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Tutti i bot di internet, sempre meno umani dietro la tastiera.

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I programmi automatizzati, buoni o cattivi, tornano a superare gli utenti in carne e ossa: dai “dottori” al “traghettatori” fino ai “falsari” e i “disturbatori”. Ecco l’utenza parallela che naviga con noi e genera la maggior parte del traffico sul web.

Ci sono quelli che si occupano della ”salute” dei siti. Oppure quelli commerciali, ”ragni” che trattano informazioni autorizzate per esempio sui siti di e-commerce o per proporci pubblicità su misura. Ancora, gli “investigatori” dei motori di ricerca, che raccolgono dati su una pagina o su un sito per capire come collocarlo quando ci viene restituito come risultato di una domanda. Oppure i ”traghettatori” che trasformano una piattaforma nella sua versione mobile o passano i dati dal sito all’applicazione, sempre più centrali per competere in un web a portata di tasca e smartwatch. Questi sono i bot buoni, cioè i programmi che scandagliano la rete in modo automatizzato per compiere azioni lecite e utili alla navigazione. In qualche modo, preparano il campo ai navigatori in carne e ossa o sostengono il business di chi lavora con i siti, da Google all’ultimo blogger.

Secondo un rapporto firmato da Incapsula, il Bot Traffic Report arrivato alla quinta edizione, costituiscono il 22,9% del traffico online. La notizia è che insieme ai fratelli cattivi (che spadroneggiano col 28,9%) i software automatici sono tornati a essere maggioranza online col 51,8% del traffico generato contro il 48,2% degli umani: un controsorpasso dopo il dato dello scorso anno che vedeva gli utenti in carne e ossa al 53%.

In senso assoluto, i bot buoni più diffusi – e non potrebbe essere altrimenti, visto il traino delle connessioni via smartphone o feature phone: secondo l’ultimo rapporto We Are Social proprio da quei dispositivi passa il 50% delle sessioni – sono appunto i traghettatori col 12,2% del totale. Nella schiera di quelli cattivi, invece, la parte del leone la fanno i falsari col 24,3%: utenze sotto controllo utili a muovere attacchi informatici di portata sempre più massiccia. Continuando poi in questa singolare classifica, una buona fetta è occupata dal 6,6% dei bot detective sguinzagliati dai motori di ricerca, il 2,9% dagli strumenti per gli acquisti digitali, poco meno (2,6%) dai tool degli hacker, l’1,7% dai copioni, l’1,2% dai dottori dei siti che fanno la diagnosi alle piattaforme e lo 0,3% dagli spammer. Un dato, quest’ultimo, che fornisce anche nuova luce rispetto agli allarmi per la “pulizia” degli ambienti digitali rispetto alle tonnellate di contenuti fasulli che popolerebbero social come Twitter o Facebook.

Entrando nel dettaglio dei bot detective, il più diffuso è ovviamente Googlebot del più gettonato motore di ricerca, seguito da Yandex Bot e Bingbot, lo strumento del motore di Microsoft. A seguire, con percentuali minori, fioccano Yahoo! Slurp, Majestic 12 e Baidu Spider, legato al motore cinese. Fra quelli che si occupano di ottimizzare i siti per i sistemi mobile svetta ovviamente Facebook seguito dall’Android Framework bot e il Cfnetwork bot di Apple. Sui programmi-dottore, invece, svettano gli strumenti di WordPress e Paessler, la suite per il monitoraggio di rete. Fra i cattivi, invece, solo ad alcuni è attribuibile un nome: si tratta per esempio dell’arcinoto Mirai, un micidiale malware che trasforma i gadget come webcam, sensori e router connessi a internet in computer zombie che ha colpito a più riprese, lo scorso novembre per esempio la rete di Telekom tedesca. Oppure di Nitol, Cyclone e Sentry Mba: il primo è un trojan, il secondo un bot per gli attacchi e il terzo uno strumento per succhiare password.

Ovviamente non tutte le piattaforme godono della stessa attenzione dei bot. Il loro appetito cambia infatti col tempo e con le dimensioni dei siti. Se quelli appena nati vengono visitati al 93,4% da software buoni e cattivi la percentuale si abbassa col tempo fino ai siti più consolidati che in media ricevono meno di quattro visite su dieci da questi navigatori spesso molto molesti.

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