Magia, ritualità e crisi della presenza nel pensiero di Ernesto de Martino

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L’antropologo Ernesto de Martino, studiando le pratiche magiche del Sud Italia, individuò nel rituale una tecnica volta al riscatto dalla crisi della presenza. Se con presenza lo studioso intendeva l’esistere come entità in grado di agire, con crisi della presenza, si riferiva al rischio di non essere parte del mondo, della società, della Storia.

Le varie forme di ritualità popolare del Meridione, secondo il celebre antropologo, avrebbero la loro radice comune nella potenza del negativo che accompagna la vita degli individui, e che spesso si imprime nella coscienza. Le pratiche magiche svolgerebbero, quindi, la funzione di protezione della presenza dalle crisi esistenziali, ma soprattutto quella di reintegrazione della presenza individuale nella società.

La protezione della presenza attraverso il rituale magico, avviene grazie ad un complesso simbolico e rituale, ovvero un insieme di tecniche riconosciute dalla tradizione e condivise dalla società, che agisce mediante l’istituzione di un piano metastorico.

Come metastoria va inteso un meccanismo prodotto dalla destorificazione del negativo, che colloca l’individuo in un orizzonte sicuro, in cui qualsiasi tipologia di rischio è già stata affrontata e risolta, e in cui il tempo è ciclico.

Un orizzonte in cui la Storia viene privata della propria valenza negativa presente e futura e depurata dal suo carattere soggettivo di originalità.

A questo punto, per l’individuo, la certezza che la propria situazione critica esistenziale rientri nell’ambito delle possibilità previste e risolte sul piano metastorico è sicuramente un notevole aiuto. L’apparato magico e mistico, in questo senso, conforta. L’individuo grazie ad esso torna ad occupare il suo posto nella metastoria, in un orizzonte stabile nel quale la varietà rischiosa delle possibili crisi individuali trova il suo momento di arresto, di configurazione, di unificazione e di reintegrazione culturale.

Quando la sensazione che prova l’individuo è quella di non poter più agire nel mondo, e dunque la sua presenza entra in crisi, il complesso magico, mitico e rituale metastorico viene in suo aiuto, e lo riscatta a livello culturale.

Lo stesso insieme dei simboli su cui si fonda l’apparato magico, è assolutamente funzionale alla configurazione del negativo e alla sua risoluzione. La magia popolare, per de Martino, è percepita da certe fasce della società come ancora di salvezza per esserci nel mondo, e non va ridimensionata ad ingenua illusione. La ritualità del Sud Italia è, per chi abita quelle terre, una risorsa attiva e terapeutica, perchè rassicura dalla paura di non esserci.
Il rischio di crisi della presenza è qualcosa che fa capolino nell’essere umano posto davanti a certi eventi e certe situazioni, ed è caratterizzato da un’incertezza e da una crisi radicale dell’essere. La destorificazione del negativo, operata però da certa ritualità magico-folklorica, permette l’universalizzazione della propria condizione umana in una dimensione mitico-simbolica.

Secondo Amalia Signorelli, antropologa nonchè collaboratrice di De Martino, il dato esistenziale che ha scatenato la crisi, viene mentalmente astratto dal contesto storico e ricondotto ad un tempo e una vicenda mitici. Il Mito dona all’individuo una narrazione, e il rito, ripetuto con parole e gesti di significato altamente simbiolico, gli offre un comportamento orientato ad uno scopo.

Mito, rito e simbolo si uniscono, quindi, in un circuito volto alla soluzione della crisi, salvando l’individuo mediante la sua sottrazione dalla storia reale in cui agisce il negativo.

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