
Le Isole Marshall, un paradiso naturale compromesso ed in gran parte abbandonato dai suoi abitanti a causa della radioattività residua dopo 60 anni. Gli effetti dei test nucleari nel Pacifico negli anni ’40 e ’50 sono ancora visibili nei sedimenti oceanici e nell’acqua di falda: ecco quanto a lungo si trascinano i danni dell’atomica.
La quantità di cesio e plutonio radioattivi nelle lagune delle Isole Marshall, teatro di 66 test nucleari statunitensi tra il 1946 e il 1958, è in progressivo declino dagli anni ’70. Tuttavia, questi elementi continuano a contaminare i sedimenti oceanici e l’acqua di falda, con un livello di radioattività che – a oltre 60 anni dalla fine dell’operazione – rimane 100 volte più alto che nelle acque circostanti.
Quella che più che una scoperta è una conferma arriva dagli scienziati della Woods Hole Oceanographic Institution (WHOI) in Massachusetts, che hanno analizzato l’acqua delle lagune di vari siti considerati a rischio contaminazione, e campionato sedimenti oceanici e acqua di falda prelevata da cisterne, pozzi e spiagge.

In generale l’acqua di falda si è rivelata una scarsa fonte di residui radioattivi; in alcuni siti più contaminati, sono piuttosto i sedimenti oceanici a liberare materiale pericoloso. Metà del plutonio trovato nella laguna dell’isola di Runit, sulla quale si trova un “cimitero nucleare” in cemento che nasconde 73 mila metri cubi di suolo radioattivo, proviene dai sedimenti oceanici, corallini e dunque particolarmente porosi.
Controlli come questi, spiegano i ricercatori, andranno ripetuti regolarmente, e a maggior ragione con l’innalzamento del livello dei mari. Nel frattempo,converrebbe non ricadere nello stesso errore.
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