Oggi l’insostituibile Erasmus – i greci avrebbero voluto rinominarlo Programma Sokrates, a ogni nuova edizione i polacchi chiedono di dedicarlo a Marie Curie – significa tre milioni e mezzo di studenti e 120 mila insegnanti che in trent’anni hanno trascorso un periodo (da nove mesi a due anni, nelle ultime stagioni) a studiare nell’università di un altro paese e, quindi, a vivere in una città straniera. La nascita del Programma, che nei sei anni 2014-2020 ha usufruito di un finanziamento di 16,4 miliardi di euro, è stata faticosa. Da ascrivere all’Italia, e a due italiani illuminati e viventi.
Fu Domenico Lenarduzzi, 81 anni, torinese emigrato con il padre minatore in Belgio, a scegliere quel nome così pregno di storia europea e a lavorare, dalla direzione degli Affari sociali di Bruxelles, all’affermazione del progetto (convinse François Mitterrand). Tutto era nato, però, nel corso degli Anni Sessanta. Grazie alle carte e all’insistenza tignosa di Sofia Corradi, romana oggi 82enne, premiata per i suoi meriti lo scorso maggio dal re di Spagna, fino al 2004 docente di Educazione permanente all’Università di Roma Tre. Racconta lei: “L’Erasmus è venuto al mondo, prima ancora che per un’intuizione, per un moto di indignazione per come ero stata trattata dall’Università di Roma, la futura Sapienza. Era il 1959, frequentavo l’ultimo anno di Giurisprudenza e fin lì erano stati tutti trenta e lode. Con tre esami su ventuno da dare, vinsi una borsa di studio, la Fulbright, e andai a New York. Columbia University. Parlavo inglese e riuscii a prendere un master in Diritto comparato: gli americani mi ritenevano post-laureata, non solo laureata. Quando tornai a Roma trovai naturale chiedere il riconoscimento di quella specializzazione. Allo sportello della segreteria studenti l’impiegato cadde dalle nuvole: “Columbia University? Mai sentita nominare”. E quando arrivò il direttore mi riempì di insulti: “Crede che regaliamo una laurea a chi si va a fare una scampagnata negli Stati Uniti? Torni a studiare e veda di essere promossa”. Compresi quel giorno che l’equiparazione dei titoli universitari nel mondo, o perlomeno in Europa, era una cosa da fare”.
Sofia Corradi si sarebbe laureata in Legge con 110 e lode, avrebbe intrapreso e cambiato in fretta nuovi lavori accorgendosi del valore aggiunto di quell’anno all’estero: “Presto sarei diventata consulente scientifico dell’associazione che riuniva i rettori italiani”. Da quella postazione la dottoressa Corradi alla fine dei Sessanta iniziò una battaglia lunga 18 anni fatta di promemoria sull’Erasmus del futuro ciclostilati e inviati alle tre figure più importanti degli atenei italiani ed europei. “Nei Trattati di Roma, su cui si fondò la Comunità economica europea, l’istruzione era menzionata solo come formazione professionale, la priorità era ricostruire le fabbriche distrutte dalla guerra”.
Il 14 maggio 1987, nonostante l’opposizione degli inglesi, a Bruxelles in Consiglio dei ministri viene votata la delibera che vara la nascita di un programma di studio all’estero. Il 15 giugno la ratifica. Nasceva l’Erasmus, “praticamente semi-clandestino”. Oggi dagli incontri in Europa di tre milioni e mezzo di universitarie e universitari sono nati un milione di figli di Erasmus.
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