“Diritto all’oblio”, un no netto da Strasburgo e, giusto in contemporanea, un sì, altrettanto netto, dal Senato italiano. Su un tema sensibile e assai discusso – come il diritto del singolo di chiedere la definitiva cancellazione di una notizia che lo riguarda, e che egli ritiene diffamatoria, dagli archivi dei giornali e quindi anche dalle pagine web – arriva una doppia e opposta lettura. La prima è quella del 19 ottobre, contenuta in una decisione della Corte dei diritti umani di Strasburgo (la 71233/13), che esamina il ricorso di un uomo d’affari ucraino, Fuchsmann, residente in Germania, che si riteneva diffamato da un articolo su di lui del New York Times, in cui si parlava di suoi rapporti con la criminalità, e chiedeva ai giudici della Corte internazionale di cancellare la notizia. Fuchsmann aveva rivolto la stessa richiesta alle toghe tedesche che gli avevano risposto picche.
E picche è arrivato anche da Strasburgo che, nel bilanciamento di interessi tra diritto alla libertà di stampa e diritto alla reputazione, ha ritenuto vada privilegiato il primo. Soprattutto perché gli archivi dei giornali sono un bene da proteggere, per il loro valore educativo e in quanto fonte di presenti e future ricerche storiche. Ha vinto il cronista, ma ha vinto anche il partito di chi ritiene che, soprattutto in assenza di una decisione del giudice che attesti la diffamazione, dal web, e quindi dagli archivi dei quotidiani, non si può cancellare niente. Come ha scritto Marina Castellaneta, docente di diritto internazionale a Bari, che ha scoperto la sentenza di Strasburgo, “gli archivi dei giornali sono beni da proteggere per le ricerche storiche e per il valore che rivestono”. Quindi non vanno azzerati. La Fnsi, con il segretario Raffaele Lorusso, la considera una vittoria, tant’è che la notizia della sentenza campeggia sul sito della Federazione.
Ma purtroppo in Italia si va esattamente nella direzione opposta, perché al Senato, in commissione Giustizia, dov’è ancora in discussione il disegno di legge sulla diffamazione, la settimana scorsa è stato annunciato un emendamento della relatrice Rosanna Filippin, che vuole incaricare il Garante della Privacy Antonello Soro di decidere sulle notizie ritenute diffamatorie da cancellare, anche in assenza di un condanna definitiva che attesti l’effettiva diffamazione. In commissione ha fatto sentire la sua voce contraria l’ex giudice istruttore Felice Casson, vice presidente della commissione ed esponente di Mdp. Per Casson, in linea con Strasburgo, “va tutelata la libertà di stampa e la garanzia di poter fare ricerche storiche”. Quindi, al massimo, la cancellazione è possibile solo dopo una sentenza di condanna definitiva.
Il Garante Soro, già ad agosto, aveva ordinato la cancellazione di un articolo che riguardava una notizia resa ormai inattuale dalla decisione di un giudice. Per cui l’articolo scritto a ridosso dei fatti doveva essere soppresso. In questo caso, a suggerire cautela, era intervenuta l’avvocato Caterina Malavenda, esperta di diritto dell’informazione, che distingueva tra l’uomo pubblico e un qualsiasi cittadino. “Il passato diventa rilevante e l’interesse pubblico prevale se il soggetto sale su un palcoscenico pubblico. Ad esempio, un politico condannato in passato per droga, se si candida con una campagna contro le droghe leggere, non può invocare il diritto all’oblio”. È assai improbabile che il testo sulla diffamazione possa essere definitivamente approvato dal Senato e poi anche dalla Camera, ma rimane politicamente il via libera del Pd, con l’emendamento Filippin, ad affidare a Soro il compito di cancellare per sempre delle notizie.
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