Migliorata l’efficienza delle celle solari con la Perovskite

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Fotovoltaico, la perovskite batte il silicio e si prepara al mercato. Oxford Pv ha segnato il record assoluto di efficienza per una cellula tandem silicio-perovskite e si prepara a superare il 30%. Perovskite batte silicio cristallino e si avvicina al traguardo. A fine dicembre, il campione britannico del fotovoltaico organico Oxford Pv ha segnato il record assoluto di efficienza per una cella tandem silicio/perovskite, toccando il 29,52% con una cella di 1,12 cm quadrati.

Ora punta a infrangere il muro del suono del 30%. E uno studio sino-canadese, pubblicato su Frontiers in Chemistry, sostiene che l’arrivo sul mercato del fotovoltaico alla perovskite è imminente.

Quanto imminente? Oxford Pv punta a commercializzare la sua cella, trasparente e flessibile, già l’anno prossimo, grazie a una linea pilota da 200 megawatt sviluppata con la collaborazione della svizzera Meyer Burger. E afferma di aver sviluppato un prodotto che ha passato con successo i test di resistenza alle intemperie della Commissione elettrotecnica internazionale.

Tuttavia, gli autori dello studio “Recent Progress in Developing Monolithic Perovskite/Si Tandem Solar Cells”, guidati da Na Liu del Beijing Institute of Technology, affermano che è necessario definire metodi standard per testare la stabilità delle nuove celle, con relativa pubblicazione esaustiva dei dati. Poi occorre sviluppare celle di maggiori dimensioni, mentre le ricerche in laboratorio finora si sono concentrate su celle piuttosto piccole.

L’alleanza europea

Fotovoltaico, la perovskite batte il silicio e si prepara al mercatoUn settore che richiede in particolare ulteriori ricerche, scrivono gli autori, è il cosiddetto “incapsulamento” delle celle tandem, in modo che siano più protette e in grado di resistere alle condizioni climatiche più estreme. Su questo punto sono stati fatti studi importanti da un team italiano guidato dai fisici Alessandra Alberti e Antonino La Magna dell’Istituto di microelettronica del Cnr di Catania, in collaborazione con l’Istituto di nanotecnologia del Cnr di Lecce.

L’uso delle perovskiti per produrre energia solare è uno dei più promettenti sviluppi tecnologici del settore, ma anche uno dei più complessi, tanto che alcuni dei laboratori impegnati a trovare il giusto equilibrio del mix chimico per questa tecnologia innovativa hanno deciso di unire le forze in Europa.

Così è nata già da oltre un anno l’European Perovskite Initiative, cui hanno aderito fra gli altri Oxford Pv e il Politecnico di Losanna, l’istituto tedesco Fraunhofer e il Cnrs francese, il Cnr italiano e l’Istituto Italiano di Tecnologia. L’obiettivo è coordinare gli sforzi della ricerca scientifica nel settore, in modo da arrivare il più velocemente possibile alla produzione su scala industriale delle celle solari che forse ci faranno dire addio al silicio cristallino.

Il vantaggio delle perovskiti è che vengono prodotte e trasformate in celle fotovoltaiche con un basso consumo di energia, molto minore rispetto al silicio, e partendo da materiali meno cari. Dei moduli basati su questi composti potrebbero costare una frazione degli attuali e quindi far scendere il costo dell’elettricità solare, dando una bella spinta alla transizione energetica.

In tandem con il silicio

Le perovskiti, inoltre, sono in grado di assorbire uno spettro più ampio della luce solare, facendo impennare le prestazioni della cella e la sua efficienza verso limiti impossibili da ottenere limitandosi all’uso del silicio. Il problema di questi composti organici-inorganici, con al centro un atomo metallico che rilascia elettroni quando colpito dalla luce, è la loro instabilità, che li porta a degradarsi rapidamente in condizioni reali di utilizzo.

A fronte dei 25 anni garantiti di funzionamento per i moduli in silicio cristallino, le celle alla perovskite ne assicurano al massimo un paio, prima di essere danneggiate da umidità, calore, ossigeno. Ecco perché la ricetta finora più seguita prevede l’impiego contemporaneo di silicio e perovskiti, creando celle tandem più efficienti e con maggiori possibilità di reggere l’urto delle prove sul campo.

C’è anche chi sta lavorando a strutture tandem con materiali diversi dal silicio, per ora con scarso successo. Un gruppo di ricercatori dell’università di Toledo, ad esempio, ha sviluppato un micro-modulo fotovoltaico composto da film sottili di perovskite organica/inorganica con un mix di stagno, piombo e una piccola frazione di tiocianato di guanidinio, raggiungendo efficienze del 23-25%, a seconda delle diverse configurazioni delle celle testate in laboratorio.

Anche in questo caso si punta a incrementare e stabilizzare le prestazioni della nuova ricetta chimica, con l’idea di produrla in futuro con un processo industriale a basso costo.

Problemi di lunga durata

Resta il problema della durata, ma c’è chi ritiene che persino con questo grave difetto, il solare alla perovskite potrebbe essere, dal punto di vista della sostenibilità, già migliore di quello al silicio. Il chimico Fengqi You, della Cornell University, ha pubblicato con i suoi colleghi su Science Advances uno studio che dimostra proprio questo, considerando l’intero ciclo di vita, dall’estrazione dei minerali fino allo smaltimento finale, di tre tipi di celle fotovoltaiche: una al silicio cristallino, un’altra composta da un tandem silicio/perovskite e una terza composta da diversi tipi di perovskiti.

Il risultato è che la produzione e lo smaltimento delle celle di sole perovskiti richiedono consumi energetici quattro volte inferiori rispetto alle celle al silicio cristallino o al tandem perovskite/silicio. «Tutti questi dati su produzione, energia ed emissioni durante l’intera vita spiegano perché la cella alla perovskite-perovskite recuperi l’energia e le emissioni connesse alla sua produzione e smaltimento in appena 4 mesi, mentre quelle al silicio cristallino, nel migliore dei casi, in 18 mesi», sintetizza You.

Lo scienziato, quindi, contesta il modello “statico” di utilizzo del fotovoltaico indotto dalle celle di silicio cristallino e sostiene che una durata minore di celle molto più sostenibili può essere affrontata in scioltezza, visto che si possono smaltire molto più facilmente. «In altre parole, non è detto che le celle debbano essere installate, dimenticate per 20 anni e poi smaltite, riciclandone solo una piccola parte», sostiene You.

Con le celle alla perovskite i cicli potrebbero essere più brevi, ma più efficaci. Un’impostazione rivoluzionaria, che potrebbe emancipare il fotovoltaico dalla dipendenza dal silicio.

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