Il mistero del metano marziano. L’ExoMars Trace Gas Orbiter non ha rivelato la presenza di metano nell’atmosfera di Marte, in contrasto con quanto riscontrato dal rover Curiosity e dalla sonda Mars Express. Ora i ricercatori devono comprendere quali siano i meccanismi che permettono a questa molecola di sparire così rapidamente dall’atmosfera.
Più si cerca il metano su Marte, più il mistero della sua presenza si infittisce. I sensibilissimi spettrometri dell’ExoMars Trace Gas Orbiter (TGO) – la sonda frutto della collaborazione fra Agenzia spaziale europea (ESA) e Roscosmos (l’agenzia spaziale russa) – non hanno trovato traccia di metano nell’atmosfera del pianeta, a dispetto del fatto che all’inizio di questo stesso mese la sonda europea Mars Express ne avesse confermato chiaramente la presenza, peraltro già indicata da ricerche precedenti. La domanda che ora si pongono gli scienziati, e per primo il folto gruppo internazionale di autori dell’articolo su “Nature” in cui sono illustrati i risultati di TGO, è: che fine ha fatto il metano di Marte?
Questa molecola è di grande interesse per i planetologi perché può essere la firma di processi geologici attivi, ma anche della presenza di forme di vita: il 95 per cento di quello che si trova nell’atmosfera terrestre deriva da processi biologici.
Nel 2004 il Mars Express dell’ESA aveva segnalato concentrazioni di metano pari a dieci parti per miliardo in volume (ppbv); misurazioni spettroscopiche da Terra avevano poi segnalato una sua presenza transitoria fino a 45 ppbv e il rover Curiosity della NASA, aveva indicato un livello di fondo di metano variabile con le stagioni. Infine, l’ultima rilevazione effettuata da Mars Express, riportata su “Nature Geoscience” agli inizi da aprile, segnalava un picco di metano di 15 parti per miliardo in volume.
Ci sono due possibili spiegazioni della mancata rilevazione del metano da parte di TGO, la cui sensibilità arriva fino a 0,5 ppbv. La prima, spiega Giuseppe Etiope dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e coautore sia di quest’ultimo studio sia di quello su “Nature Geoscience”, è che il metano “potrebbe essere prodotto all’interno del pianeta; la sua migrazione e fuoruscita nell’atmosfera potrebbe dunque avvenire solo in certe zone, geologicamente idonee, specialmente dove esistono faglie e fratture nelle rocce”.
La seconda, aggiunge Giancarlo Bellucci dell’Istituto nazionale di astrofisica di Roma e anch’egli coautore dell’ultima ricerca, è “che vi sia un meccanismo di distruzione del metano in grado di rimuovere efficientemente questo gas dall’atmosfera. Diversi meccanismi sono già stati proposti e alcuni sembrano in grado di spiegare le variazioni spazio-temporali osservate”. I ricercatori sottolineano che le misurazioni di Curiosity sono state effettuate analizzando la composizione atmosferica a livello del suolo, mentre quelle di TGO si concentrano su una quota di 5000 metri circa.
Per capire quale sia la spiegazione, e gli eventuali processi che portano alla rapida rimozione del metano dall’atmosfera, osservano gli autori, saranno necessari ulteriori studi.
In compenso, come è illustrato in un secondo articolo pubblicato sempre su “Nature”, TGO ha confermato i modelli di circolazione globale dell’atmosfera marziana grazie alla rilevazione delle variazioni nella distribuzione del vapore acqueo in seguito a una tempesta di sabbia; questo risultato, inoltre, ha permesso di rilevare per la prima volta la presenza di acqua “semi-pesante”, ossia acqua in cui uno degli atomi di idrogeno è sostituito da un atomo di deuterio, una forma di idrogeno con un neutrone aggiuntivo.
Ora i ricercatori cercheranno di capire se e quali siano le variazioni del rapporto fra acqua e acqua semi-pesante nel corso delle stagioni marziane, utili a comprendere l’evoluzione delle riserve idriche sul Pianeta Rosso.
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