Come raffreddare lo Yellowstone: il piano della Nasa. Un progetto milionario per prevenire un’eruzione esplosiva del supervulcano e che, in più, produrrebbe elettricità quasi gratis per migliaia di anni.
Sulla Terra ci sono 20 supervulcani noti, ognuno dei quali, eruttando, probabilmente scaglierebbe in atmosfera ceneri in quantità sufficiente a bloccare i raggi del Sole per anni. Uno di questi è la caldera di Yellowstone, che si estende sotto l’omonimo parco nazionale negli Stati Uniti. La caldera è un’area di 55 per 70 km circa (3.850 km quadrati), in alcuni punti profonda oltre 90 km: non ci sono misure precise del volume di roccia fusa nel sottosuolo, che varie fonti stimano da 200 a 600 km cubi.
Si pensa che si risvegli ogni 600.000 anni circa, ma la probabilità che questo accada nell’arco della vita di chiunque stia leggendo queste righe “adesso” è statisticamente esigua…
Tuttavia, l’ultima eruzione dello Yellowstone risale proprio a circa 600.000 anni fa. Forse è improbabile che possa esplodere, ma secondo gli scienziati il vulcano starebbe accumulando una notevole quantità di energia termica e, oltre una certa soglia, questo potrebbe favorire una super eruzione.
AI RIPARI. La Nasa stima che se il calore nella camera magmatica potesse essere ridotto del 35%, i rischi di una catastrofe legata all’attività della caldera di Yellowstone sarebbero scongiurati.
C’è anche un piano in merito, raccontato a BBC Earth da Brian Wilcox, del Jet Propulsion Laboratory della NASA.
Si tratterebbe di scavare per 10 km all’interno del vulcano e pomparvi acqua fredda ad alta pressione, lasciarla circolare ed estrarla di nuovo. L’acqua in uscita avrebbe una temperatura di 350 °C e potrebbe essere usata per alimentare un impianto geotermico praticamente perpetuo e a basso costo: l’energia potenziale stimata per un impianto del genere sarebbe di circa 4 GW elettrici (come 2-3 moderni reattori nucleari) e, a regime, potrebbe produrre energia elettrica per migliaia di anni al costo di 10 centesimi di dollaro al kWh (con l’effetto collaterale di salvare l’umanità da un inverno nucleare).
I RISCHI. Detto così sembra facile, ma ci sono ostacoli non da poco. A partire dal costo faraonico del progetto (3,46 miliardi di dollari, quasi 3 miliardi di euro al cambio attuale) per arrivare alla non trascurabile possibilità che qualcosa vada storto. Pompando acqua troppo in superficie nella camera magmatica si rischierebbe di fratturarla e di far fuoriuscire gas che potrebbero favorire un’eruzione esplosiva – di fatto, proprio quello che si vuole evitare.
COME AGIRE? Non è chiaro come e se si vorrà procedere in questo senso, né se la Nasa deciderà un giorno di pubblicare il progetto in via ufficiale. Parlandone, Wilcox spera di incoraggiare una discussione scientifica tra ricercatori in tema di supervulcani, una minaccia che per la Nasa sarebbe più concreta dell’impatto di un asteroide.
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