Canada, monopolio mondiale della cannabis Legale

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Cosa significa per la scienza la cannabis legale in Canada. Il 17 ottobre scorso, il Canada ha reso legale la cannabis per tutti gli usi. La piena legalizzazione della produzione di Cannabis sativa offre molte opportunità sia per migliorare la coltivazione di questa pianta sia per ottenere varie sostanze farmacologicamente attive.

Jonathan Page ha a che fare con la cannabis da una vita. Negli anni settanta è cresciuto a Vancouver Island, in Canada, circondato da hippie vagabondi e fumatori di erba. Così, dopo aver conseguito un dottorato di ricerca in biologia vegetale e fitochimica, è stato perfettamente a suo agio a lavorare sulla Cannabis sativa per la sua specializzazione, in Germania, all’inizio degli anni duemila.

In quel periodo, Page aveva contribuito a caratterizzare una coppia di geni che alcune varietà della pianta usano per dare ai loro oli una nota aromatica di pino e di limone. E durante un colloquio per un posto al National Research Council (NRC) canadese, aveva proposto progetti simili per scoprire come la cannabis produce composti farmacologicamente attivi noti come cannabinoidi.

Coltivazione di Cannabis sativa a fini medici.
Coltivazione di Cannabis sativa a fini medici.

Aveva ottenuto il lavoro, ma quando nel 2003 si era presentato all’NRC’s Plant Biotechnology Institute a Saskatoon, in Saskatchewan, per iniziare con il suo gruppo di laboratorio era rimasto sconcertato. Page ricorda le parole del suo capo: “Qui non lavorerete sulla cannabis. Noi siamo il governo”.

Ma un cambiamento di linea politica può fare grandi differenze. Il 17 ottobre, il Canada è diventato il secondo paese al mondo, dopo l’Uruguay, a legalizzare la cannabis per tutti gli usi. E sebbene alcuni altri paesi, in particolare Israele, abbiano fatto un notevole sforzo per sostenere la ricerca agricola sulla cannabis, la piena legalizzazione in Canada ha portato un accesso senza pari ai finanziamenti per la ricerca di base sulla pianta.

La maggior parte dei 129 produttori di cannabis autorizzati del paese stanno ora chiedendo a gran voce di lavorare con gli scienziati su qualunque cisa, dalla mappatura genetica e l’ingegneria metabolica alle tecniche di essiccazione ottimale fino alle pratiche di coltivazione. E nel tentativo di monopolizzare il mercato legale globale della cannabis – che secondo previsioni prudenti potrebbe superare i 57 miliardi di dollari entro dieci anni – il governo federale e i governi delle province del Canada stanno stanziando milioni di dollari per sostenere la ricerca.

Alcuni ricercatori, come Page (che durante il suo decennio all’NRC si è comunque dedicato in modo autonomo alla ricerca sulla cannabis), sono ben preparati per approfittare della grande corsa canadese all’erba. Ma botanici di tutti i tipi ora si stanno interessando alla pianta per le opportunità di finanziamento e il campo inesplorato.

“Stiamo parlando di una pianta che è indietro di un secolo in termini di tecniche moderne di coltivazione e di sviluppo scientifico”, dice Ernest Small, botanico all’Agriculture and Agri-Food Canada a Ottawa, che studia la cannabis dal 1971.

Ricerca ostacolata
Quando 15 anni fa Page è tornato in Canada, all’inizio si era rassegnato a studiare un parente stretto della cannabis, la pianta del luppolo Humulus lupulus, usata nella produzione di birra.

Ma poi aveva cercato caparbiamente strade per continuare a lavorare sull’erba. Si era assicurato una licenza di coltivazione industriale di una varietà di cannabis usata per la sua fibra, che produce solo tracce di tetraidrocannabinolo (THC), la sostanza psicoattiva responsabile degli effetti della cannabis. Alla fine, era entrato in contatto con l’unica azienda che all’epoca era incaricata dal governo di produrre la pianta per scopi medici.

In questo modo Page è riuscito ad analizzare la via molecolare che porta alla formazione di THC e di cannabidiolo (CBD), l’altro principale composto della cannabis di interesse medico. Con il genetista molecolare Timothy Hughes, dell’Università di Toronto, ha sequenziato il genoma di una potente varietà di erba, chiamata Purple Kush. Ma, ricorda Page, “l’NRC era ancora in completo disaccordo con questo lavoro”. Così, a fine 2013, si è trasferito a Vancouver per avviare un’azienda biotech dedicata alla cannabis: Anandia Labs.

Jonathan Page. (Cortesia University of Saskatchewan)
Jonathan Page. (Cortesia University of Saskatchewan)

In uno dei primi progetti di Anandia, Page ha lavorato con Sean Myles, un genetista di popolazioni del campus agricolo della Dalhousie University di Truro, in Canada, per caratterizzare geneticamente 124 campioni di cannabis. L’analisi ha dimostrato che la classificazione commerciale dei sottotipi indica e sativa raramente corrispondeva ai profili di DNA delle piante. E diversi campioni in commercio con lo stesso bizzarro nome di varietà – White Widow, per esempio – spesso in realtà hanno una genetica molto diversa. “Per qualsiasi altra coltura agricola legale è qualcosa di impensabile”, dice Myles. “Non si può mettere una mela Mackintosh sullo scaffale e fingere che sia una Honeycrisp.”

Nonostante la pubblicità ottenuta grazie alla ricerca, Page continuava ad avere problemi nell’attirare capitali. Poi a ottobre 2015 è arrivata l’elezione a primo ministro di Justin Trudeau, il quale durante la campagna elettorale aveva promesso di legalizzare la cannabis. “L’atteggiamento è cambiato quasi da un giorno all’altro”, dice Page.

Sebbene il Natural Sciences and Engineering Research Council of Canada non abbia un’iniziativa dedicata alla cannabis, l’agenzia ha finanziato decine di progetti focalizzati su biologia e coltivazione della cannabis. Anche Genome Canada e altre organizzazioni sostenute dal governo hanno messo a disposizione fondi per la ricerca.

Capitali più sostanziosi sono arrivati da investitori privati. Solo lo scorso anno le aziende canadesi di cannabis hanno raccolto quasi due miliardi di dollari canadesi (1,3 miliardi di euro) – più della metà di tutti i finanziamenti raccolti dalle aziende legali di cannabis in tutto il mondo – e l’industria è sulla buona strada per triplicare questo valore nel 2018.

Anandia è stata una delle tante beneficiarie. Dopo essersi assicurata oltre 13 milioni di dollari canadesi (8,7 milioni di euro) da investitori privati, all’inizio di quest’anno l’azienda è stata acquisita dal colosso industriale Aurora Cannabis di Edmonton per 115 milioni di dollari canadesi. “Si tratta di un grande gesto di fiducia”, dice Cam Battley, chief corporate officer di Aurora, aggiungendo che scienza e innovazione sono la chiave per far crescere “un’azienda competitiva a livello globale che sia costruita per durare nel tempo”.

Questo orientamento è relativamente nuovo, dice Michael Ravensdale, patologo fitosanitario che dirige la produzione dell’azienda CannTrust a Vaughan. “Finora la scienza era poca, ma sarà molto importante per il prossimo capitolo dell’industria della cannabis”.

Questo è il motivo per cui molte aziende che investono in ricerca stanno iniziando dai fondamentali. “Ci sono domande assai basilari e di enorme importanza a cui bisogna rispondere”, dice Greg Baute, già esperto di ibridazione dei pomodori per Monsanto a Woodland, in California, che quest’anno si è trasferito al nord per dirigere coltivazione e genetica nel nuovo centro di ricerca di Anandia a Comox, città natale di Page. “Si possono fare esperimenti davvero semplici e ottenere enormi risultati.”

Joint venture
In un area commerciale suburbana di Toronto, accanto a un negozio di vernici, c’è un anonimo edificio in mattoni sede della TerrAscend, un’azienda produttrice di cannabis che ha iniziato a commercializzare i suoi prodotti circa un mese prima del 17 ottobre. All’interno, oltre una recinzione di filo spinato e diversi apparati di sicurezza elettronica, si sviluppano varie stanze piene di cultivar Shishkaberry, CBD God Bud e Cold Creek Kush, apprezzate, rispettivamente, per le loro proprietà soporifere, antidepressive e anti-stress.

Cortesia Jonathan Page
Cortesia Jonathan Page

Quasi tutte le piante sono femmine non impollinate, dette “sinsemilla” (che significa “senza semi”), che producono le potentissime cime fiorite, o gemme, ricche di THC e altri cannabinoidi. I maschi, con le loro antere piene di polline, non solo sono superflui – le piante femminili sono tutte propagate per talea – ma anche evitati per timore di un rimescolamento incontrollato dei geni.

Tuttavia, TerrAscend ha un piccolo spazio sul retro riservato ai maschi. Nel giugno scorso, ha dato il via a un ramo d’azienda dedicato alla ricerca e sviluppo in collaborazione con scienziati di due università dell’Ontario, che useranno quelle piante segregate per una serie di esperimenti che, pur essendo standard in agricoltura, raramente sono stati condotti con la cannabis.

Gli scienziati accoppieranno le piante e le indurranno a produrre semi, che poi esporranno a mutageni chimici nella speranza di trovare nuovi tratti desiderabili, come la resistenza ai parassiti o una maggiore tolleranza agli stress ambientali, come la siccità.

Gli scienziati coinvolti nello spin-off di TerrAscend, tra cui i genetisti vegetali Peter McCourt e Shelley Lumba dell’Università di Toronto, progettano di mutagenizzare sei varietà di cannabis con l’obiettivo di ottenere versioni migliorate di alcune delle attuali cultivar dell’azienda. “Il nostro obiettivo principale – dice Lumba – è quello di trasformare la cannabis in una vera e propria coltura orticola”.

Un’altra pratica decennale per il miglioramento delle piante agricole consiste nel raddoppiare o triplicare intenzionalmente i loro genomi: questo tende a conferire alle piante cellule più grandi, caratteristiche strutturali più grandi e maggiori rese in composti chimici. Le specie di grano domesticate, per esempio, hanno 4-6 copie del loro genoma; la canna da zucchero può averne fino a 16 copie.

E anche se la maggior parte delle moderne piante coltivate ha ottenuto la moltiplicazione del DNA semplicemente in virtù di centinaia di anni di coltivazione, ci sono modi per accelerare il processo.

Tutte le varietà di cannabis finora caratterizzate hanno solo due serie di genoma; tutte a eccezione di una manciata di piante che crescono alla Canopy Growth Corporation di Smiths Falls.

Lì, la genetista molecolare Shelley Hepworth della Carleton University di Ottawa e un suo ex specializzando hanno usato un erbicida che interrompe il ciclo cellulare per innescareil raddoppio del normale numero di cromosomi in cinque varietà di cannabis . A prima vista, dice Hepworth, “le piante sono decisamente più grandi”. Ma gli scienziati devono ancora terminare le loro analisi per determinare se le linee di cannabis “tetraploidi” hanno anche livelli elevati di THC, CBD o altri cannabinoidi.

Una tecnica più moderna di coltivazione delle piante – che risale agli anni ottanta – è nota come selezione assistita da marcatori. Si tratta di trovare firme genetiche associate a un tratto desiderabile, per esempio un alto contenuto in oli essenziali o una fioritura spontanea in qualsiasi condizione di luce. Gli scienziati possono poi usare le analisi del DNA per “prevedere” rapidamente quali piantine dovrebbero avere proprietà ottimali invece di aspettare per mesi la loro maturazione.

Tuttavia, per la cannabis esiste solo un numero limitato di marcatori, in gran parte perché ben pochi ricercatori li hanno mai cercati. Ciò che è stato descritto è dovuto a George Weiblen, biologo vegetale dell’Università del Minnesota a Saint Paul e uno dei pochi accademici statunitensi che abbia una licenza federale per coltivare la cannabis, sia pure solo 50 piante alla volta.

Ci sono voluti 12 anni per determinare il modello di ereditarietà dei geni che influenzano il contenuto di sostanza attiva e per identificare un marcatore genetico legato al rapporto THC/CBD. Più di quanto ci sia voluto a Gregor Mendel per elaborare le leggi dell’ereditarietà, dice Weiblen. “Il nostro programma è un manifesto dell’assurdità della ricerca sulla cannabis negli Stati Uniti”.

Un genoma completo della cannabis renderebbe più facile identificare i marcatori più significativi del DNA. Ma i primi sforzi hanno prodotto mappe frammentarie e incomplete, dice Kevin McKernan, direttore scientifico e fondatore della Medicinal Genomics a Woburn, in Massachusetts, che ha condotto alcuni dei primi lavori. Nel 2011 lui e Page hanno rilasciato, indipendentemente, alcune mappe genomiche. “Ma sono un colabrodo”, dice McKernan. Ma questo sta cambiando. E grazie a una tendenza internazionale verso leggi meno restrittive sulla cannabis, molte aziende sementiere stanno investendo nella ricerca genetica.

Un DNA malleabile
“Quest’anno è un punto di svolta per la genetica molecolare della cannabis”, dice C. J. Schwartz, fondatore e amministratore delegato della Sunrise Genetics a Fort Collins, in Colorado, una delle almeno sei compagnie che affermano di aver creato mappe del genoma in scala fine. Non sono ancora state pubblicate in una rivista peer-reviewed, ma McKernan ha pubblicato un pre-print della sua mappa il 10 ottobre e Schwartz prevede di rendere pubblica la sua sequenza entro la fine del mese.

Poi ci sono scienziati che sperano di ingegnerizzare nuove proprietà nella pianta. Alla Canopy Growth, la responsabile della ricerca e sviluppo, Katya Boudko, ha lavorato con il biologo molecolare Douglas Johnson dell’Università di Ottawa per sviluppare una tecnologia di silenziamento genico che impedisca l’espressione del gene della sintesi del THC. Boudko si aspetta che le piante compensino aumentando i livelli di CBD o, dice, “produrre, come potenzialmente potrebbe, altri cannabinoidi di cui il mondo non è ancora a conoscenza”.

Boudko, comunque, deve ancora testare a fondo questa teoria, dato che non è riuscita a coltivare piante completamente sviluppate da tessuti geneticamente modificati, e non ne ha a disposizione molti altri.

Poiché i semi o i campioni di tesuto non possono essere geneticamente modificati in modo coerente e prevedibile, gli scienziati devono coltivare il tessuto vegetale e indurlo a produrre radici e germogli dopo che i geni sono stati manipolati. Spesso, possono far sì che le masse cellulari producano le fini barbe delle radici, ma i germogli si sono rivelati particolarmente problematici.

Alcune ricerche mirano a modificare i rapporti fra le varie sostanze attive prodotte dalla poanta. (© Science Photo Library / AGF)
Alcune ricerche mirano a modificare i rapporti fra le varie sostanze attive prodotte dalla poanta. (© Science Photo Library / AGF)

Nel 2010, un team dell’Università del Mississippi a Oxford – dove per 50 anni i ricercatori hanno coltivato negli Stati Uniti tutta la cannabis usata negli studi sulla salute finanziati dal governo – ha descritto una ricetta ormonale per indurre la formazione dei germogli che, si dice, funziona in oltre l’80 per cento delle volte. Eppure, altri dicono di non riuscire a far funzionare il protocollo sulle proprie varietà. “Ci sono decine di laboratori che stanno lavorando per rendere il protocollo più efficiente”, dice Leor Eshed-Williams, genetista dello sviluppo vegetale alla Hebrew University a Gerusalemme.

Nell’industria, tuttavia, qualsiasi ipotesi di modificazione genetica per molti è un anatema. Infatti, dice Ethan Russo, direttore della divisione Ricerca e sviluppo dell’International Cannabis and Cannabinoids Institute a Praga, “questa pianta è così malleabile che molte di queste alterazioni genetiche sono davvero inutili”. Le moderne strategie di coltivazione selettiva, sostiene, dovrebbero essere sufficienti, e questi metodi non richiedono marcatori genetici. In collaborazione con Mark Lewis, presidente della Napro Research a Westlake Village, in California, Russo ha usato la profilazione chimica per creare decine di varietà di cannabis con proprietà uniche e rese elevate.

Conoscere le basi
Altrove, i ricercatori stanno cercando di controllare e ottimizzare le condizioni ambientali per le varie fasi del ciclo di crescita. Queste modifiche potrebbero rivelarsi importanti per massimizzare i profitti derivanti dalle costose operazioni di coltivazione indoor, che sono una delle principali fonti di cannabis di qualità in Canada. Alla CannTx Life Sciences di Puslinch, il responsabile operativo Jeff Scanlon e i suoi colleghi hanno sviluppato un sistema per la circolazione dell’aria.

Scanlon ha dimostrato che i ventilatori che si trovano nelle serre della maggior parte delle aziende muovono l’aria al di sopra delle piante. Ma nel cespuglio di foglie e rami sottostanti l’aria rimane stagnante, determinando sacche di temperatura e umidità elevate in cui prosperano agenti patogeni fungini. La soluzione: un gradiente di pressione dal pavimento al soffitto che assicuri il flusso d’aria lungo ogni superficie della pianta. “È un’innovazione molto semplice”, dice.

Deron Caplan, direttore scientifico alla Flowr di Lake Country, ha completato quest’anno un dottorato di ricerca in cui ha sistematicamente determinato i tassi ottimali di somministrazione di fertilizzanti nelle varie fasi di produzione della cannabis e le migliori pratiche per la propagazione clonale della pianta attraverso talee. “Stiamo facendo progressi rudimentali ma incrementali”, dice Mike Dixon, agronomo all’Università di Guelph e uno dei consulenti di Caplan. Ma quei progressi stanno lentamente aiutando a eliminare le pratiche più dilettantesche che persistono in gran parte del settore, “quelle che generosamente chiamo stronzate aneddotiche”.

Alcuni retaggi della coltivazione illegale possono essere visti alla Beleave, azienda produttrice di cannabis a Hamilton, dove l’esperto coltivatore Shane Whelan-Stubbs – che ora svolge un’attività legale – ha perseverato in alcune pratiche per 20 anni, prima in una camera da letto, poi in cantine e magazzini. Whelan-Stubbs è aperto alla scienza, e la Beleave inizierà presto a collaborare con un team a Guelph, dove gli scienziati sperano di aprire l’anno prossimo il primo centro accademico del paese dedicato alla ricerca sulla cannabis. Tuttavia, Whelan-Stubbs continua a innaffiare le sue piante a mano. “Le piante, alla fin fine, hanno bisogno di amore”, dice.

Page sosterrebbe che hanno bisogno anche di scienza. Ma allo stesso tempo la fiorente ricerca a cui ha preso parte sarebbe appassita già molto tempo fa senza la cannabis al suo centro. “Possiamo vederla in vari modi, come farmaco o come droga – dice – ma non possiamo dimenticare che al centro di questa rivoluzione c’è la pianta. Tutto si riduce a una pianta”.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Nature” il 17 ottobre 2018. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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