Fra le altre cose, il regolamento della Fcc prevedeva anche un rafforzamento delle difese digitali dei dati degli utenti contro gli hacker e in generale possibili furti digitali. Molti ne sono avvenuti negli anni scorsi, da Yahoo alla stessa AT&T. In realtà quelle norme non erano ancora entrate in vigore: le tutele sarebbero scattate alla fine di quest’anno. Così, se Trump firmerà – come tutti si attendono, il provvedimento è frutto della volontà della sua maggioranza repubblicana – i provider saranno in grado di tenere d’occhio in maniera stringente gli atteggiamenti, i gusti e le preferenze dei loro utenti. Acquisti, viaggi, siti consultati, carte di credito utilizzate. E, questo il punto, potranno commerciare queste importanti informazioni – personali ma in parte anche sociali e finanziarie – senza chiedere loro alcun permesso.
Di fatto, i colossi delle telecomunicazioni s’infilano definitivamente nella gara per la torta pubblicitaria online da 83 miliardi di dollari insieme a leader come Google e Facebook. Il fatto è che chi fornisce il servizio di connessione ha evidentemente una posizione privilegiata perfino rispetto a Big G o al colosso di Mark Zuckerberg: può sapere qualsiasi sito navigato e monitorare con precisione le attività online. Se, insomma, è piuttosto semplice scegliere siti sicuri ed evitare piattaforme dubbie sotto il profilo della riservatezza, quasi impossibile è difendersi dal controllo di chi ti porta la rete in casa o sullo smartphone. Molti statunitensi, in particolare, possono spesso scegliere in certe aree fra due soli operatori.
“Il voto di oggi significa una sola cosa: l’America non sarà mai sicura online dal momento che i dettagli più personali saranno segretamente sotto controllo e venduti al più magnanimo offerente” ha spiegato Jeffrey Chester, direttore esecutivo del Center for Digital Democracy. Stessa reazione di altre organizzazioni come la Electronic Frontier Foundation, che parla del rischio di essere controllati in ogni aspetto della propria vita digitale. Secondo molti osservatori e attivisti il momento è dunque arrivato: l’abolizione di queste norme costituirebbe infatti solo il primo passo verso la progressiva deregolamentazione di internet. Specialmente verso lo smantellamento della cosiddetta “net neutrality“, la neutralità della rete (no a velocità differenziate e tariffe diversificate, no a oscuramenti arbitrari della rete) su cui il nuovo capo della Fcc, il repubblicano Ajit Pai, potrebbe voler tornare. Intanto, il 44enne, curiosamente designato nella commissione da Obama nel 2012, ha già spiegato che le norme relative al web dovrebbero essere di competenza di un altro organismo federale, la Federal Trade Commission. Una cosa è certa: dopo anni di confronti e restrizioni si apre uno scenario senz’altro roseo per gli internet provider. Fiumi di pubblicità e servizi diversificati li attendono dietro l’angolo.
Senza lo scudo predisposto dalla Fcc i fornitori di connessione potranno infatti vendere questi dati in modo diretto ad agenzie finanziarie, compagnie di marketing e in generale a società che si occupano di analizzare e sfruttare queste informazioni a fini commerciali. Senza, lo ribadiamo, che gli utenti sappiano nulla. Come se non bastasse, il provvedimento approvato dal Congresso attraverso quanto stabilito dai meccanismi previsti dal Congressional Review Act mette all’angolo la Fcc, impedendole di tornare a stabilire regole su questo stesso argomento.