

I ricercatori hanno preso in considerazione un database enorme, coinvolgendo 38.700 aziende agricole di 119 paesi impegnate nella produzione di 40 dei principali alimenti che ogni giorno troviamo sulle nostre tavole. Analizzando tutti i dati e considerando l’intera filiera, si è giunti alla conclusione che dal produttore al consumatore l’impatto ambientale di alcuni alimenti è spropositato. Tra dispendio energetico, emissione di gas terra, imballaggi, trasporti e inquinamento, la soluzione non lascia adito a dubbi: bisogna evitare quelli più dannosi. La nuova analisi, in particolare, mostra che carne e latticini forniscono solo il 18% delle calorie e il 37% delle proteine, ma utilizzano ben l’83% dei terreni agricoli e producono circa il 60% delle emissioni di gas serra in agricoltura.
In poche parole, non abbiamo bisogno di tutta questa carne e produrla, senza le dovute attenzioni, danneggia troppo l’ambiente. In uno dei grafici che mette a confronto l’impatto ambientale di 9 prodotti animali e 6 vegetali, le differenze saltano subito agli occhi: la produzione di carne e formaggi inquina di più di quella di piselli o tofu. Le variabili in gioco sono tante, ma secondo i dati della ricerca dipende tutto dalla zona e dal produttore: quelli meno attenti, per un etto di proteine possono emettere un equivalente di 105 chilogrammi di anidride carbonica e utilizzare 370 metri quadrati di terreno, rispettivamente 12 e 50 volte di più dei produttori più green. Questi ultimi a loro volta utilizzano 36 volte più terreno e producono 6 volte più emissioni di un’azienda che coltiva piselli.
Gli alimenti “incriminati” sono prodotti e trasformati da milioni di agricoltori e intermediari con costi ambientali sostanziosi. Così, secondo i ricercatori, “possiamo fare qualcosa per l’ambiente più adottando una dieta vegana che riducendo i voli o acquistando auto elettriche”: le emissioni si ridurrebbero del 73%. “La produzione alimentare crea enormi oneri ambientali che non sono conseguenza necessaria dei nostri bisogni, ma possono essere ridotti in modo significativo modificando il modo in cui produciamo e ciò che consumiamo”, ha affermato Joseph Poore.
Già nel 2017 un altro studio, pubblicato su Nature Ecology & Evolution aveva suggerito che poteva bastare una bistecca a settimana, 200 grammi di manzo a testa, per adottare un modello di allevamento sostenibile negli Stati Uniti. La stima è stata raggiunta calcolando come trasformare gli allevamenti di manzo attuali in chiave sostenibile e valutando cosa significherebbe questo in termini di impatto ambientale e nutrizionale, a partire negli Usa. Quello dei ricercatori di Oxford è l’ultimo studio, il più vasto, che conferma analisi e riflessioni provenienti da più parti e che convergono su un unico punto: le sorti del Pianeta si decidono anche a tavola.
Probabilmente è vero, ma è anche vero che poi quei manzi che fine fanno? Ed anche non ritengo che la terra venga poi restituita alla fauna selvatica, in quanto si dovrebbe aumentare la produzione di vegetali proteici, non certo di piselli. Quindi non è che elimini la percentuale gas, ma ne trai un vantaggio fra le differenze di produzione, sempre sul forse perché la filiera di vegetali con contenuti proteici è diversa da quella dei piselli. Vi sarà poi una filiera di trasformazione, anche sui vegetali a contenuti proteici, per farne vari prodotti per la vendita?