Intelligenza artificiale sotto scacco: non si può riprodurre il cervello. L’antico gioco è riassumibile in una serie di fattori binari tipici dei computer, ma gli scacchisti non hanno nessuna predisposizione per lo sviluppo del software.
Non ci aveva mai pensato nessuno, finora: l’associazione mondiale degli scacchi, sulla scia della supposta superiorità dell’intelligenza artificiale verso gli scacchisti, ha messo sotto esame i ventuno più forti giocatori al mondo. E il risultato è perlomeno curioso: anche se questo antico gioco è chiaramente riassumibile come una serie di fattori binari tipici del linguaggio dei computer, gli scacchisti non hanno mostrato nessuna predisposizione per lo sviluppo dei software. E nessuna conoscenza informatica. Dal punto di vista sociale il risultato è deludente: l’idea di affidare agli scacchisti il governo della complessa modernità tecnologica finisce qui. Dovremo continuare ad accontentarci dei politici e della tecnocrazia della Silicon Valley, o tornare ai filosofi.
Ma dal punto di vista scientifico il risultato è abbastanza sbalorditivo: la mente umana non ragiona come una macchina, quindi le macchine non ragionano come le menti umane. Potremmo concludere che non c’è nessuna intelligenza artificiale. Il termine è stato introdotto nel 1955 dallo scienziato e vincitore del premio Turing John McCarthy per formare un gruppo di lavoro. Gli era sembrata una buona idea di «marketing» per attrarre cervelli.
L’abbiamo chiamata così solo per capirci ma la cosa è sfuggita di mano e ora l’homo sapiens sapiens si sente obsoleto e pronto per essere rottamato come un vecchio pc di Neanderthal. Anche se grazie a tecnologie come il deep learning e alla «forza bruta» della capacità di calcolo le partite a scacchi e go sono ormai uno spettacolo umiliante, forse sarebbe più giusto pensare il contrario: il cervello umano è un computer naturale. E l’uomo non riuscirà mai a riprodurlo.
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