Esopianeti: non basta sapere che ci sono, e dove sono. Adesso si possono “vedere”.

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Un'immagine elaborata dallo strumento CHARIS: tre pianeti in prossimità della loro stella, HR8799. La scoperta dei tre oggetti risale al 2010, ma a differenza di quanto è stato finora possibile, è stata catturata la luce riflessa dai pianeti: la sua analisi permetterà di ottenere diverse informazioni sulla fisica e sulla chimica di quei lontani mondi.|N. JEREMY KASDIN
Un'immagine elaborata dallo strumento CHARIS: tre pianeti in prossimità della loro stella, HR8799. La scoperta dei tre oggetti risale al 2010, ma a differenza di quanto è stato finora possibile, è stata catturata la luce riflessa dai pianeti: la sua analisi permetterà di ottenere diverse informazioni sulla fisica e sulla chimica di quei lontani mondi.|N. JEREMY KASDIN
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Un nuovo strumento permette di catturare la luce riflessa dai pianeti di altre stelle. La maggior parte degli esopianeti finora scoperti, più di 3.000, sono stati identificati grazie al telescopio spaziale Kepler, che li rileva studiando la diminuzione di luce che essi producono al passaggio davanti alla loro stella. Quello che Kepler non può fare, è studiare l’atmosfera e la superficie di quei pianeti.

Ma nel momento in cui questi oggetti vengono individuati… si vorrebbe poter sapere tutto di loro: massa, temperatura, età… E naturalmente la possibilità che vi siano le condizioni per sostenere la vita. Per far questo è necessario utilizzare telescopi molto potenti in grado di isolare la luce delle stelle da quella riflessa dai pianeti che le circondano.

Il telescopio spaziale Kepler può rilevare la presenza di un pianeta attorno ad una stella, ma non può indagare le sue caratteristiche. | NASA

Isolare la luce di una stella è relativamente semplice: quasi tutti i grandi telescopi hanno la strumentazione adatta. Il vero problema sono gli strumenti in grado di analizzare la luce riflessa dai pianeti: sono spettrometri ad altissima capacità, in grado di suddividere la luce nelle sue componenti per individuare gli elementi che la producono. Fino ad oggi, questo tipo di analisi non ha portato a grandi risultati.

PIÙ GRANDI DI GIOVE. Adesso però un nuovo strumento, il Coronagraphic High Angular Resolution Imaging Spectrograph (CHARIS), progettato nel 2012 (pdf in inglese) da un nutrito team multidisciplinare di scienziati della Princeton University, del Goddard Space Flight Center (Nasa) e del Subaru Telescope (Mauna Kea, Hawaii) – espressamente per il Subaro Telescope – ha permesso di fare un salto di qualità senza precedenti in questo campo.

Il CHARIS ha catturato la luce riflessa di alcuni esopianeti, e questo permetterà di analizzarli più in dettaglio di quanto sia mai stato fatto. Un lavoro estremamente complesso, perché la luce riflessa dai pianeti è estremamente bassa: anche per questo motivo, e nonostante la sua avanzatissima tecnologia, CHARIS può rilevare la luce solo di pianeti più grandi di Giove.

Il telescopio Subaru. | DR. HIDEAKI FUJIWARA – SUBARU TELESCOPE, NAOJ

I “cacciatori di esopianeti” sono comunque soddisfatti: «Poter studiare la luce riflessa da un pianeta, anziché solo il “disturbo” di luminosità che produce sulla sua stella, ci permetterà di analizzare il suo spettro e risalire in questo modo a molte sue caratteristiche. In particolare, potremo determinare la massa, la temperatura e l’età del pianeta», ha commentato Tyler Groff, ricercatore della Princeton che ha partecipato al progetto e fa parte oggi del gruppo di analisi dei dati di CHARIS.

CAMPO PICCOLO, GRANDE DETTAGLIO. Lo strumento accoppiato al telescopio Subaru, che per funzionare deve essere tenuto a – 223,15 °C, scansiona un intervallo di cielo estremamente piccolo, inferiore a 2 secondi d’arco (la luna Piena in cielo misura circa 1.800 secondi d’arco), su di un’ampia banda di lunghezze d’onda della luce: i primi risultati dell’applicazione di quelle tecnologie non si sono fatti attendere.

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