Nessun meccanismo di supporto per le banche italiane

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No MES Meloni: impatto su banche, BTP ex Bce, spread. No MES dall’Italia di Meloni: l’ironia della sorte è che la bocciatura della ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità da parte della Camera potrebbe secondo qualcuno mettere in difficoltà proprio quelle banche che fonti di Palazzo Chigi hanno citato, ieri, a commento del voto dell’Aula.

Non solo: esperti ed economisti parlano anche dell’effetto che quel no potrebbe avere sui titoli di stato italiani, dunque sui BTP e sullo spread.

Riforma MES: il no di Meloni al backstop del Fondo di risoluzione unico

All’indomani del voto della Camera, che ha spiazzato in primis chi credeva che alla fine la maggioranza avrebbe comunque ratificato la riforma del MES, nonostante l’opposizione manifestata più volte dal governo Meloni e dalla maggioranza, diverse sono le analisi su cosa potrebbe accadere ora all’Italia.

Nel dire no al MES, l’Italia si conferma tuttora unico paese dell’Europa a non aver ratificato una riforma che viene considerata cruciale per mettere in sicurezza il sistema bancario europeo.

A rimetterci, dunque, con quel voto alla Camera, è tutta l’Europa.

Lo dice espressamente Bankitalia nella pagina dedicata a fugare tutti i dubbi su questo strumento, contro cui gli esponenti del governo Meloni, da tempo, hanno lanciato una vera e propria crociata:

“La riforma attribuirebbe al MES una nuova funzione, quella di fornire una rete di sicurezza finanziaria (backstop) al Fondo di risoluzione unico (Single Resolution Fund, SRF) nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie”, spiega Palazzo Koch.

L’Italia intanto si spacca tra chi plaude al voto della Camera e chi, invece, mette in evidenza una scelta suicida, che avrà gravi conseguenze per il paese, le sue banche e il suo debito.

Per ora buy BTP, il sostegno dalle scommesse su tassi Bce

Per ora, va detto, non c’è nessun effetto sui BTP e sullo spread BTP-Bund a 10 anni.

La prospettiva di imminenti tagli dei tassi da parte della Bce di Christine Lagarde continua a sostenere i titoli di stato dell’area euro, che continuano a essere inondati di buy.

Nella giornata di ieri, i tassi dei BTP a 10 anni sono scesi fino al 3,55%, al livello minimo dalla fine di agosto del 2022.

Il risultato degli ultimi buy sui BTP (con contestuale discesa dei rendimenti), stando a quanto riporta Reuters, è che i titoli di stato a 10 anni si apprestano a terminare il mese di dicembre con il tonfo mensile dei tassi più forte dal 2013, pari a ben 64 punti base.

Buy anche sui Bund tedeschi, con i rendimenti decennali che, nella sessione di ieri, sono capitolati al valore pià basso degli ultimi nove mesi, scendendo fino all’1,94%.

Reuters ha ricordato che le aspettative di tassi di interesse più bassi, con l’arrivo di tagli da parte della Bce, si stanno “confermando un balsamo per l’Italia, alle prese con una mole di debito pubblico che si aggira attorno al 140% del Pil”.

Detto questo, cosa succederà ai BTP ma anche alle banche italiane con la decisione della Camera di dire no alla ratifica della riforma del MES?

Antonio Patuelli, numero uno dell’ABI, ha spiegato che la conseguenza è che “senza il nuovo MES useremo le risorse nazionali per affrontare le crisi bancarie“.

Cosa che tra l’altro è successo fino a oggi: “La questione non è entrare o meno nel Mes. Anche con il voto della Camera l’Italia continua a rimanere nel vecchio MES con tutti gli altri Paesi”, ha ricordato il numero uno dell’Associazione bancaria italiana.

Patuelli ha fatto notare che il dibattito sul Meccanismo europeo di stabilità, in Italia, “si è caricato di eccessivi significati politici ed è per questo che non ci siamo mai pronunciati sul tema, nemmeno in occasione della nostra assemblea annuale”.

In ogni caso, ha continuato il numero uno dell’ABI, “tutte le crisi bancarie dal 2015 a oggi sono state affrontate con risorse nazionali. Quella del Montepaschi con risorse di Stato e le altre con risorse delle banche concorrenti. Per fortuna adesso nessuno paventa più crisi bancarie, ma nei momenti più difficili, e in vigenza del vecchio MES, abbiamo fatto da noi. Abbiamo persino salvato la Popolare di Bari, che poi è andata allo Stato”.

La frase  fa capire dunque che, allo stato attuale delle cose, in caso di crisi bancarie l’Italia continuerà a far uso di risorse nazionali. E certo non si può dire che questa sia una buona notizia per i contribuenti italiani, che hanno già salvato il Monte di Stato Mps Monte dei Paschi di Siena, esempio citato tra l’altro proprio da Patuelli.

No MES: scelta in vista delle elezioni europee 2024

Su Il Sole 24 Ore, nell’articolo MES e Patto di stabilità: miopia istituzionale e incroci pericolosi Francesco Renne, commercialista e revisore, faculty member CUOA Business School, formatore in materie finanziarie e fiscali, commenta il no al MES mettendo in rilievo che “la partita ‘vera’, sotto il piano tecnico, non può che spostarsi dunque sul cd. MES ‘bancario’, cioè la vera novità del trattato in questione, che prevederebbe la possibilità di attivare i fondi in caso di crisi sistemiche bancarie, affiancandosi ai metodi ordinari europei (i.e. ‘bail in’) di risoluzione delle crisi bancarie stesse”.

“In tal caso, in linea teorica, potrebbe ravvisarsi un segnale di ‘impossibilità finanziaria’ del singolo Paese nell’intervenire autonomamente, causando un rialzo del rischio percepito sul proprio debito pubblico”.

Ma Renne scrive nella sua analisi, anche, che con il NO al MES “ci si dimentica che l’implementazione di un meccanismo ‘salva-banche’ europeo era una necessità (europea) per il completamento del quadro delle regole cd. di ‘unione bancaria’, teso alla definitiva creazione di un framework regolamentare finanziario comune (e condiviso) e, in tal senso, necessario anche alle nostre Banche nella competizione europea stessa”. Insomma, “il MES ‘condivisibile’ sacrificato sull’altare delle elezioni”, ha fatto notare l’esperto.

Con No MES attenti a doom loop banche-BTP

Il pericolo No MES per i BTP e dunque il rischio che senza lo strumento pensato per sostenere il Fondo di risoluzione unico i titoli di stato italiani finiscano sotto attacco è stato messo in evidenza in un articolo pubblicato su Domani anche dall‘economista Alessandro Penati.

Penati ha ricordato il fenomeno del doom loop, ovvero l’abbraccio mortale tra i BTP e le banche.

Queste ultime, per chi non lo ricordasse, detengono infatti in pancia una bella mole del debito pubblico italiano.

“A chi ha votato in Parlamento rammento che le nostre banche detengono 665 miliardi di debito pubblico, a fronte di un patrimonio netto complessivo di 358 miliardi”, scrive Penati nell’articolo pubblicato su Domani “L’azzardo dei sovranisti fa crescere i rischi sui Btp”. Un fattore che rende le banche italiane vulnerabili a eventuali crisi del debito italiano.

Penati spiega di fatto che, “in caso di crisi del nostro debito, il suo valore crollerebbe e trascinerebbe le banche italiane”.

La crisi del debito infetterebbe le banche italiane, proprio a causa di quell’abbraccio mortale o anche relazione tossica, che esiste tra i BTP e gli istituti di credito. Relazione tossica ormai storica, che ha fatto scattare più volte sull’attenti il mondo degli investitori internazionali.

Ma se una eventuale crisi del debito pubblico finisse per travolgere gli istituti di credito italiani, si chiede l’economista, “senza il MES, chi ricapitalizzerebbe le banche in crisi?”

Niente crisi del debito pubblico, per ora, così sembra. Ma, nel caso dell’Italia con casse dello Stato perennemente in affanno, Penati ha  ricordato che gli investitori stranieri detengono 763 dei 2.844 miliardi di debito pubblico.

E che, nel caso in cui l’area euro finisse per scivolare in recessione, questi investitori potrebbero orientare i loro buy su asset più sicuri, a fronte del riemergere del “problema della sostenibilità del debito pubblico dell’Italia”.

Che dire inoltre di quegli istituzionali italiani, che detengono 345 miliardi di euro di debito pubblico? Come si può pensare che, in caso di crisi, la loro priorità sarebbe quella di blindare i BTP?

Penati ricorda a tal proposito che “loro dovere è salvaguardare il risparmio dei clienti, non dare l’oro alla patria”.

Stessa cosa le banche, con i loro bilanci intasati da 665 miliardi di debito, che, più che tutelare le casse dello Stato, devono “tutelare gli interessi degli azionisti, in prevalenza stranieri”.

Dunque? In caso di crisi chi farebbe davvero da scudo ai BTP (e di conseguenza, a causa del doom loop), alle banche italiane? D’altronde i BTP, dunque i titoli di stato italiani, sono stati  mollati ulteriormente dalla Bce di Christine Lagarde che, nel suo ultimo atto del 2023, ha annunciato la tempistica con cui manderà definitivamente in soffitta il PEPP, ovvero QE pandemico, dopo avere staccato già la spina al QE tradizionale.

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