“La matematica è l’arte del possibile”: questa dichiarazione dei fratelli Cohen nel film A Serious Man spiega molto bene il legame non troppo insolito che lega il mondo dei numeri a quello della creazione cinematografica. A una prima analisi, formule e teoremi, rigidi e rigorosi, sembrano l’opposto dei mondi fantastici proiettati sul grande schermo: come se l’intelligenza logico-matematica, di cui parla il professore di Harvard Howard Gardner, si sposasse con la fantasia, o la creatività. Mondi diversi che convergono, ma senza creare caos, anzi, declinandosi in sorprendenti produzioni. La matematica diventa, dunque, fonte di ispirazione per narrare, per ragionare in modo diverso, per dipingere altri mondi. I film trattano diversi aspetti della matematica, descrivendo spesso protagonisti disturbati, paranoici, schizofrenici, seppure geniali. Oppure menti superiori che usano la matematica per vincere: al gioco o nello sport. Vediamo, allora, alcuni esempi di film in cui la presenza della matematica gioca un ruolo di primo piano, nel bene e nel male.Walt Disney, precursore della matematica al cinema
L’esordio della matematica sul grande schermo è del 1959 con Paperino nel mondo della Matemagica, di Walt Disney, metà cartoon e metà live–action. Paperino, in seguito ad un prestito, deve molti soldi a zio Paperone. Per trovare una soluzione al problema, consulta il libro di matematica di Qui, Quo, Qua e si addormenta. In sogno arriva a Matemagica, un luogo fatato in cui le radici degli alberi sono quadrate, le frazioni diventano divertenti ed i fiumi sono pieni di numeri. Non manca una bella rassegna di classici: ecco spiegate le basi matematiche della musica, o il segreto degli incommensurabili di Pitagora. Si parla anche dei giochi dove la matematica ha un ruolo decisivo, come gli scacchi e il baseball, o il biliardo. Alla fine del film appare una citazione di Galileo: “la matematica è l’alfabeto che Dio ha usato per scrivere il libro sull’universo”.
Formule, analisi e teoremi matematici non sono solo astratte entità. Applicandole infatti al mondo reale essi ci danno informazioni, indicazioni e offrono soluzioni a molti problemi, aiutandoci a vincere sfide spesso impossibili. È questa la tesi di pellicole come L’arte di vincere e 21. Il primo, diretto da Bennett Miller, è ambientato nel mondo del baseball. Il film si basa sulla vera storia di Billy Beane – interpretato da Brad Pitt – manager della squadra Oakland A’s, che durante la stagione del 2002 perse tutti i suoi giocatori migliori a causa di difficoltà economiche. Billy però non si arrese ed avviò una collaborazione con Peter Brand, economista geniale: studiando con cura le analisi statistiche computerizzate, riuscirono a creare un team di giocatori non più in auge nel baseball, ma dotati di grandi potenzialità. Il film, dunque, vuole dimostrare che calcoli e matematica possono avere impieghi molto diversi nella vita, e non sono solo astruse considerazioni di accademici. Se dunque ne L’arte di vincere la matematica è applicata al mondo dello sport, nel film 21 di Robert Luketic statistiche e calcoli sulle probabilità vengono usati nel gioco. Il film si basa sul libro Bringing down the house, di Ben Mezrich, in cui si narra la vera storia di un gruppo di sei studenti del MIT che tentano una sfida impossibile: sbancare i casinò usando calcoli matematici. Così, guidati dal professor Mickey Rosa (un ottimo Kevin Spacey), tra il 1980 e il 1990 vincono molti milioni di dollari ai casinò di Las Vegas. Sembra tutto facile, ma poi Ben Campbell, più dotato del gruppo, viene colto da crisi di coscienza verso questi metodi poco ortodossi. Nel corso del film viene anche esposto e risolto il problema di Monty Hall.
Matematica e follia sul grande schermo
Spesso il cinema parla della matematica mettendo in evidenza paure, problemi, paranoie e follie dei suoi protagonisti. È il caso di A Beautiful Mind, diretto da Ron Howard, in cui Russell Crowe interpreta il ruolo di John Nash, docente del MIT e “padre” di quello che è chiamato equilibrio di Nash: in pratica Nash sostiene che nei giochi vi sia un equilibrio (da qui il nome) per cui ogni giocatore è in grado di dare la risposta migliore alle scelte degli altri che vi partecipano. Nash era affetto da schizofrenia dal 1959, quando leggendo alcuni annunci sul New York Times si convinse che essi contenevano codici segreti che solo lui era in grado di decifrare. Seguirono ricoveri forzati, terapia con elettroshock, ospedali e cure, che la pellicola racconta in modo molto emozionale. Nash ricevette il Nobel in Economia nel 1994, proprio per i suoi lavori nella teoria dei giochi. Il prestigioso MIT di Boston è una costante in molti film sulla matematica, e compare anche in Will Hunting – Genio ribelle, di Gus Van Sant, in cui un giovane Matt Damon interpreta un ragazzo problematico, disadattato e di umili origini ma dotato di un genio matematico. Lo si capisce dalla scena iniziale, quando Will risolve un difficile problema che un professore aveva lasciato scritto sulla lavagna per sfidare gli studenti migliori. Ben presto tra Will e il professore si instaura un buon rapporto, con il supporto di uno psicologo, che deve cercare di ridare equilibrio al genio ribelle, che rifiuta le buone opportunità offertegli e preferisce la normalità.
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