L’attuale stato di cose pro e contro l’energia atomica

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È ora di smontare le imprecisioni e le falsità sul nucleare. Quattro ricercatori del Politecnico di Milano hanno scritto all’Espresso per replicare alle affermazioni del presidente di Legambiente circa l’energia atomica. Continua il nostro dibattito pro e contro il nucleare.

Sulle pagine dell’Espresso nelle scorse settimane abbiamo raccontato i due fronti dell’Italia pro e contro l’energia nucleare, invitando i lettori a partecipare al dibattito su un tema che, tra emergenza climatica e guerra in Ucraina con conseguente rincaro dei costi energetici, è oggi di stringente attualità. L’articolo di Marco Grieco ha raccontato i giovani e i ricercatori che, anche attraverso un’intensa attività sui social, difendono le potenzialità dell’energia nucleare. Mentre, sull’altro fronte, abbiamo ospitato l’opinione scettica di Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, che ritiene essere ancora troppi i rischi.

Proprio in merito all’opinione di Ciafani, quattro ricercatori del Politecnico di Milano hanno inviato all’Espresso questo Fact-checking che pubblichiamo. Invitando ancora una volta chiunque voglia partecipare a questo scambio a contattarci.

ndr: In neretto le frasi tratte dall’articolo di Ciafani. Nel font normale, le controdeduzioni dei ricercatori.

«È cambiato qualcosa dal 2011, quando un referendum fermò la costruzione di nuove centrali nucleari decisa dall’allora governo Berlusconi? La risposta è no»

La risposta corretta è “parecchio”:

  1. Si sono effettuati “stress test” su tutte le centrali per verificare che un evento simile a Fukushima non potesse accadere in EU e, dove si è riscontrata la necessità, sono stati apportati miglioramenti ai sistemi di sicurezza.
  2. Attualmente 54 reattori sono in costruzione in 19 nazioni tra cui Cina, India, Russia, Emirati Arabi Uniti, Corea del Sud, Turchia. Inoltre, in tempi molto recenti, anche diverse nazioni europee (Francia, Regno Unito, Olanda, Slovenia) hanno dimostrato interesse verso la costruzione di nuove centrali nucleari.
  3. Vi è un grande interesse verso i reattori modulari di piccola taglia (Small Modular Reactors o SMRs). Ad oggi sono in costruzione ed avvio i primi reattori di questo tipo e, su scala globale, ci sono oltre 70 progetti.
  4. Sono presenti diverse start-up nel campo delle tecnologie nucleari che attraggono investimenti di venture capitalist (cosa mai successa nel passato). Queste start-up sono attive sia nel campo della fissione nucleare (ad esempio l’italiana newcleo) sia nel campo della fusione (General Fusion, Tokamak Energy, Commonwealth Fusion).
  5. Il primo prototipo di reattore nucleare per una base spaziale (NASA) è in fase di realizzazione.
  6. Ad Onkalo, in Finlandia, si sono avviati dei test di prova per il primo deposito definitivo geologico profondo, per lo smaltimento dei rifiuti nucleari più pericolosi. Questo deposito, che sarà operativo a partire dal 2025, verrà poi replicato anche in altri paesi (Francia, Svezia, Canada).
  7. Per quanto riguarda il Deposito Nazionale italiano, nel Gennaio 2021, dopo quasi 5 anni di attesa, è stata pubblicata la CNAPI (Carta delle Aree Potenzialmente Idonee). Questa identifica 67 aree in Italia che rispettano i criteri di Sicurezza definiti da ISPRA e che dunque sono potenzialmente idonee ad ospitare il sito del Deposito. Quest’ultimo è fondamentale non solo per lo smaltimento definitivo dei rifiuti a bassa attività e lo stoccaggio temporaneo di quelli ad alta attività derivanti dallo smantellamento delle ex-centrali nucleari italiani, ma anche per lo smaltimento definitivo di rifiuti a bassa attività provenienti da ospedali, industrie ed enti di ricerca.

«La produzione elettrica dall’atomo con la tecnologia moderna, la cosiddetta terza avanzata, è rischiosa»

Per rispondere a questa domanda è doveroso fare una fondamentale premessa: ogni attività umana è rischiosa. Ad esempio, in Europa gli incidenti domestici uccidono il doppio di quelli stradali e dieci volte di più degli incidenti sul posto di lavoro (le statistiche di EuroSafe e Istat indicano per l’Italia circa 5 milioni di incidenti domestici l’anno, di cui 8000 mortali). Nell’ambito delle tecnologie per la produzione di energia, l’energia nucleare è statisticamente una delle fonti energetiche più sicure, come diversi dati dimostrano.

«Continua a utilizzare la fissione e produce scorie radioattive, anche per decine di migliaia di anni, il cui smaltimento è un problema irrisolto»

Il settore nucleare è l’unica tecnologia per la produzione di energia elettrica su larga scala che si prende piena responsabilità di gestione e smaltimento di tutti i propri rifiuti e in cui il costo di questa gestione è computato all’interno del costo finale del prodotto. La quantità di rifiuti prodotti, che si dividono in basso, medio ed alto livello a seconda della loro attività, è tra le più basse a parità di energia generata.

«È ora di smontare le imprecisioni e le falsità sul nucleare»
La quasi totalità della radioattività risiede nel combustibile e per questo il combustibile esausto rappresenta la principale fonte di rifiuto radioattivo di alto livello di una centrale nucleare. La quantità complessiva di combustibile nucleare esausto nel mondo dopo quasi 60 anni di utilizzo dell’energia nucleare, se fosse stoccata in un unico luogo, occuperebbe un volume con una superficie pari circa a quella di un campo da calcio per un’altezza di 3 metri.

La gestione dei rifiuti radioattivi è un argomento ampiamente affrontato, studiato e per il quale sono disponibili diverse soluzioni tecnologiche, già implementate a livello industriale. Per lo smaltimento di rifiuti a medio e basso livello esistono in Europa e nel mondo decine di depositi di superficie o in prossimità della superficie. Per lo smaltimento definitivo dei rifiuti di alto livello, la soluzione con il maggior consenso a livello internazionale è quella dei depositi geologici, in forma di tunnel sotterranei ad una profondità compresa tra i 250 e i 1000 m come quello già citato di Onkalo, in Finlandia.

La disponibilità di queste infrastrutture sarà un dato di fatto per i prossimi decenni, perché si dovrà dare soluzione al problema del funzionamento di oltre 440 reattori nei 50 anni trascorsi. Esse saranno sufficienti per ospitare i rifiuti che verranno prodotti dal funzionamento dei reattori, esistenti e nuovi, per i prossimi decenni. Con i reattori di IV Generazione tale soluzione sarà facilitata, perché sarà possibile riciclare tali rifiuti, riducendone il tempo di pericolosità da 100mila a 300 anni, quindi come per i rifiuti a bassa radioattività. Infine, non si capisce per quale motivo, se si è in grado di gestire rifiuti tossici derivanti da attività industriali varie, non si dovrebbe essere in grado di gestire quelli radioattivi.

«L’Italia non ha ancora realizzato un deposito per i rifiuti a 35 anni dal referendum del 1987 che chiuse l’avventura atomica»

Come dimostrano le decine di depositi analoghi già esistenti ed in operazione in diversi paesi europei, la responsabilità non è tecnologica. Questa è da ricercarsi nel decisore politico, che per comprensibili ma non giustificabili motivi di convenienza, non ha provveduto a risolvere il tema per tempo, anzi portando l’Italia in infrazione verso l’Europa. In tutto ciò, sono corresponsabili le organizzazioni di varia natura che hanno alimentato e alimentano i “no-X” ideologici e ingiustificati alla realizzazione di infrastrutture fondamentali per il Paese.

«In queste scorie è presente materiale radioattivo utile per produrre gli ordigni nucleari»

Il materiale strategico (tipicamente plutonio) si divide in “weapon grade”, di qualità idonea all’utilizzo militare, e in “reactor grade”, quello prodotto e consumato nelle centrali nucleari civili: quest’ultimo non è idoneo all’utilizzo militare. Inoltre, i rifiuti vetrificati che dovranno rientrare temporaneamente in Italia non contengono plutonio.

«Le centrali, poi, continuano ad avere problemi di sicurezza anche nei paesi più tecnologicamente avanzati (come ha dimostrato il disastro giapponese di Fukushima 11 anni fa)»

Per quanto riguarda la sicurezza si rimanda alla prima pagina di questo documento. Nello specifico, riguardo a Fukushima a fronte di oltre 25mila tra morti, feriti e dispersi causati dal quarto sisma più forte misurato dall’uomo e dallo tsunami, nessun decesso è stato registrato per cause legate alla radioattività rilasciata dall’incidente secondo gli organismi internazionali (un decesso è stato attribuito dal governo all’esposizione alle radiazioni, nell’ambito delle compensazioni economiche alla popolazione). Molte aree prima evacuate ora sono tornate disponibili. L’assenza di rischi a breve e lungo termine per la salute è stato confermato anche dal recente report UNSCEAR 2021.

«E restano un obiettivo militare sensibile (quelle in Ucraina ci hanno fatto stare col fiato sospeso nelle scorse settimane)»

La drammatica esperienza Ucraina sta dimostrando il contrario: molte infrastrutture sono state colpite ma nessuna centrale nucleare è stata oggetto di attacchi al fine di danneggiarla. Anche colpi accidentali non hanno generato alcun serio problema alla sicurezza. In generale, per la struttura degli edifici (ad es. diversi metri di spessore di muri in cemento armato, dal contenitore esterno alle strutture interne), non è semplice danneggiare un reattore nucleare dall’esterno.

«Ai rischi evidenti si affiancano i tempi lunghissimi. I reattori di quarta generazione – se le ricerche iniziate 20 anni fa andranno a buon fine – vedranno la luce a ridosso del 2050»

Fortunatamente non occorrono tempi lunghissimi al fine di avere un supporto anche dall’energia nucleare per affrontate i problemi dei cambiamenti climatici. Il contributo derivante dall’energia nucleare non richiede infatti di attendere la disponibilità della IV generazione. Dal 1970 ad oggi l’energia nucleare ha già evitato l’emissione di più di 70 miliardi di tonnellate di CO2, grazie al contributo attuale basato quasi esclusivamente sui reattori di II generazione e oggi rappresenta circa il 10% della produzione mondiale di energia elettrica.

Questo dato continuerà a crescere anche grazie all’estensione del funzionamento di molti attuali impianti per ulteriori 20-40 anni (vedi dopo) e ai reattori di III generazione, che sono già entrati in funzione in diversi paesi del mondo e forniranno un contributo sempre maggiore. Infine, i primi progetti di reattori di IV Generazione sono previsti entrare in funzione nel 2035. Un esempio in questa direzione è il progetto russo PRORYV, già in costruzione e il cui completamento è previsto per il 2028-30. Per questa data è prevista la realizzazione di 3 impianti (reattore, impianto di rifabbricazione combustibile, impianto di riprocessamento) con l’obiettivo di dimostrare il riciclo dei rifiuti radioattivi.

«2050 anno in cui il Pianeta dovrà aver già azzerato le sue emissioni climalteranti, se vuole fermare gli effetti della crisi climatica»

L’unico modo per sperare di arrivare al 2050 con l’azzeramento delle emissioni climalteranti è di includere nel computo una certa quantità di energia nucleare, come riportato da tutti gli scenari energetici elaborati dalle principali organizzazioni internazionali. In tutti i casi, la quantità di energia nucleare prevista al 2050 è superiore a quella attuale, anche in modo significativo. Nello scenario IPCC, in cui il nucleare ha il peso minore, ad esempio, sono previsti il doppio dei reattori nucleari rispetto a quelli attuali. Occorrerebbe quindi mettersi nelle condizioni di poter effettivamente disporre dell’energia nucleare prevista come necessaria, a supporto di un mix energetico dominato dalle fonti rinnovabili, che si spera di riuscire a raggiungere a livello globale, di un mix energetico dominato dalle fonti rinnovabili.

Già oggi si corre il rischio che il 2050 non sia un obiettivo realistico. Infatti, alcuni importanti paesi (Cina, India e Russia, tra i principali emettitori di CO2 del pianeta) hanno già dichiarato che il loro obiettivo è il 2060. In questo contesto, il contributo della Comunità Europea, certamente importante dal punto di vista culturale, purtroppo avrà un effetto limitato sul riscaldamento globale, emettendo l’EU meno dell’8% della CO2 del pianeta.

«Come ricordano i Fridays for Future, non c’è più tempo da perdere ma il nucleare è campione di ritardi. Il nuovo reattore Epr di Olkiluoto in Finlandia è entrato in esercizio 12 anni dopo rispetto alle previsioni iniziali. Lo stesso reattore che la Francia sta realizzando a Flamanville ha già 10 anni di ritardi e non è ancora nota la data di consegna definitiva. Ai clamorosi ritardi si aggiungono i costi esorbitanti»

La realizzazione degli EPR europei di Flamanville e Olkiluoto ha indubbiamente subito ritardi e aumento dei costi. Tuttavia, le stesse identiche nuove tecnologie, i cosiddetti reattori di generazione III+ (EPR, AP1000 oppure simili nuove soluzioni tecnologiche russe, coreane e cinesi), vengono costruite senza drammatici ritardi ed extra-costi in Cina, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti. Due EPR, identici a quelli di Flamanville e Olkiluoto, sono in funzione in Cina dal 2019. Questi fatti dimostrano inequivocabilmente che il problema dei ritardi e dell’aumento dei costi rispetto alle previsioni non sono quindi da ricercare nella tecnologia ma nella “mancanza di allenamento” a costruire impianti e infrastrutture complesse del mondo occidentale. Al netto dei ritardi e degli extra-costi, il reattore Olkiluoto-3 è stato connesso alla rete elettrica lo scorso marzo e produrrà, da solo, il 14% del fabbisogno elettrico finlandese senza emettere CO2.

«Chi ha centrali attive sta cercando di allungare la loro vita (negli Usa almeno fino a 60 anni) per rimandare le onerosissime attività di smantellamento, bonifica dell’area e smaltimento dei rifiuti»

In realtà, chi ha centrali attive ha tutto l’interesse economico ad estendere la vita degli impianti verso i 60 anni e oltre, ma questo non tanto per evitare i costi di smantellamento che, infatti, pesano non oltre il 5-6% sul costo di produzione dell’energia elettrica. Il vero costo del nucleare è il grande investimento capitale iniziale e questo è già stato ripagato al momento in cui si richiede l’estensione. Il funzionamento di una centrale nucleare oltre i 40 anni inizialmente previsti consente, dunque, di produrre elettricità a costi bassissimi, essendo rimasti solo quelli di gestione e del combustibile: in totale, meno del 40% del costo originario di produzione dell’elettricità. Questa scelta è indubbiamente molto più conveniente, dal punto di vista economico-finanziario, rispetto alla costruzione di una nuova centrale nucleare.

Quanto detto spiega anche il motivo per il quale il numero di nuove centrali in costruzione nel mondo, sebbene significativo, sia inferiore rispetto all’effettiva necessità di centrali nucleari per i prossimi decenni.

«È stato proprio il libero mercato a fermare il nucleare che negli ultimi anni, a causa dei costi, è stato surclassato dagli investimenti sulle rinnovabili»

Per quanto riguarda alcuni cenni sull’economia dell’energia nucleare, vedi sopra. Il libero mercato, insieme alle scelte politiche, ha portato soprattutto al prolungamento di ulteriori 20-40 anni delle centrali nucleari esistenti e alla costruzione di 54 nuove centrali. Questo mostra chiaramente che il mercato nucleare non è fermo. Nel mondo occidentale c’è stato sicuramente un forte rallentamento rispetto ai decenni precedenti. Ciò ha causato anche l’incapacità emersa di rispettare tempi e costi di realizzazione di nuove centrali nucleari, come indicato in precedenza. Ma anche qui si osservano tangibili segnali di ripresa, come ad esempio mostrato dai programmi francesi e UK di realizzazione di nuove centrali nucleari, recentemente annunciati [3, 4]. Tutto questo avviene in una situazione di sostanziale assenza di sussidi.

Il mercato delle fonti rinnovabili non può essere ricondotto alle sole regole del libero mercato (come è anche giusto che sia, dal momento che la politica energetica richiede anche scelte politiche e corrispondenti meccanismi di incentivazione). Esse sono ampiamente sussidiate, a differenza dell’installazione di nuovi impianti nucleari. Ciò nonostante, oggi è installata una potenza nucleare di 393 GW elettrici, superiore a quella presente nel mondo prima di Fukushima (2010: 375 GW elettrici).

La presunta competizione tra fonti rinnovabili e fonte nucleare rappresenta in realtà uno dei principali ostacoli al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, come spiegato in precedenza.

«Il nostro Paese ha bisogno di liberarsi dalla dipendenza dall’estero (che il nucleare alimenta)»

È indubbio il fatto che l’Italia abbia necessità di ridurre fortemente la dipendenza dall’estero in materia energetica. Ma per quanto riguarda il fatto che il nucleare possa alimentare tale dipendenza, è vero il contrario: l’Italia produce gran parte della propria energia elettrica con il gas, per il quale dipendiamo fortemente dall’estero. Le grandi necessità di gas derivano anche dalla scelta di aver abbandonato la produzione di energia nucleare: la dimostrazione più evidente di questo proviene dalla Francia, paese assolutamente simile all’Italia per necessità energetica, popolazione, risorse di fonti fossili. Per i prezzi convenienti, l’Italia importa il 10-14% del proprio fabbisogno dall’estero, soprattutto dalla Francia ma anche dalla Svizzera e dalla Slovenia; gran parte di questa energia elettrica è prodotta dal nucleare (e non solo in Francia); se ci fossero più linee elettriche di connessione con l’Europa, molto probabilmente l’Italia importerebbe un quantitativo ancora maggiore di elettricità. Anche per quanto riguarda il caso delle fonti rinnovabili, la dipendenza di alcuni materiali e componenti fondamentali è drammatica: la Cina, in particolare, controlla il mercato dei solar wafer (96% della produzione mondiale), delle terre rare e del magnesio (93% e 89% della produzione mondiale rispettivamente). Questa forte e inevitabile dipendenza dall’estero non è esente da preoccupazione da parte della Comunità Europea.

La tecnologia nucleare potrebbe essere interamente europea, come europei sarebbero i componenti, i sistemi nonché l’arricchimento e la fabbricazione del combustibile. L’uranio grezzo, necessario in quantità enormemente inferiori rispetto ai combustibili fossili, arriva principalmente da paesi “amici” come Canada e Australia, ma in ogni caso giacimenti di uranio sono presenti anche in Europa e in Italia.

Alessandro Maffini, Ricercatore
Matteo Passoni, Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Nucleare
Elena Tonello, Dottoranda
Davide Vavassori, Dottorando
Dipartimento di Energia, Politecnico di Milano

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