A processo il creatore della criptovaluta fantasma Onecoin

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New York entra nel vivo del processo al guru mondiale delle criptovalute fantasma onecoin, mai comparse sui mercati finanziari. Un procedimento ancor più atteso dopo gli sviluppi investigativi della scorsa settimana in Italia e le indagini in corso in molti Paesi nel mondo sulle società “gemelle” di Konstantin Ignatov e di sua sorella Ruja. Investigatori e inquirenti datano al 4 luglio 2015 l’apertura ufficiale del mercato americano alla criptomoneta onecoin.

Konstantin il “tatuato”
In Italia saranno le 17.45 quando oggi nella Grande Mela, dove l’orologio batterà invece le 11.45, nell’aula 619 del Tribunale distrettuale meridionale comparirà, davanti al giudice Edgardo Ramos, il trentatreenne bulgaro.

Elegante, fisico asciutto e cosparso di tatuaggi, a capo di OneCoin Ltd con sede legale a Sofia e ramificazioni societarie ogni continente, Ignatov é stato arrestato dall’Fbi il 6 marzo all’aeroporto internazionale di Los Angeles mentre stava tentando di fuggire in Bulgaria. È accusato di cospirazione per commettere frodi telematiche. Rischia fino a venti anni di carcere e di dover restituire miliardi di euro e dollari ai clienti di tutto il mondo che, secondo l’accusa, sono stati truffati con la falsa promessa di acquistare criptomonete, convertibili in valuta corrente, in realtà mai comparse sui mercati.

Ignatov è arrivato negli Stati Uniti il 27 febbraio di quest’anno, con un volo da Istanbul (Turchia), per affari legati alla promozione di una criptomoneta che nessuno in realtà ha mai visto. Nel corso di un evento il 4 marzo a Las Vegas, alla specifica domanda di un gruppo di potenziali clienti sul momento in cui avrebbero potuto monetizzare le criptomonete, Ignatov rispose che «se siete qui per incassare lasciate immediatamente questa stanza perché non avete capito di quale progetto stiamo discutendo».

E’ inquietante che per investigatori e inquirenti «onecoin ha continuato ad operare» almeno fino a marzo 2019. Non è un mistero che molte società “gemelle” o spin-off, spesso guidate dalle punte di diamante dei fratelli Ignatov, continui a organizzare eventi di promozione. Uno di questi si terrà in Messico il 4 agosto a Cuernevaca, capitale dello Stato di Morelos, conosciuta come la città dell’eterna primavera.Konstantin il “tatuato”Rilascio respinto
Il 28 giugno il giudice della corte distrettuale meridionale di New York, Edgardo Ramos, ha respinto la richiesta di rilascio che il collegio difensivo di Ignatov – guidato dall’avvocato Jeffrey Lichtman, lo stesso di John Gotti jr e del Chapo Guzman – aveva proposto.

Tra le condizioni avanzate, il versamento in contanti di 10 milioni di dollari, un vincolo di garanzia patrimoniale personale di 20 milioni di dollari e la disponibilità ad indossare bracciali Gps, a pagare il conto dello Stato per assumere guardie armate ventiquattrore su ventiquattro che avrebbero assicurato che non sarebbe fuggito e rinunciare a telefoni e computer per tutto il corso del processo.

Niente da fare. Per il Governo degli Stati Uniti il bulgaro era a rischio di fuga, per cui le condizioni di rilascio proposte non erano una garanzia che non lo avrebbe fatto. E così Ignatov è entrato nella causa con una conference call nell’udienza preliminare del 28 maggio.

La “criptoregina”
Con Konstantin è imputata di cospirazione per commettere frodi telematiche, frode alla sicurezza e riciclaggio la sorella Ruja Ignatova, 38 anni, con in tasca anche il passaporto tedesco. E’ scomparsa dai radar e rischia almeno 25 anni di carcere.

Soprannominata la “criptoregina” e spesso appellata dalle persone a lei più vicine come “Sua Altezza Reale”, Ruja ha ricoperto il ruolo di Ceo dal 2014 fino a ottobre 2017, quando è scomparsa dalla scena e Konstantin ha assunto le redini.

Tra la fine del 2014 e il 2016 Ignatov e sua sorella, che si dichiarano del tutto innocenti, attraverso OneCoin Ltd avrebbero fatturato oltre 3,3 miliardi di euro e ricevuto profitti per 2,2 miliardi, gran parte dei quali entrati nei loro portafogli e in quelli delle persone a loro più vicine. Profitti provenienti per il 60% dalla Cina, per il 18% dall’Europa, per il 15% dall’Australia, per il 3% nel Nord America e Caraibi e poi dal resto del mondo.Ruja IgnatovaL’americano
Con loro, in un procedimento parallelo, è imputato anche Mark S. Scott, 50 anni, di Corla Gables (Florida), arrestato a Bernstable, Massachusetts, il 5 settembre 2018. Scott, che in precedenza era stato socio di un’importante società statunitense, è accusato di essere stato parte del sistema tra il 2016 e il 2018 e di aver aiutato, insieme ad atri soggetti, Ignatova nel riciclaggio di almeno 400 milioni di dollari tra le Isole Cayman e l’Irlanda.

Lo “schema Ponzi”
Attraverso il più classico dei modelli truffaldini – lo schema Ponzi, che promette forti guadagni alle vittime a patto che queste reclutino nuovi investitori, a loro volta vittime della truffa – con le loro società diffuse nel mondo, secondo l’accusa, Ignatov e sua sorella avrebbero mietuto vittime ovunque.

Il 10 luglio, tra gli atti depositati nella causa, alcuni contratti testimonierebbero che uno dei clienti avrebbe perso 756mila dollari in 10 mesi, investendo nella moneta OneCoin.Lo studio legale Silver Miller di Coral Springs (Florida), il 7 maggio ha intentato un class action contro i tre imputati e contro Sebastian Greenwood, domiciliato in Svezia e co-fondatore di OneCoin Ltd. A innescare la causa è stata Christine Grablis che dall’agosto 2015 all’agosto 2016 ha investito, infruttuosamente, circa 130mila dollari in onecoin.

Parola ai procuratori
Il procuratore di Manhattan Geoffrey S.Berman, l’ 8 marzo 2019 ha affermato che i due fratelli imputati «hanno creato una società di criptovaluta multimiliardaria basata completamente su menzogne e inganni. Hanno promesso grandi rendimenti e rischi minimi. Ma questo business era uno schema piramidale basato più su fumo e specchi che sui numeri zero e uno.

Una presunta criptovaluta che non è mai esistita veramente, su una blockchain che non è mai esistita realmente, nata da miniere che non sono mai esistite realmente, ma vendute fraudolentemente agli investitori di tutto il mondo attraverso un sistema di marketing multilivello densamente popolato che alla fine ha accumulato quattro miliardi di dollari di ricavi. In questo racconto binario di “zeri e uno”, gli “uni” che hanno raccolto guadagni finanziari incredibili (ma mal riusciti) sono i creatori e i promotori di onecoin, mentre la gente è rimasta aggrappata agli “zeri”: migliaia e migliaia di investitori ingannati nell’acquistare titoli falsamente promossi e non registrati che lasciano anche i più fervidi credenti di criptovaluta a piangere».

Il procuratore della Contea di New York, Cyrus R.Vance, lo stesso giorno ha detto che «i due imputati hanno messo in atto uno schema piramidale vecchia scuola ma su piattaforme moderne, compromettendo l’integrità del sistema finanziario di New York e frodando investitori per miliardi. Dico grazie al Procuratore Berman e al Bureau dei reati economici per le loro indagini a tutto campo e per aver difeso i nostri mercati da sofisticati sistemi criminali dei colletti bianchi».

Le testimonianze dell’Fbi
Per William Sweeney jr, direttore dell’Fbi: «Onecoin era una criptovaluta che esisteva solo nella testa dei creatori e dei cospiratori a loro vicini. Non è come le autentiche criptomonete che tracciano la storia degli investitori. Onecoin non ha nessun valore reale. Non offre agli investitori alcun mezzo per tracciare i soldi e non può essere usata per acquistare alcunché. Infatti, i soli che hanno tratto profitto dalla sua esistenza, sono stati i fondatori e coloro i quali hanno cospirato con loro».

Il 6 marzo 2019 l’agente speciale dell’Fbi Ronald Shimko ha deposto sotto giuramento davanti al giudice del Tribunale distrettuale meridionale di New York Debra Freeman. Nel verbale si legge che lo schema piramidale della società permetteva «ai promotori di ricevere una commissione tra il 10% e il 25% del valore dei pacchetti venduti ai clienti che riuscivano a reclutare. Solo il 60% delle commissioni venivano però pagate in contanti. Il resto veniva depositato in conti attraverso i quali potevano acquistare altre criptovalute onecoin. La struttura multilivello della società ha avuto una rapida escalation, al punto che OneCoin Ltd dichiarava di avere oltre tre milioni di membri in tutto il mondo».

Tra le mail depositate, l’agente Shimko ne ha segnalata una dell’11 giugno 2014 di Ruja Ignatova dalla quale si evince che la società era perfettamente consapevole dell’insostenibilità della struttura architettata, incluso la falsa promessa che i clienti avrebbero avuto un ritorno compreso tra le 5 e le 10 volte le somme investite.

Altre mail, del 9 agosto 2014 e del 21 marzo 2015, secondo l’Fbi testimoniano plasticamente che Ruja stava studiando una strategia di uscita e che, al tempo stesso, la società continuava a manipolare il prezzo di onecoin.

Il riciclaggio e le talpe
A marzo 2019 la Procura di Manhattan ha quantificato intanto 1,2 miliardi di dollari investiti in onecoin, «di cui una parte sostanziosa è stata riciclata attraverso istituzioni creditizie con sede in almeno 21 Paesi differenti, tra i quali Hong Kong, Singapore, Stati Uniti, Isole Cayman, Jersey, Irlanda e Georgia». Altri 185 milioni di euro, invece, sarebbero stati riciclati in Arabia Saudita.

Come nei migliori film di azione, non mancano le talpe. Secondo quanto fatto verbalizzare dall’agente speciale dell’Fbi Shimko, «Ruja ed altre persone hanno avuto accesso alle operazioni di polizia investigativa. L’inaspettato viaggio di Ruja in Bulgaria nell’ottobre 2017 e la contemporanea assenza nella Rete, lasciano intendere che la stessa Ruja sospettasse il procedimento e l’arresto e ha dunque fatto i passi necessari per evitarlo».

Anche in Italia…
Ricordiamo che tra i tanti Paesi di tutto il mondo nei quali sono in corso indagini sulle consorelle di OneCoin Ltd c’è anche l’Italia. La scorsa settimana i finanzieri del Nucleo speciale Antitrust hanno posto fine alla catena italiana, sequestrando sette siti web e 93 pagine social sui quali venivano offerte criptovalute onecoin con la promessa di guadagni milionari.

Questa promessa, del resto, era già stata sanzionata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) che il 16 agosto di due anni fa scrisse testualmente che nell’attività promozionale del “progetto commerciale” veniva dato il massimo risalto alle possibilità di guadagno tramite il “network marketing”. L’Antitrust ha già dichiarato scorretta la pratica commerciale e ha irrogato complessivamente sanzioni amministrative per 2.595.000 euro. Contro il provvedimento le società operanti in Italia hanno fatto ricorso al Tar del Lazio.

Con l’operazione del Nucleo speciale antitrust della Guardia di finanza sono state denunciate per i reati di truffa cinque persone, residenti nelle province di Trento, Padova e Viterbo. Una di loro, in concorso con altri due soggetti residenti nelle province di Verona e Mantova, è stata denunciata per impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.

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