
Fuorilegge i sistemi di spionaggio di Francia, Belgio e Regno Unito. La Corte di Giustizia Europea stabilisce che la raccolta i dati è contraria alle normative dell’unione. Ammessa solo in casi di emergenza.
Stop alla raccolta indiscriminata di dati da parte di servizi segreti e agenzie di sicurezza. A deciderlo è stata la Corte di Giustizia Europea, che dopo 5 anni di procedimento ha stabilito che le attività di raccolta di informazioni su reti telefoniche e telematiche operate da Francia, Belgio e Regno Unito violano le norme comunitarie.
La sentenza, consultabile a questo indirizzo, precisa che la tutela della confidenzialità delle comunicazioni e del traffico dati non può essere violata se non all’interno dei principi di proporzionalità che ispirano i trattati comunitari.
In altre parole: l’obbligo per operatori telefonici e fornitori di accesso a Internet di trasmettere i dati del traffico e delle comunicazioni a enti governativi è illegale.
Il quadro a cui si applica la decisione è quello adottato dai tre stati in cui le informazioni vengono memorizzate in database e conservate a tempo indeterminato per poi essere utilizzate in caso di necessità.
Esattamente come nella prima fase del Datagate, il tema è legato alla gestione dei metadati, le informazioni registrate dalle società di telecomunicazione che, una volta elaborati con algoritmi di intelligenza artificiale, consentono in pratica di tracciare qualsiasi attività e relazione sociale dei cittadini.
Insomma: si tratta di qualcosa di molto simile a ciò che ha messo a nudo Edward Snowden negli Stati Uniti, ma che nell’Unione Europea confligge frontalmente con la legislazione in tema di privacy.
Una considerazione che è stata alla base anche di un’altra decisione della Corte Europea, che lo scorso 16 luglio ha dichiarato illegale il Privacy Shield, l’accordo tra UE e Stati Uniti che consentiva la conservazione e il trattamento dei dati dei cittadini europei sul territorio statunitense.
Insomma: la decisione segna un punto a favore di Privacy International, l’associazione britannica che ha avviato la causa e che adesso può esultare per una decisione che permetterà di rendere più stringenti le norme a tutela della privacy per i cittadini europei.
Per gli attivisti, però, rimane il boccone amaro di sapere che proprio la Gran Bretagna sarà il paese su cui impatterà meno la decisione della Corte. Con l’approssimarsi della Brexit, infatti, è probabile che il governo di Londra non si debba preoccupare troppo delle possibili ripercussioni.
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