Photon bunching rafforzato rende distinguibili i fotoni

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Anomalia nell’interferenza quantistica, nel mondo dei quanti, chi si somiglia non sempre si piglia. Un comportamento inaspettato che mette in discussione la nostra comprensione dell’interferenza multi-particellare nella zona grigia tra bosoni e particelle classiche è al centro di uno studio, guidato dall’Università di Bruxelles, recentemente pubblicato su Nature Photonics. Sono interessanti i risvolti possibili per lo sviluppo dei computer quantistici.

Se consideriamo due fotoni completamente indistinguibili che attraversano una superficie semi-riflettente e non ci concentriamo sulla loro traiettoria, sappiamo che  tenderanno a seguire lo stesso percorso. Questo fenomeno peculiare della fisica quantistica si chiama photon bunching e ha le sue radici proprio nell’indistinguibilità di fotoni identici. Un team di ricerca del Center for Quantum Information and Communication – Ecole polytechnique de Bruxelles dell’Université libre de Bruxelles ha messo in luce un comportamento inaspettato che mette in discussione la nostra comprensione dell’interferenza multi particellare nella zona grigia tra bosoni (tali sono i fotoni) indistinguibili e le particelle classiche. I risultati dello studio di questo inaspettato controesempio sono stati pubblicati recentemente su Nature Photonics.

Rappresentazione dei percorsi dei fotoni nell’esperimento descritto nell’articolo. Crediti: Ursula Cardenas Mamani
Rappresentazione dei percorsi dei fotoni nell’esperimento descritto nell’articolo. Crediti: Ursula Cardenas Mamani

Una delle pietre miliari della fisica quantistica è il principio di complementarità di Niels Bohr, ovvero il fatto che le particelle possono comportarsi o come corpuscoli o come onde. Il dualismo onda-particella della materia è ben illustrato nell’ esperimento della doppia fenditura, descritto dal fisico Richard Feynman che lo ha definito nelle sue celebri lezioni di fisica come  “[…] il cuore della meccanica quantistica, che in realtà ne contiene l’unico mistero” (The Feynman lectures of Physics, 1964).

Nemmeno la luce sfugge a questa dualità: può essere descritta come un’onda elettromagnetica oppure può essere intesa come costituita da particelle prive di massa che viaggiano alla velocità della luce, appunto i fotoni. Il fenomeno del bunching si può già osservare con due fotoni che impattano ciascuno su un lato di uno specchio semitrasparente, che divide la luce in arrivo in due possibili percorsi associati alla luce riflessa e trasmessa. L’effetto effetto Hong-Ou-Mandel ci dice che i due fotoni in uscita escono sempre insieme dallo stesso lato dello specchio, come conseguenza di un’interferenza ondulatoria tra i loro percorsi.

Questo effetto di raggruppamento non può essere compreso in una visione classica del mondo in cui pensiamo ai fotoni come a sfere, ognuna delle quali segue un percorso ben definito. Se seguissimo la logica, ci si aspetterebbe che il bunching diventi meno pronunciato non appena siamo in grado di distinguere i fotoni e di ricostruire i loro percorsi.

Questo è esattamente ciò che si osserva sperimentalmente se i due fotoni incidenti sullo specchio semitrasparente hanno, per esempio, una polarizzazione distinta o colori diversi (e sono quindi riconoscibili): si comportano come sfere classiche e non si raggruppano più. Si assume che questa interazione tra il bunching dei fotoni e la distinguibilità rifletta una regola generale: il bunching deve essere massimo per fotoni completamente indistinguibili e diminuire gradualmente quando i fotoni vengono resi sempre più riconoscibili.

Prototipo di computer quantistico. Crediti: Ibm
Prototipo di computer quantistico. Crediti: Ibm

I ricercatori dell’università di Bruxelles hanno considerato uno specifico scenario teorico in cui sette fotoni impattano su un grande interferometro. L’effetto di bunching dovrebbe logicamente essere più forte quando tutti e sette i fotoni hanno la stessa polarizzazione poiché questo li rende completamente indistinguibili, fatto che implica che non otteniamo alcuna informazione sui loro percorsi nell’interferometro. In modo del tutto sorprendente, i ricercatori hanno scoperto l’esistenza di alcuni casi in cui il photon bunching viene sostanzialmente rafforzato – anziché indebolito – rendendo i fotoni parzialmente distinguibili attraverso un modello di polarizzazione noto a priori.

Sfruttando una specifica congettura matematica hanno potuto dimostrare che è possibile migliorare ulteriormente il raggruppamento dei fotoni regolando in modo preciso la polarizzazione. Oltre a essere intrigante per la fisica fondamentale dell’interferenza tra fotoni, questo fenomeno di bunching anomalo dovrebbe avere implicazioni per le tecnologie fotoniche quantistiche, che sono al centro di molte attenzioni e di rapidi progressi negli ultimi anni.

La comprensione delle sottigliezze di questi effetti legati alla natura quantistica bosonica dei fotoni è quindi un passo significativo nella prospettiva di sviluppare calcolatori quantistici sempre più performanti.

Per saperne di più: Leggi su Nature Photonics l’articolo “Boson bunching is not maximized by indistinguishable particles”, di B. Seron, L. Novo e  N. J. Cerf.

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