In cerca di regole per la nuova intelligenza artificiale

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Intelligenza artificiale, nasce la task force Ue: “Eviteremo una società più ingiusta”. Intervista a Francesca Rossi, 55 anni, tra i quattro italiani del gruppo di esperti che ha il compito di delineare le prime linee guida etiche di questa nuova tecnologia. La commissione di Bruxelles ha nominato le 52 persone che ne fanno parte. Stefano Quintarelli rappresenta l’Italia assieme ad altri tre esperti: Luciano Floridi, Andrea Renda e Francesca Rossi.

Una task force di esperti per delineare entro la fine del 2018 le prime linee guida etiche e, per metà 2019, una serie di raccomandazioni sui principi da seguire per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. La Commissione Ue ha ufficialmente nominato le 52 persone che ne fanno parte e, tra queste, vi è il presidente del Comitato di indirizzo dell’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) Stefano Quintarelli, unico esponente di una realtà istituzionale italiana. Ci sono poi altri tre italiani: il docente di Oxford di filosofia ed etica dell’informazione Luciano Floridi, poi il sociologo e ricercatore del Ceps Andrea Renda, e la ricercatrice dell’Ibm sull’intelligenza artificiale nonché docente in congedo dell’Università di Padova, Francesca Rossi.

Il lavoro del gruppo sarà completato dai contributi dell’Alleanza europea per l’Intelligenza artificiale, la cui piattaforma ed eventi ad hoc sui vari temi legati all’AI sono aperti a tutti gli attori e specialisti del settore, con l’obiettivo di facilitare il dialogo e far progredire l’innovazione in modo informato e sicuro. L’impegno per l’intelligenza artificiale è stato ribadito anche dal G7 di Charlevoix in Canada, ed è stato sottoscritto dai 28 già lo scorso aprile quando la Commissione ha presentato l’approccio Ue sul tema.

“STABILIRE quali valori seguire per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale: è qui che l’Europa può giocare un ruolo fondamentale”. Francesca Rossi, 55 anni, è tra i quattro italiani che l’Unione ha appena inserito nel gruppo di 52 esperti con il compito di delineare le raccomandazioni da seguire per lo sviluppo di software d’apprendimento automatico entro il 2019. “Tracceremo il cammino e vigileremo, per evitare una società ancora più ingiusta”. Una cattedra d’informatica all’Università di Padova, dove al momento è in aspettativa, oggi Rossi fa ricerca nel quartier generale Ibm di New York dedicato al supercomputer Watson. A cambiargli la vita, un anno sabbatico al Radcliffe Institute, di Harvard: “Ho incontrato poeti, filosofi ed economisti che mi hanno fatta riflettere sull’impatto sociale della tecnologia”. Da qui il suo impegno, che va oltre lo sviluppo hi-tech, e una convinzione: “Le sfide del futuro vanno affrontate con un approccio multidisciplinare e multiculturale, coinvolgendo tutti gli interessati”.

Cioè?
“Non solo informatici, ma anche filosofi, sociologi ed economisti che ci aiutino a individuare i problemi a cui potremmo andare incontro e a sviluppare un’intelligenza artificiale benefica per tutti, quindi etica. Allo stesso modo, un’azienda deve gestire dati e software in maniera trasparente. Altrimenti non è innovazione”.

Quali sono i requisiti che un’intelligenza artificiale etica deve rispettare?
“Prima di tutto, bisogna lavorare sui pregiudizi. L’intelligenza artificiale impara dai dati che vengono utilizzati per allenarla. Se non siamo abbastanza attenti a renderli ugualmente rappresentativi della popolazione, rischiamo che il sistema faccia errori di valutazione nel prendere le decisioni: quindi è necessario spostare l’attenzione dalla quantità alla qualità. Non è semplice, soprattutto se pensiamo che noi stessi andiamo incontro a circa 180 preconcetti quando facciamo una scelta. Poi bisogna far in modo che si abbia la possibilità di comprendere il perché di un determinato risultato. Infine, essere sicuri che il sistema segua i codici di condotta che vogliamo: l’intelligenza artificiale che assisterà il medico, dovrà condividerne anche la deontologia”.

Da Elon Musk a Bill Gates: in tanti temono l’intelligenza artificiale. Questa “robo-fobia” è giustificata?
“Sull’argomento c’è una grande confusione. Certo, le foto di Terminator fanno più effetto. Ma i rischi attuali, che esistono, sono ben altri. Come il pericolo di una società senza regole condivise e più iniqua. Soprattutto se si pensa a quanto è pervasiva oggi la tecnologia”.

Ecco, quanto?
“Non ce ne rendiamo conto, eppure la ritroviamo in ogni aspetto della vita quotidiana: dai social media, dove stabilisce quali post vediamo, ai motori di ricerca, in cui decide le selezioni che facciamo, passando per il riconoscimento facciale. Domani lo sarà sempre di più, ci supporterà nelle decisioni in ogni campo, nella diagnosi della malattie, aiutandoci in calcoli statistici che noi non siamo in grado di fare”.

Però l’AI farà anche dei lavori al posto nostro.
“Preferisco parlare di una trasformazione a cui dovremo adattarci e, a mio avviso, riguarderà qualsiasi lavoro. Sarà una sfida, ma a lungo termine ci permetterà di migliorare la nostra vita”.

La Commissione europea ha annunciato di voler portare a 20 miliardi di euro gli investimenti nel settore: sono abbastanza?
“Chiaramente non possiamo pensare di competere finanziariamente con altre realtà, come la Cina dove gli investimenti viaggiano a un ordine di grandezza diverso. Ma l’Europa può giocare un ruolo fondamentale nel dettare la linea etica, nel stabilire quali valori seguire per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale”.

E l’Italia? Siamo davvero sempre indietro?
“In realtà, oltre ai big del settore, ho scoperto che esistono un sacco di piccole realtà: ne sono rimasta piacevolmente sorpresa”.

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