importante benchmark del greggio, l’Oman-Dubai) si erano notate manovre sospette nell’estate 2023, quando alcune grandi società cinesi sembravano impegnate a contrastare i rialzi di prezzo voluti dai sauditi.

Il 5 dicembre Aramco Trading era sbarcata sul mercato Platts del Mare del Nord, sia pure con un carico di greggio danese DUC, che non rientra nel paniere del Brent Dated: un primo test forse, da parte di una società che ormai si muove sul palcoscenico globale.

Atc, fondata nel 2010 e attiva dal 2012, ha accelerato l’espansione dalla fine dello scorso decennio e a gennaio 2023 ha integrato Motiva Trading, collegata alla maggiore raffineria Usa. Oggi conta sei sedi operative nel mondo, di cui uno a Londra, inaugurata nel 2020.

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